È cominciato il ritiro del Torino e le prime sensazioni che arrivano da Santa Cristina sono di una squadra che sta lavorando in silenzio e molto intensamente, un po' a causa dei metodi di lavoro portati dal nuovo mister, Juric, un po' perché speriamo sia conscia del molto che deve farsi perdonare viste le due annate precedenti. I fatti battono sempre le parole e questa squadra è chiamata a farne parecchi, di fatti: gli stipendi alti, i presunti valori di mercato dei giocatori, i curriculum di molti di loro o i tatuaggi che sfoggiano valgono zero di fronte all'unica cosa che quest'anno, più che mai, conterà per i tifosi: il riscatto sul campo.
Il Granata della porta accanto
La dimensione del Gallo
Molti, e mi metto tra questi molti, a fine campionato invocavano una rivoluzione a livello di organico, un repulisti generale, una sorta di anno zero da cui ripartire, ma non sono stati accontentati. A parte Sirigu, verso il quale non esprimo un giudizio perché non saprei dare il giusto peso alle ragioni del calciatore verso la società e della società verso l'atteggiamento del calciatore, Meite che sembra ad un passo dal Benfica e i prestiti dell'anno scorso non riscattati, per il resto la rosa è rimasta finora inalterata perché sotto osservazione di Juric. Occorrerà fidarsi del fiuto del mister per eventuali conferme di calciatori al momento poco amati dai tifosi, sperando che la voglia di riscatto che l'allenatore croato vedrà in questi giocatori sia reale e non di facciata.
Chi invece resta sempre molto amato sebbene sia in bilico tra il rimanere e l'andare via è il neo campione d’Europa (e neo Cavaliere delle Repubblica!) Andrea Belotti. Il capitano si sta godendo le meritate vacanze, ma il suo futuro non è ancora scritto. Col contratto in scadenza fra un anno e un età che segna un po' il giro di boa nella carriera di un calciatore, il Gallo sta ponderando le scelte da fare per designare il proprio futuro. Le sue scelte avranno un impatto notevole sul Torino, nel bene e nel male, nonché sull'umore dei tifosi che vedono in lui l'ultimo simbolo di un ideale di Toro che oserei definire " in via d'estinzione". Purtroppo la faccenda è più complessa della semplice dicotomia restare per diventare una bandiera o andare per ambire a maggiori successi ( e soldi). Analizzarla a 360 gradi rischia di essere un esercizio stilistico fine a sé stesso perché probabilmente solo Cairo e lo stesso Belotti sanno i veri termini della questione.
A livello affettivo stiamo tutti sperando che il Gallo resti e che si avvicini sempre di più a quel mito vivente che è Paolo Pulici nel corso delle future stagioni, ma perché ciò accada dev'essere un affare per tutti. E a mio avviso lo è.
Il Belotti visto all' Europeo è un giocatore importante, ma non da copertina. L'errore dal dischetto finale e il minutaggio ridotto di cui ha goduto nella cavalcata dell'Italia rende l'idea della dimensione di questo giocatore: un top player in maglia granata, un buonissimo giocatore, ma non di più, in altri ambiti. Non c'è nulla di male a dirlo, anzi, c'è la consapevolezza che rimanere al Toro per Belotti ed il Torino può essere un affare molto più vantaggioso per entrambi che una sua partenza.
