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Mettiamo la rabbia in un cassetto, conta solo la partita col Brescia

Mettiamo la rabbia in un cassetto, conta solo la partita col Brescia - immagine 1
Il Granata Della Porta Accanto / Post derby: ingoiamo l'ennesimo boccone amaro e stiamo uniti, ma a fine campionato urge un segnale forte
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

Potrei fare una battuta e dire che il derby è stato un buon allenamento per il Toro in vista della madre di tutte le partite, quella col Brescia, partita, infatti, molto più importante del derby perché potrebbe valere un bel pezzo di salvezza. È una battuta amara, lo so: rivela quanto nessuno di noi tifosi sperasse di ottenere niente di più di ciò che (non) si è ottenuto nella stracittadina giocata allo Juventus Stadium: una sconfitta preventivata, condita da tanti gol subiti, ma da una prestazione che perlomeno non è stata completamente disastrosa, oltre al minimo danno di un solo diffidato ammonito e che verrà squalificato (Izzo). Stop, tutto qui.

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Se inquadriamo questa partita nell'ottica di questa annata maledetta, è superfluo sottolineare che non era certo con la Juve che si poteva sperare di fare punti salvezza ed anzi, nel male, a tratti, si è pure visto un Toro che non sembra completamente allo sbando, un Toro che vincendo le partite giuste (tipo quella col Brescia) può essere ancora padrone del proprio destino e sperare legittimamente di rimanere in serie A. Se invece inquadriamo questa partita in un arco temporale che comprende i 15 anni della presidenza Cairo, beh, non vi è nulla che si possa estrapolare se non la convinzione sempre più marcata che il nostro patron debba dare una svolta concreta alla sua permanenza alla guida del Toro perché non è inanellando record negativi  che ricucirà lo strappo ormai sempre più insanabile con la piazza granata. 18 derby persi in 15 anni sono un numero che non è accettabile per nessun tifoso del Toro: il calcio è cambiato, ma questo non significa dover abdicare volontariamente al retaggio storico di valori e motivazioni su cui da sempre si fonda la società granata. Queste continue umiliazioni nei derby sono figlie della progressiva perdita di identità della nostra società più che di un oggettivo divario tecnico con i rivali storici. È esplicita colpa di Cairo se la parabola della sua lunga presidenza ha sfiorato vette esaltanti quanto modeste nei risultati (Bilbao, ad esempio, che resta una vittoria epica ma confinata nell'ambito di un ottavo di finale di Europa League…) ma è stata in compenso ricca di lunghi periodi di mediocrità assoluta: in campo ci vanno i giocatori, vero, ma questi sono allenati da mister scelti da Cairo e dai ds che sempre lui sceglie. Nessuno pretende che Cairo ne capisca di calcio o sia un tifoso sfegatato granata (sebbene entrambe queste cose non guasterebbero…), però è ragionevole pretendere che, da brillante imprenditore qual è, sia capace di circondarsi dei migliori professionisti del settore per ottenere il massimo dei risultati possibili. Nei suoi 15 anni di presidenza solo per 3-4, grazie al binomio Ventura-Petrachi, Cairo ha portato risultati in crescita ed in linea con il suo potenziale di imprenditore ambizioso oltre che con la storia e le aspettative dei tifosi granata. Per il resto un'assenza quasi sospetta di ogni traccia di un progetto vero affidato a persone investite di vera fiducia e veri poteri decisionali. Desolante scenario se raffrontato appunto ad un arco temporale di tre lustri… L'ennesimo derby perso non deve essere un motivo per inveire contro tutto e tutti, ma nella gravità di questo momento in cui ognuno di noi dovrebbe remare dalla stessa parte per spingere la squadra a salvare il salvabile (cioè la categoria), deve senza dubbio diventare motivo di ulteriore riflessione per fare un doveroso mea culpa e per programmare una rivoluzione tecnica e "culturale" nella gestione della società a partire dal minuto immediatamente successivo alla fine di questo angosciante campionato. Oggi è fondamentale essere positivi e propositivi perché siamo alle porte di una sfida, quella col Brescia, che è di vitale importanza e che non possiamo permetterci di sbagliare. Le umiliazioni sportive di questa stagione, però, devono far riflettere seriamente chi ha in mano le redini del Torino sulla necessità assolutamente improcrastinabile di una svolta "mentale" e di metodo nel modo di gestire la società. Ingoiamo l'ennesimo boccone amaro e reprimiamo la rabbia, ma un segnale forte andrà dato a tutta la piazza e a 360 gradi: sul mercato, sulle giovanili, sulle strutture e sull'organigramma. Non è ammissibile che i lavori al Robaldo non siano ancora cominciati o che i budget per le giovanili siano sempre più risicati o che siamo l'unica società italiana che non ha ancora messo in cantiere un progetto per uno stadio di proprietà. O che non compriamo un centrocampista dai piedi buoni e con visione di gioco da tempo immemore.

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Mettiamo la rabbia in un cassetto e concentriamoci sulla partita col Brescia e su tutte le altre partite che ci potranno far fare i punti necessari a salvarci. Poi a bocce ferme conteranno solo i fatti di chi prende le decisioni in società e non più le sue vacue parole.

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