Uno per anni sogna magnati russi, sceicchi arabi, qualche paperone americano, le multinazionali degli energy drink o, extrema ratio, un miliardario cinese mandato dal governo di Pechino e poi in un'afosa sera di luglio si rende conto che l'uomo che da undici anni possiede il pacchetto di maggioranza delle azioni del Torino FC (il Toro non è suo, ma dei tifosi...) e' in realtà il più grande editore italiano! Una cosa incredibile, tanto più pensando che un semplice assioma dei nostri tempi, e di quelli passati, sostiene che chi controlla l'informazione solitamente ha un potere estremamente grande. Se chiedete a qualunque tifoso del Toro, però, vi dirà che se Cairo è uno degli uomini più potenti d'Italia, lui non se n'era accorto perché la sua squadra (di Cairo) non è, stranamente, aggiungerei io, tra le più forti del campionato.
columnist
Toro, guarda un po’, il tycoon ce l’hai in casa!
Banale, direte voi, fare l'equazione grande imprenditore=grande squadra di calcio, ed in effetti non avete tutti i torti. I soldi non fanno la felicità, concetto che nel mondo sportivo si traduce in "i soldi non comprano le vittorie", un'affermazione parzialmente confutabile se con i soldi ci compri grandi giocatori e con questi aumenti considerevolmente la possibilità di ottenerne. Cosa che, senza andare troppo lontano, accadde ai tempi di Borsano con la squadra che incominciò a volare quando gli Enzo di cognome incominciarono ad essere sostituti dagli Enzo di nome e Scifo di cognome o quando i Martin Vasquez dai tori di Madrid si trasferirono al Toro di Torino. Che poi Borsano fosse legato al più contestato politico italiano travolto dal più grande scandalo della storia della nostra giovane, ma ben scafata, Repubblica fu una coincidenza astrale che portò vent'anni di sfighe alla nostra squadra, ma non per questo dobbiamo ancora oggi aver paura di un presidente che investe nel Toro perché potrebbe farci fallire!
Il problema è che definire Cairo un tycoon e' come definire Berlusconi uno statista: non è credibile. Si, il nostro presidente e' il principale attore sulla scena editoriale italiana (messa maluccio, per la cronaca...), ma non ha il physique du rôle per fare il magnate. Non ha quell'atteggiamento piglia tutto un po' sbruffone alla Trump del "quanto costa la baracca?" con l'assegnino a più zeri già pronto in mano, ne' ha la spacconeria del suo vecchio capo che apostrofava gli avversari politici con la retorica domanda "ma lei quante coppe dei campioni ha vinto?". E per assurgere al rango di "buon miliardario" non basta una famiglia numerosissima, quattro figli, un paio di divorzi alle spalle e il cliché dell'uomo dedito al lavoro con una fame costante di nuove avventure imprenditoriali. Il problema è che Cairo è un rigattiere della finanza, uno che in un mondo dorato non butta via niente e prova a recuperare tutto: intendiamoci, una grandissima qualità che ha fatto la sua fortuna, ma che mal si sposa, ad esempio, col mondo del calcio dove l'apparenza conta quasi più della sostanza. E così i suoi punti di riferimento come presidenti di società calcistiche sono i Pozzo o i Campedelli, gente che fa dei capolavori sportivi con quattro spicci, piuttosto che i Bernabeu o i Novo che la storia del calcio l'hanno scritta, ma ci hanno messo del proprio in quanto a capitali.
C'è però ancora una speranza. Quest'estate qualcosa di epocale e' successo, un evento che potrebbe essere prodromo ad una metamorfosi lenta ma inesorabile verso la gloria: il tetto ingaggi del Toro è di fatto saltato. Un piccolo passo per l'umanità, ma un grande passo per il nostro presidente, sempre più vicino a conquistare la stella degli scudetti del bilancio che quella degli scudetti sul campo.
Urbano, mi permetto di chiamarlo così perché dopo undici anni e' ormai uno di casa, lo abbiamo visto crescere: da piccolo editore e raccoglitore di pubblicità semisconosciuto al grande pubblico a magnate dell'editoria in poco più di due lustri. La sua ascesa e' stata costante, quella della squadra un po' più altalenante. Negli ultimi anni si è risalita la china, ma più passa il tempo e più si acuisce la forbice tra i successi del suo presidente e i risultati dei suoi giocatori. I più maligni dicono che il piano era proprio questo: usare il Torino, anzi il calcio, come volano mediatico per dare lustro all'imprenditore. Ma se ti compri la Ferrari per sembrare più socialmente appetibile, appena lo diventerai sul serio non potrai permetterti di lasciare un tale popò di auto con le gomme sgonfie, il serbatoio vuoto e la carrozzeria graffiata: ne va comunque della tua immagine. Metti poi che ad un ricevimento dell'alta società salta su qualcuno che ti chiede quante coppe dei campioni hai vinto, sai che figura se non puoi mettere sul piatto nemmeno una coppetta Italia? Alla fine credo che Cairo sia solo come il brutto anatroccolo che diventerà cigno: e' un Tycoon destinato a grandi successi sportivi, ma non sa ancora di esserlo. Qualcuno lo avvisi prima che sparisca anche la generazione di quelli che hanno visto lo scudetto del '76...
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