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IL GRANATA DALLA PORTA ACCANTO

I miei primi 50 anni di Toro

I miei primi 50 anni di Toro - immagine 1
l Granata della Porta Accanto/ Rischio di continuare a tifare un'entità sportiva che del Toro da me vissuto e con il quale sono cresciuto non conserva più quasi nulla
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

Ho da poco tagliato il traguardo dei 50 anni, un momento della vita in cui, nonostante ci si senta come il giorno prima e tendenzialmente non tanto differenti nemmeno il giorno dopo, si tende a farsi prendere da quell'insana smania di stilare bilanci di ogni tipo. Risparmiandovi quelli assai poco interessanti inerenti la mia vita privata, mi piacerebbe invece condividere con voi quelli legati a (quasi) cinquant'anni di tifo per il Toro. Sono del 1974 quindi ho "visto" lo scudetto del 1976: non avevo neanche due anni e perciò non ricordo nulla, ma ho una foto di me che sventolo una bandiera granata quel 16 maggio e tanto mi basta. Il primo vero ricordo risale ad una finale di Coppa Italia, stagione '79-'80, persa ai rigori con la Roma, prima di tre finali consecutive perse tutte senza perdere (credo sia record mondiale per una coppa nazionale!). Ricordo il Toro quasi tutto made in Filadelfia di Giacomini, il derby del 3-2 in 3 minuti e 40 secondi, ma non ero allo stadio purtroppo.

Ricordo Junior, Dossena, gli ultimi anni di Zaccarelli da libero, ricordo di essermi calcisticamente innamorato di Kieft e Polster per rimanere deluso come solo un bambino può rimanere deluso quando furono ceduti entrambi dopo un solo anno in granata. Ricordo la finale di Coppa Italia persa con la Samp per quel maledetto gol di Salsano, il derby spareggio per la UEFA, manco a dirlo perso anche quello ai rigori e ricordo una delle mie più grandi delusioni adolescenziali: la retrocessione a Lecce nell'89. Il decennio Ottanta, che io avevo cominciato da bambino e finito da adolescente, è forse stato l'ultimo decennio "da Toro" che si ricordi nella storia granata: il Fila ancora attivo, il vivaio nel suo massimo splendore, il Toro in Europa con una certa frequenza, le finali di Coppa Italia, il secondo posto dietro al Verona, i campioni come Leo Junior. L'arrivo di Borsano avrebbe potuto portarmi ad entrare nei miei vent'anni con il vento in poppa di un Toro protagonista in Italia e in Europa ed invece la storia ci giocò, come al solito, un brutto scherzetto. La guida di Mondonico, Martin Vasquez, Lentini, Cravero, Scifo, il trio di duri Policano, Bruno, Annoni, le notti col Real Madrid, la maledetta Amsterdam e la Coppa Italia vinta contro tutto, contro tutti e soprattutto contro Sguizzato avevano lasciato in me la consapevolezza che il futuro sarebbe stato nel solco del passato: soffrire sì, nel vero spirito Toro, ma nessuna paura perché c'era la certezza di essere sempre lì tra alti e bassi, ma sempre lì. Invece Tangentopoli spazzo' via Craxi (grande tifoso granata) e Borsano dando il via alla decadenza trentennale nella quale tuttora siamo.

