Era la partita della svolta, dei tre punti da conquistare senza se e senza ma, della risposta da dare alla contestazione andata in scena al Filadelfia, delle virgole da mettere al loro posto e dei progressi delle ultime uscite, se così potevamo definirli, da confermare sul campo. È finita invece malissimo, con una sconfitta in piena media matematica di quest'anno (due gol fatti e tre subiti, credo che i bookmaker non quotino nemmeno più l'over nelle partite del Toro…) e la solita beffa (la traversa di Rodriguez su di un calcio di punizione praticamente perfetto) che il destino ama mettere sistematicamente nelle vicende granata quando il carico di autolesionismo è già alle stelle. Inizio ad avere una certa età e francamente non ricordo un avvio di campionato più disastroso di questo: a memoria direi quello di Souness, ma fu interrotto ben prima che potesse prendere le dimensioni apocalittiche di questo.
columnist
Toro, nel far west delle colpe, un solo responsabile
Nel clima da tutti contro tutti che normalmente si genera in situazioni come queste è difficile distribuire equamente le colpe, tant'è che ormai, Belotti a parte, e sottolineo quanto sia triste non poter dare la giusta eco ad un traguardo così incredibile quale quello dei cento gol segnati dal Gallo con la maglia granata, tutti sono finiti nel tritacarne della critica incontrollata figlia della pochezza dei risultati. Da Segre fino al mister la gogna virtuale dei social sta colpendo un po' tutti senza grandi distinzione di (de)merito. E se in tutte le critiche c'è un fondo di verità, le invettive purtroppo non portano punti in classifica quanto invece lo farebbero professionisti motivati e una chiara e fredda analisi fatta da chi il Toro non dovrebbe solo gestirlo come un amministratore di condominio, ma con un'ottica lungimirante verso obbiettivi sportivi di medio e lungo termine. Le società di calcio non sono organi democratici che producono, da idee condivise dalla maggioranza, politiche attuative consequenziali, ma organismi piramidali che lavorano in base agli input ed alle impostazioni che arrivano dal vertice.
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Se il Torino oggi ha sei punti in classifica è perché chi ha dato i budget, chi ha scelto gli obbiettivi e gli uomini per raggiungerli, chi ha definito le linee guida interne e ha generato il mood aziendale in cui tutti operano, ha fatto più errori di chi gli sta sotto. Possiamo girarci intorno quanto vogliamo, ma se siamo in questa situazione il responsabile principale è Urbano Cairo. Se dopo 15 anni le dinamiche del mondo del calcio non gli sono ancora chiare questo è un aspetto sul quale dovrebbe riflettere molto seriamente perché ciò che il presidente ha per le mani non è semplicemente una società di sua proprietà come tutte le altre del suo gruppo, ma un patrimonio collettivo caro a più di un milione di persone/tifosi. Se c'è qualcosa che abbiamo imparato da Anthony Weatherill (questo maledetto 2020 ci ha portato via anche lui, che riposi in pace) è che le società di calcio hanno una componente fondamentale legata al loro patrimonio storico, sociale e culturale che non si può eliminare né svincolare dal loro contesto globale sebbene oggi si tenda a far prevalere in esse da chi le amministra l'aspetto prevalentemente legato al business. Nessuno pretende un magnate tifoso a capo del Torino (ma quanto sarebbe bello…! ) però è inaccettabile che Cairo, ragionando da ottimizzatore di costi e da risanatore di bilanci, non abbia partorito in tre lustri il benché minimo straccio di un progetto sportivo concreto che creasse un volano positivo per il Torino i cui riflessi avrebbero potuto essere importanti in anche sul piano economico, a lui tanto caro. Come un pessimo giocatore di Monopoli, il presidente, invece, si sta ritrovando, se le cose non cambieranno in fretta, a ritornare alla fine di questa stagione al via senza nessun beneficio né sportivo, né patrimoniale.
La questione non è nemmeno più Giampaolo sì, Giampaolo no, la questione è salvare il salvabile senza badare al come: è in momenti come questi che l'uomo al vertice della piramide deve saper analizzare freddamente la situazione e prendere le decisioni più giuste per uscire da questo gorgo negativo. L'impulso deve arrivare dall'alto e deve propagarsi deciso e diretto sino alla base della piramide: va fatto tutto il possibile per rimediare ad un'incredibile serie di errori che sono stati perpetrati continuativamente negli ultimi anni. E se esonero deve essere che esonero sia, ma non può essere solo quella la facile via d'uscita perché poi sarà altrettanto importante non tirarsi indietro a gennaio e fare un mercato corposo per questo o per il nuovo tecnico che comunque avrà bisogno di giocatori utili ad aiutare un gruppo che appare debole e confuso oltreché a corto di qualità.
Ci vuole determinazione ed elasticità per provare a cambiare molte cose adesso che ancora può avere un senso farlo: salvare il Toro è principalmente un dovere morale a cui il presidente non può sottrarsi. Guai anche solo a ragionare di paracaduti della Lega o vendite dei giocatori più rappresentativi…
Insomma, nel far west delle colpe, che sono giustamente da distribuire un po' tra tutti, è bene ricordare, però, che c'è un solo responsabile di questa situazione, cioè colui che con le sue scelte e le sue non-scelte ha determinato gli eventi che hanno portato il Toro in piena zona retrocessione e senza un'apparente speranza di ripresa. Ed è a lui, quindi, Urbano Cairo, che ora spetta nel bene e nel male, districare questa intricata matassa con decisione e senza alcun indugio per evitare un disastro sportivo dal quale sarebbe difficile risollevarsi. Il re è nudo, ormai lo hanno capito tutti…
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Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
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