La parola più abusata nel mondo del calcio è senza dubbio "progetto". O almeno in Italia è così. Per quanto tutti i media si sforzino di far digerire alle masse di tifosi che il calcio è ormai un business e quindi che ogni azione che calpesta tradizione e sentimento delle tifoserie è legittima perché il calcio è diventato altro rispetto al passato, resta l'immensa ed evidente discrepanza tra il modello di business del calcio e quelli di qualunque altro settore economico. Un imprenditore che investa in una qualunque attività, pur assumendosi il cosiddetto "rischio di impresa", inalienabile e inazzerabile in ogni avventura economica, ha di solito parametri ben definiti e probabilità più certe che il proprio investimento segua il business plan rispetto a chi lo fa gettandosi nel mondo del calcio. Guadagnare soldi col calcio non è così facile come in altre attività, ma ottenere risultati sportivi nel calcio è ancora più difficile per le mille imprevedibili variabili difficilmente controllabili nel loro insieme tipiche di questo mondo: dalle dinamiche di squadra al "fiuto" di un ds, dalla decisione errata di un arbitro ai fattori ambientali, ci sono tantissimi elementi che esulano dal mero investimento economico ad incidere sulle sorti di una stagione sportiva. Ecco quindi che quando si parla di "progetto" nel calcio tutto andrebbe parametrizzato alla piazza, ma soprattutto contestualizzato a ciò a cui realmente si può ambire in base alle disponibilità economiche ed alle ambizioni sportive.
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L’orbo che sarebbe re nel calcio dei progetti “ciechi”
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Se guardiamo all'ultima stagione in serie A, si notano una serie di cosiddetti "progetti" sportivi completamente mancati o falliti da far spaventare per il loro immenso numero. La Juve, ad esempio, ha vinto sì lo scudetto, ma ha completamente fallito il progetto legato al bel gioco imbastito con l'arrivo di Sarri. L'Inter ha fallito il rilancio con Conte, di fatto non lottando mai per il titolo, il Milan ha sballato in pieno il progetto Giampaolo (che qualcuno vorrebbe al Toro…) e si è risollevato solo con l'arrivo di Pioli (e Ibra), il Napoli con Ancelotti era a metà classifica, Spal e Brescia non pervenute, il Cagliari dopo un avvio da Champions si è sciolto, la Fiorentina ha sofferto tutto l'anno, il Sassuolo è uscito alla distanza, mentre Bologna e Parma hanno vivacchiato tranquille con qualche squillo e qualche batosta. Tolta l'Atalanta e il Verona, che hanno sorpreso in relazione alle proprie potenzialità, il resto è un cimitero di progetti partiti con le migliori intenzioni e naufragati o disperatamente corretti cammino facendo.
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Per il Torino è stata una stagione disastrosa in base alle premesse con cui era cominciata, ma tutto sommato per fortuna non terminata nella peggiore delle maniere. Al di là delle presunte cordate che vorrebbero comprare il Torino, il presidente Cairo, se davvero non vuole passare la mano e realizzare la maggiore delle plusvalenze mai viste, dovrebbe semplicemente prendere carta e penna e mettere giù in poche righe quello che dovrebbe essere il "progetto" del Torino del prossimo futuro. Poche idee, ma buone, e soprattutto qualche uomo giusto nel posto giusto. Nell'ordine ci sarebbe da lavorare sul settore giovanile dando impulso alla costruzione non più procrastinabile del Robaldo e aumentando il budget a disposizione di Bava (se resterà), aiutare la fondazione Filadelfia a completare il Fila in modo da avere un centro sportivo all'altezza di un club di Serie A, individuare un allenatore, che sia Longo o qualcun altro, e impostare con lui e Vagnati una rosa che coniughi qualità (possibilmente), ferocia agonistica (imprescindibile) e orgoglio a vestire la maglia granata (conditio che deve diventare "sine qua non" ). Infine con questo foglio di poche righe si dovrebbe presentare alla stampa, chiedere scusa ai tifosi e ricominciare da zero, coi fatti, a dimostrare che i supporter sono il cuore e l'anima del Toro ed è per loro che si lavora e si rema per rendere il Torino sempre più Toro. Niente supercazzole, né promesse da televendita, un semplice progetto che ambisca non ad un risultato sportivo od economico preciso, ma ad una ricerca del feeling, che ovviamente passa anche da risultati sportivi accettabili, con la tifoseria, origine e fine ultimo per cui si muove tutto il baraccone calcio. Un progetto da "orbi" che farebbe di Cairo un re in questo mondo del calcio "cieco" di fronte al senso ultimo della parola programmazione. È così complicato da fare?
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finchè non è finita.
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