Calleri ci illuse con Abedi Pelé, Angloma e Rizzitelli, i due derby vinti nel '94-'95, ma in definitiva buttò giù il Filadelfia con la complicità del sindaco Diego Novelli e avviò il processo di disfacimento societario che portò al fallimento di Cimminelli un decennio dopo. Ai miei trent'anni la fiamma era ancora più che ardente dentro di me e la marcia dei 50.000 fu la prova che il popolo granata (me compreso) ci credeva ancora, eccome se ci credeva, nella rinascita del Torino. Nella pienezza della mia giovinezza ho detestato come nessuno mai nella mia giovane vita, Romero e Cimminelli, rei di essere i fautori materiali della (quasi) scomparsa del Torino. Un presidente più che discutibile con un passato da portavoce Fiat (oltre al suo coinvolgimento nella vicenda Meroni) e un imprenditore senza scrupoli dichiaratamente juventino e professionalmente legato dai suoi affari agli Agnelli: il peggio che poteva esserci agli occhi del me stesso di vent'anni fa. Eppure nella mia vita il Toro è sempre stato parte integrante del mio modo di essere e del mio modo di pensare: l'abbonamento in Maratona sempre e a prescindere, il sostegno incondizionato alla squadra, l'affetto per giocatori non propriamente da Pallone d'Oro come Mussi, Asta, Bianchi, Belotti, ma giocatori "da Toro" una volta entrati su quel rettangolo verde, sono sempre stati la linfa per supportare il pensiero che niente potesse scalfire una fede così grande, né gli anni in B, né i mercenari che ci hanno votato le spalle, né i presidenti che hanno solo speculato sul Torino. E così, per arrivare all'oggi, i due quinti della mia esistenza, quindi il 40% degli anni che ho vissuto sin qua, li ho passati in "compagnia" di Urbano Cairo: chi ha la mia età e forse anche qualche anno di più, non può accontentarsi di un presidente che è stato accolto come un Messia ed ha avuto tempo, credito e modo di fare il Toro nuovamente grande come lo era, non dico ai tempi di Novo o Pianelli, ma almeno come lo era negli anni Ottanta fino alla prima metà dei Novanta. Invece ci ritroviamo qua a quasi vent'anni dal suo avvento a sentire le solite storielle trite e ritrite sui presunti capitali immessi nel Torino (secondo una reale ricostruzione finanziaria della gestione Cairo parliamo di appena 2 milioni all'anno, cioè una bazzeccola per le cifre che girano nel calcio) e sulle sue mai provate ambizioni. I settimi posti (due) e Bilbao medaglie di una gestione deficitaria su tutto. Ma soprattutto deficitaria per aver dilapidato l'amore di un popolo, disperso le enormi potenzialità di una società unica per storia e passione come il Torino e procrastinato colpevolmente la crescita del club in termini di competenze e strutture ormai indispensabili nel calcio moderno.

Se guardo al mio futuro di tifoso, non sapendo, come tutti, quanto vivrò, rischio di continuare chissà ancora per quanti anni a tifare un'entità sportiva che del Toro da me vissuto e con il quale sono cresciuto non conserva più quasi nulla e nella quale non si fa nulla per recuperare i valori storici e tradizionali. I miei figli sono granata perché ho fatto il mio dovere di trasmettere loro questa passione come era stato fatto con me da piccolo, ma questi ragazzi, come tutti i loro coetanei, non hanno avuto quasi nulla a cui aggrapparsi di Toro vero per rafforzare la propria fede come invece ho avuto io alla loro età. Io continuerò a lottare per i prossimi miei cinquant'anni per il ritorno del Torino al suo nobile rango di "Toro", ma qualcuno con maggiori disponibilità economiche delle mie (sì, se avessi le possibilità lo comprerei io il Toro!) deve provare a staccare un assegno a Cairo e dare una svolta a questo lento ed inesorabile declino. È proprio vero che più si invecchia e più si diventa nostalgici: io ho visto il Toro vincere una Coppa Italia e basta, ma vi assicuro che l'aria di quel Toro non è paragonabile a quella del Toro attuale e la mia nostalgia non è per le vittorie, assolutamente, ma per le possibilità che all'epoca si avevano di essere comunque protagonisti alla nostra maniera nella storia del calcio. Oggi siamo ridotti a comparsa e questo non mi starà mai bene. Nemmeno quando avrò ottant'anni...

Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.

Disclaimer: gli opinionisti ospitati da Toro News esprimono il loro pensiero indipendentemente dalla linea editoriale seguita dalla Redazione del giornale online, il quale da sempre fa del pluralismo e della libera condivisione delle opinioni un proprio tratto distintivo.

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