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moncone storico Filadelfia 11 ottobre 2021 (foto Toro News)
Non è un caso che il derby abbia smesso di essere "il" derby quando il Toro ha smesso di essere "il" Toro. Un'equazione molto semplice che racchiude una grandissima verità: il derby è sempre stata una partita "mistica" perché vissuta dai tifosi, e, in buona parte, anche dai giocatori che subivano davvero il fascino di questa partita grazie ai tifosi stessi che sapevano trasmettere loro il peso che aveva, come uno scontro "epico" tra due mondi completamente differenti e tra due culture sportive ai poli opposti. Loro e noi, dove il noi era la summa di tutti quei valori positivi che ci rendono fieri di essere granata.
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È chiaro che se quell' impalcatura di fede e di commistione tra il sentimento del club e quello dei tifosi viene meno per mille motivi, il Toro torna ad essere Torino e il derby perde tutta la sua magia tornando ad essere una semplice partita (impari) tra due squadre della stessa città. Tralasciando infatti i tempi del Grande Torino e una parte degli Anni Settanta dove le forze in campo erano sufficientemente equilibrate, il derby della Mole è sempre stato caratterizzato da una disparità di valori talmente esagerata tanto che l'immagine dello scontro Davide contro Golia è sempre stata quella più gettonata ed adatta per descrivere questa sfida, specialmente perché non era così raro che alla fine Davide battesse Golia.
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Ma c'era il Filadelfia, c'era il senso di appartenenza nei giocatori, c'era l'aura mistica di Superga che sapeva infondere in chi indossava il granata e veniva da fuori l'idea di essere davvero in un club speciale e c'era un mondo di tifo attorno che riusciva ad incanalare sui giocatori l'importanza capitale di queste due sfide giocate peraltro nello stesso stadio dividendosi equamente gli spettatori sugli spalti.
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Da più di un quarto di secolo tutto questo non c'è più perché il Toro ha perso la bussola e non ha saputo replicare, adattandosi ai cambiamenti, il suo modello storico basato su quelli che io definisco i quattro pilastri: il vivaio, il Filadelfia, Superga e la maglia. Il processo di "degranatizzazione" è cominciato con Calleri, ha toccato uno dei punti più vergognosi della nostra storia con Cimminelli e il relativo fallimento ed è proseguito con l'ormai lunghissima presidenza Cairo che sotto questo aspetto ha la gravissima responsabilità di non aver mai ascoltato gli appelli del mondo granata di riportare un po' di Toro nel Torino.
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L'immagine perfetta dello status quo sono i monconi del Fila che benissimo rappresentano lo spirito con cui ormai affrontiamo il derby. Abbandonati, decadenti, pallida e triste immagine dello spirito fiero di un luogo mitico qual era il Filadelfia, cioè il teatro delle gesta della squadra più forte del mondo e la culla della formazione di generazioni di talenti granata, i monconi avrebbero dovuto essere restaurati in parallelo alla ricostruzione del vecchio stadio ad orgoglioso simbolo della rinascita di un luogo per noi "sacro".
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Invece rappresentano una contraddizione di questa società, che da un lato ha scialacquato milioni di euro in acquisti e stipendi folli per gente indegna di vestire la maglia granata (non faccio i nomi perché li conoscete tutti anche voi…) e dall’altro ha lasciato i monconi del Filadelfia abbandonati al loro stato come ha lasciato da parte in questi diciotto anni tutti quei valori e quelle azioni, anche piccole, che avrebbero, mattoncino dopo mattoncino, riportato lentamente orgoglio e consapevolezza nel mondo granata.
L'interessamento di uno dei titolari della ditta Fiammengo, tifosissimo del Toro, che ha deciso di restaurare uno dei monconi a proprie spese, è un raggio di luce che da un lato fa capire che qualcuno ha ancora a cuore il nostro patrimonio storico-culturale, ma dall'altro mette in evidenza le mancanze di chi avrebbe le possibilità di fare qualcosa "da Toro" ma se ne guarda bene da diciotto anni a questa parte.
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Martedì ci sarà il derby ed è commovente sapere quanto la gente amerebbe ancora viverlo "alla vecchia maniera" se solo la società facesse in modo che si potesse: magari ascoltando di più Juric che predica cose "da Toro" da due anni a questa parte e ha impostato una squadra che in campo spesso ha quello spirito e quell'approccio agonistico che piace a noi tifosi. Basterebbe poco, una scintilla, mica cose dell'altro mondo, perché, in fondo, come dice l'inno, "giochiamo noi, la fiamma non si è spenta…"
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