Ho trovato molto interessante la chiave di lettura che ha dato il collega Paolo Patrito che in un articolo apparso su Toro News in settimana ha sottolineato come avere per il Torino FC le sue strutture nel cuore della città sia un vantaggio più che uno svantaggio: un intervento che mirava in un certo senso a ribaltare l'ottica con cui di solito si bolla come "inadeguati" per una moderna società di calcio di alto livello gli impianti Filadelfia e Grande Torino.
Il granata della porta accanto
Torino è stata, ma resterà granata?
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In effetti il giornalista faceva notare come quasi nessuna società calcistica italiana e non sia così radicata nel cuore della città che le dà il nome, mentre il Torino ha questa "fortuna". Una condizione che, se ben sfruttata, appunto, può rivelarsi un plus non indifferente. Chiaramente il vulnus sta proprio in questa conditio: al momento, né la società Torino FC, né il Comune di Torino, stanno sfruttando appieno questo unicum rappresentato dalla potenzialità della "cittadella granata", come viene definita l'area che si estende lungo l'asse di Via Filadelfia dallo stadio Grande Torino allo storico stadio Filadelfia.
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Non starò qui a ripetere le solite cose che si sanno circa il fumoso impegno di Cairo sulle strutture sportive e l'altrettanto fumosa par condicio che l'amministrazione cittadina applica alle due società calcistiche del capoluogo piemontese, mentre mi piacerebbe seriamente condividere alcune mie considerazioni a tutto tondo sul futuro del Toro. E a maggior ragione adesso che la classifica sorride come raramente negli ultimi dieci anni e che stiamo vivendo un momento sportivamente sereno e a tratti anche entusiasmante, sono convinto che la guardia non vada abbassata su alcune questioni di fondo che, se sottovalutate, potrebbero portare ad una lenta, ma inesorabile, disaffezione dei tifosi granata verso il Torino.
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Premetto subito una cosa, prima di essere tacciato di essere il solito maicuntent: mi sto godendo alla grande i risultati che i ragazzi di Juric stanno facendo in questa annata fin qui molto positiva e sono sicuro che non ci sia nessuno più felice di me quando il Toro va bene e dà soddisfazioni come in questo periodo.
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Detto questo, i capelli grigi che incomincio ad avere in testa al netto dei pochi che mi sono rimasti, mi suggeriscono di guardare un po' più in là del mio naso e di notare come un trentennio di avare soddisfazioni mixato ad una gestione poco "granata" della società stiano producendo lentamente un'emorragia di tifosi che nel lungo periodo porterà il tifo granata ad essere protetto dal WWF come i panda o i koala.
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Ci sono ormai generazioni di tifosi under 30, che io ammiro più di chiunque altro nel mondo, che tifano il Toro con una fede incredibile e che nella loro vita hanno visto un derby vinto e la notte di San Mames come picchi di goduria sportiva! È chiaro che a questi ragazzi si stia già chiedendo uno sforzo sovraumano a non mollare, ma con quale forza sapranno trasmettere a loro volta la loro passione ai propri figli se l'andazzo sarà quello attuale anche nei prossimi decenni?
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In assenza di grandi successi ( anche "solo" una Coppa Italia per noi avrebbe lo stesso effetto di una Champions) è solo attraverso un modello di società che sa trasferire e convogliare ai propri sostenitori i propri valori nel tempo anche attraverso i luoghi e i simboli più caratterizzanti che si può sperare di continuare in futuro ad avere uno zoccolo di tifoseria che sia numericamente (e qualitativamente…) rilevante nel panorama italiano.
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Se davvero creassimo il quartiere granata con lo stadio di proprietà e un Filadelfia utilizzato al meglio (con le partite della Primavera, il museo, la sede e una piazza di incontro tra tifoseria e squadra), se davvero curassimo il vivaio regalandogli una casa "vera" finalmente (il Robaldo, anch'esso in territorio cittadino) e sapessimo allevare giovani calciatori capaci di portare in Prima Squadra l'attaccamento alla maglia e alla storia del Torino, se davvero sapessimo utilizzare la narrazione epica che il brand Torino può avere in un mondo di plastica come quello del calcio delle squadre "figurine" allestite da sceicchi e fondi americani, ecco che avremmo trovato la chiave per continuare nei secoli a vedere generazioni di supporter seriamente ed entusiasticamente fieri di essere tifosi di qualcosa di diverso, di essere tifosi del Toro.
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"Torino è stata e resterà granata" è uno dei canti più iconici della tifoseria granata, ma fra qualche decennio (meno di quello che immaginiamo andando avanti in questo modo), dovremo porci la seguente domanda: Torino è stata, ma resterà granata? A qualcuno farebbe comodo spazzare via l'ultimo baluardo romantico che si frappone fra l'arroganza di chi si vuole prendere tutto senza nessun tipo di scrupoli e chi vuole preservare un'idea di calcio e di sport ancora legata a quei valori che altro non sono se non lo specchio della vita reale di un mondo dove non tutto ha un prezzo e non tutto è comprabile, ma noi resistiamo e lotteremo per preservare la nostra identità e soprattutto per trasmetterla a chi verrà dopo.
Ecco perché proprio nei momenti positivi della squadra, nei momenti quindi in cui l'ambiente è sereno, è necessario chiedere che lo sguardo della società sia ben focalizzato sul futuro e su progetti che possano permettere al Toro di essere da un lato cuore pulsante di Torino città e dall'altro casa di tutti coloro che in Italia e nel mondo condividono i valori granata. È meglio parlare e proporre quando tutto va bene che urlare e denigrare quando tutto va male: ed oggi è uno di quei momenti. Perché io quel canto, "Torino è stata e resterà granata", voglio continuare a sentirlo e ad urlarlo ancora a lungo…
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
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