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La Chapecoense, Cairo, Mazzarri e il bisogno di favole nel calcio

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Il Granata Della Porta Accanto / Un presidente che non percepisce quanto sia fondamentale regalare sogni ai propri tifosi e scrivere favole che danno gloria imperitura è l'equivalente di un amministratore di condominio
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

È notizia di questa settimana che la Chapecoense è retrocessa nella Serie B brasiliana proprio nel giorno del terzo anniversario della tragedia aerea di cui era stata protagonista mentre si recava in Colombia a giocare la finale dell'equivalente sudamericano dell'Europa League. Un destino tragico come quello del Grande Torino, quello dei brasiliani, invitati l'anno scorso al Comunale dal Toro per una gara amichevole con intento benefico e dai forti connotati di vicinanza solidale ed emotiva. Un destino che, evidentemente non contento, ci ha messo anche un zampino beffardo facendo cadere questo fallimento sportivo proprio in quello che è già di per sé il giorno più triste per i tifosi della Chapecoense. Il calcio, che è una delle principali metafore moderne della vita, sa essere spesso crudele e beffardo come la vita stessa. Eppure ha sempre avuto in passato anche la forza di regalarci favole a lieto fine capaci di ispirare masse di tifosi e di consegnare all'immaginazione collettiva esempi particolarmente virtuosi di tenacia, perseveranza e abnegazione. Insomma il bello del calcio è che le partite cominciano sempre dallo 0-0 e, come nella vita a volte accade, anche quando le difficoltà appaiono insormontabili o gli obbiettivi impossibili da raggiungere, ti dimostrano come sia possibile, a volte, ottenere risultati positivi quanto insperati.

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La storia stessa del Toro è un esempio di tutto ciò ed è il motivo per cui milioni di tifosi lungo un arco di tre o quattro generazioni si sono innamorati del granata e ne hanno fatto più che una fede calcistica. I risultati sportivi che un club può ottenere dipendono da mille variabili e tra queste la variabile economica, cioè la capacità che un club ha di investire sulla squadra, è un aspetto importante (nell'ultimo ventennio ancora più importante), ma non unico o decisivo nel determinare la capacità di sopravvivenza e continuità del club stesso. Urbano Cairo e il suo modo di gestire il Torino FC rappresentano un caso "scolastico" emblematico di come gli aspetti puramente economici non possano essere l'unico "drive" per gestire il patrimonio magmatico di valori, di umanità e di storia che una società di calcio rappresenta al di là del suo mero e intrinseco valore economico e patrimoniale. Il Torino è una società sana, contabilmente parlando, ed è pure virtuosa sotto questo aspetto. Questo significa che è oculatamente gestita e che non ha alcun tipo di rischio fallimentare all'orizzonte e di ciò occorre essere grati al suo proprietario. Le società calcistiche, però, per quanto le normative tendano ad accomunarle alle altre aziende, non sono come le altre aziende e non possono vivere di pure e banali logiche aziendali. Le società di calcio, il Torino in primis, hanno obbiettivi sportivi che nulla hanno a che vedere con gli obbiettivi di bilancio: dovrebbero lavorare per realizzare "sogni" che si chiamano vittorie e più sono piccole e più questi sogni, quando e se si realizzano, sono vere e proprie favole.

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Un presidente che non percepisce quanto sia fondamentale provare a regalare sogni ai propri tifosi e a scrivere favole che danno gloria imperitura a chi ne è fautore e protagonista, è l'equivalente di un amministratore di condominio: tanto bravo quanto asettico (e non me ne voglia la categoria degli amministratori di condominio). In questi quindici anni il presidente Cairo è stato un buon amministratore, capace di imparare dai propri errori e di riportare la società in acque tranquille così come la squadra in quella zona di comfort che è il limbo della mezza classifica di A. Peccato che oltre a ciò (che non è poco in valore assoluto, va detto) il presidente non abbia mai dato l'impressione di voler fare qualcosa di straordinario, nel senso di fuori dall'ordinario. Non ha capito la portata sociale e storica dell'essere presidente di un club così speciale come il Torino e di conseguenza non si è adoperato per regalare un sogno al popolo granata. Se vogliamo lo stesso Mazzarri resta, da buon aziendalista, nel solco segnato dal suo datore di lavoro, limitandosi a gestire la squadra in maniera troppo pragmatica, non concedendo nulla allo spettacolo e nulla a quello che i tifosi vorrebbero dal loro ideale di Toro. La vittoria di Genova è l'emblema della gestione Mazzarri e, più in generale, della quindicennale gestione di Cairo: fa star bene, ma non soddisfa, non rende veramente felici. Nella vita come nel calcio c'è bisogno (anche) di poesia, di favole, di sogni. Senza si sopravvive. Vivere appieno è tutta un'altra cosa…

Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.

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