La sensazione generale è che Belotti ed il Torino avrebbero insieme tratto vantaggio da una sua cessione l'anno in cui il Gallo fece i 26 gol, quello in cui gli venne affibbiata l'etichetta di mister cento milioni. In quel momento una cessione plurimilionaria avrebbe portato una plusvalenza monstre al bilancio del Torino e un'opportunità di carriera ad alto livello per il giocatore. Ma la cosa (per fortuna) non si fece. Oggi le condizioni per tale reciproco vantaggio non ci sono. Il valore economico del giocatore è alto, ma nella norma (20/25 milioni circa) e anche le potenziali offerte sul tavolo del giocatore non sarebbero di piazze così accattivanti da fare un clamoroso salto di qualità. Il Torino cedesse il giocatore dovrebbe rimpiazzarlo sborsando quasi completamente la cifra incassata e perderebbe una fonte di attenzione mediatica non indifferente, sia di fronte ai propri tifosi (il Gallo è pressoché universalmente amato da ogni tifoso granata), sia di fronte al resto degli sportivi (l'identificazione tra il Torino e Belotti è consolidata come può essere quella tra Insigne e il Napoli o Dzeko e la Roma o, ad altri livelli, tra Lewandowski e il Bayern Monaco). Dal canto suo Belotti cambiando squadra rischierebbe, come si è visto in Nazionale, di diventare nella nuova realtà "uno fra i tanti" e compromettere le sue chance di restare nel giro della Nazionale dove sembra possa aprirsi un ciclo importante, soprattutto in ottica Mondiale fra un anno e mezzo. Non penso, e spero di non sbagliarmi, che il nodo di un potenziale rinnovo fra Belotti e il Torino sia di natura economica: sarebbe sciocco Cairo a non blandire almeno economicamente il suo più prestigioso giocatore. L'aspetto più delicato sarà probabilmente quello legato alle ambizioni di squadra: comprensibilmente il Gallo vorrebbe giocare in un contesto più alto di quello che gli garantisce il Torino oggi e forse l'unico raggio di sole sotto questo aspetto può essere proprio l'arrivo di Juric che agli occhi di Belotti può apparire come una piccola garanzia tecnica che si lotterà di gruppo per qualcosa di più di una risicata salvezza. È chiaro che se Belotti ha percepito in questa sua prima metà di carriera qual è la sua dimensione reale, non potrà non tenere conto dei vantaggi di una sua permanenza al Toro: riconoscenza illimitata ed imperitura dei tifosi granata per il resto della sua esistenza, una titolarità difficilmente scalfibile, la possibilità di avere numeri da bomber di altissimo livello, un'autostrada spalancata per le convocazioni in Nazionale, uno stipendio comunque parametrato verso l'alto, anche se magari non pari a quel qualcosa in più che potrebbe trovare in giro (sì, ma con quali rischi?).
Il non giocare le coppe può essere un handicap così insopportabile da orientare la sua scelta? Potrebbe, ma aggiungo io, che lo sarebbe se il giocatore avesse la certezza di giocarle da protagonista: una partecipazione alla Champions da panchinaro varrebbe la candela?
Con le dovute proporzioni, mi sembra che il Gallo viva le stesse sfumature e dinamiche della carriera di Harry Kane del quale viene a volte da chiedersi: se avesse giocato in un super top club avrebbe ottenuto gli stessi risultati personali in termini di gol e carisma? Anche Kane alla fine non ha vinto nulla pur diventando una leggenda del Tottenham e se dovesse passare al Manchester resterà assoluto protagonista? Forse il paragone più calzante è con un altro attaccante inglese, con cui Belotti condivide umiltà e grandissima determinazione: Jamie Vardy. Il bomber del Leicester pur arrivando in serie A molto tardi nella sua carriera, ha preferito, all'apice della gloria, dopo lo storico scudetto conquistato con le Foxies guidate da Ranieri, restare nel club che lo aveva consacrato al successo e non seguire le sirene di mercato che lo avrebbero portato a club ancora più prestigiosi nei quali però forse avrebbe faticato di più a esprimersi al meglio. In fondo c'è un limite per ognuno in cui i benefici economici supplementari non compensano gli svantaggi in termini di performance, e, per uno sportivo, questo non dovrebbe essere un aspetto secondario da tenere in considerazione nelle proprie scelte.
Ovviamente tutti noi metteremmo la firma affinché la favola di Vardy e il Leicester si potesse ripetere con Belotti e il Torino. A patto che il Gallo resti al Toro.
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
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