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IL GRANata della porta accanto

Perché vendere un pezzo di seconda pelle?

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Il Granata della Porta Accanto / È davvero necessario compiacere uno sponsor secondario per un pugno di dollari?
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

Prima che qualcuno lo pensi o me lo scriva nei commenti lo dico apertamente: non vivo sulla Luna e, sì, sono consapevole che il calcio di oggi sia cambiato e stia ulteriormente cambiando, purtroppo, sempre di più e in peggio. Sono consapevole, altresì, di portare avanti una crociata che molti definirebbero anacronistica e sicuramente destinata ad essere efficace come una bolla di sapone contro un carro armato; tuttavia, non mi rassegno per un semplice, ma fondamentale motivo che sta alla sua base ed è sintetizzabile con la seguente domanda: sono i valori negoziabili? La storia dell'umanità ha avuto molteplici cambiamenti, epoche d'oro e di sviluppo ed epoche buie e di stagnazione, ma i valori principali (lealtà, coraggio, giustizia, saggezza, ecc) che costituiscono le fondamentali virtù di ogni uomo e donna che abbia messo piede su questa terra sono sempre esistite ed hanno sempre segnato il confine nelle scelte che il libero arbitrio umano ci permette di fare. A cosa mi riferisco con questa lunga premessa, dunque? All’apposizione della patch bianconera dello sponsor JD sulla seconda maglia di questa stagione, patch che già porta in dote una J in più oltre a quella della Joma e che per di più colora di bianconero una maglia che col bianconero non dovrebbe avere nulla a che fare nemmeno per sbaglio. Capisco le legittime richieste dello sponsor che, giustamente, pagando, ha diritto a portare avanti le proprie istanze, non capisco invece la posizione del Torino FC a cui nessuno ha puntato la pistola alla testa per accettare l'offerta della JD. In una trattativa commerciale fra privati si è sempre liberi di dire no.

Servono i soldi degli sponsor? Come no, certamente! È obbligatorio rinunciare ad un pezzo di sé stessi per una manciata di euro? A mio parere no, ma questa non è una questione "commerciale" quanto una questione di valori, di scelte o, se vogliamo usare una parola grossa, di etica. Non conosco le cifre dell'accordo con JD, probabilmente anche discretamente buone, ma considerando che non è lo sponsor principale l'introito che ne deriva sarà comunque marginale sul fatturato globale del Torino FC. Ripropongo quindi la domanda: è davvero necessario vendere un pezzo di “seconda pelle”, come viene definita la maglia del Toro, per compiacere uno sponsor secondario per un pugno di dollari?

Questa società è fortemente bipolare, nel senso che per una buona iniziativa che mette in campo c'è sempre a far da contraltare una caduta di stile: si fa una seconda maglia molto carina e dal valore simbolico importante (sebbene a fare i pignoli era da proporre due stagioni fa quando ricorreva il trentennale dell'ultima Coppa Italia vinta...) eppure si riesce a rovinare tutto per piegarsi al volere e al denaro di uno sponsor mettendo uno stemma bianconero. Ma possibile che non si riescano ad avere un paio di linee guida ferme e solide legate alla storia e ai valori del Torino senza ogni volta inciampare in qualcosa che rischi di urtare la sensibilità dei tifosi? Perché, se il tutto fosse solo legato a piccoli incidenti di percorso che possono capitare, sarebbe fastidioso, ma comprensibile. Il problema è che sono episodi sistematici in nome di non si sa bene quale vantaggio per questo club: siamo più ricchi? Non mi pare. Siamo più forti? Il campo dice altro. Abbiamo acquisito più tifosi? Purtroppo, il trend è esattamente il contrario. Abbiamo guadagnato posizioni di potere nello scacchiere politico del calcio italiano? Assolutamente no e a partire da certi arbitraggi la cosa è piuttosto acclarata.

Allora mi chiedo: perché non fare la nostra strada all'interno di questo calcio portando avanti un'idea di società veramente differente in cui la gente si possa davvero identificare come nel passato? Cosa avremmo da perdere a seguire questa nostra strada da "duri e puri" che sia peggio della lenta agonia che stiamo vivendo da tanti anni a questa parte? Perché non si potrebbe gestire il Torino in una maniera del tutto differente e magari ottenere gli stessi modesti risultati, ma con un sapore ed un entusiasmo totalmente differente?

A maggior ragione dopo la commovente ed a tratti epica partita di San Siro dove una panchina troppo corta dovuta alla lentezza del mercato è stata fatale nel fallire l'impresa, mi piacerebbe davvero avere delle risposte, ma so che gli idealisti come me vengono trattati, come dice il proverbio, alla stregua di vecchi, bambini e scemi: gli si dà ragione perché tanto non contano nulla. Eppure, se un singolo come me conta poco, un popolo come quello granata dovrebbe contare eccome: quando gli si comincerà a nutrire il giusto rispetto?

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