Nulla accade per caso e se nell'arco di due stagioni una squadra perde per due volte in casa 0-7 e poi in entrambe le gare successive, contro squadre in lotta per la salvezza, prende altri 4 gol vuol dire che di fondo c'è qualcosa che non va nel gruppo squadra. Dopo una batosta il livello della reazione è l'indicatore dei valori agonistici e il Toro ha dimostrato di non avere una forza mentale sufficiente per appoggiarvicisi nei momenti difficili. Qualcuno penserà : "Bravo, hai scoperto l'acqua calda!“. Vero, è un concetto questo, della squadra che ha un deficit mostruoso di personalità, già detto e stradetto, per cui non dobbiamo stupirci se nei momenti chiave, quelli dove è necessario essere compatti e cazzuti (scusate il francesismo) inevitabilmente emergano le fragilità di questo ambiente. E sottolineo la parola ambiente perché se da un lato è vero che ci sono troppi giocatori che non hanno la personalità per dare al gruppo un contributo decisivo nei crocevia delle stagioni (e Verdi ne è l'emblema massimo), dall'altro credo che sia l'ambiente tutto (e qui metterei sul banco degli imputati la società) a far sì che anche le spinte positive, e penso allo staff di Longo l'anno scorso, ai nuovi acquisti estivi di inizio stagione o anche in parte al grosso lavoro di Nicola da subentrato, presto perdano di incisività esaurendosi ed incagliandosi nelle sabbie mobili di un ambiente societario incapace di trasferire input positivi e vincenti. C'è del marcio in Danimarca potremmo chiosare, per usare una famosa citazione shakespeariana…
Il Granata Della Porta Accanto
Toro, solo l’orgoglio dei giocatori può salvarti adesso
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Al di là quindi del desiderio di vedere un repulisti globale dalle parti di Via Arcivescovado, o più correttamente dalla parti di Via Magenta a Milano, sono, però, d'accordo con Nicola che sarebbe un peccato non fare un ultimo sforzo per portare a casa questa salvezza che, da quando è lui il mister, da mission impossible è diventata quasi realtà. Manca un passo e quest'ultimo slancio solo i giocatori possono darlo, nessun altro al posto loro. In tempi passati, cioè quando da fine anni '80 si susseguirono periodicamente molteplici crisi societarie, spesso gli allenatori erano bravi ad isolare il gruppo squadra dalle turbolenze esterne per far rendere al massimo i giocatori in campo, limitando al minimo gli effetti negativi delle vicissitudini societarie che portavano inevitabilmente tensioni e disturbo. Ecco, a questo dovrebbe ispirarsi Nicola per le ultime due partite: isolare la squadra dall'ambiente circostante, da quell'assedio di negatività che si respira all'esterno, per far concentrare i suoi al 100% sulle ultime due battaglie.
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D'altro canto i giocatori stessi dovrebbero guardarsi negli occhi e ritrovare un briciolo di orgoglio ed amor proprio per dimostrare al mondo di essere più bravi di quanto l'opinione pubblica e i risultati ottenuti suggeriscano. Non serve la retorica della maglia e del rispetto verso i tifosi perché non è quello, purtroppo, il tasto giusto per toccare nel vivo i calciatori di oggi. Forse una volta, ma adesso non più. Si vada a Roma con gli occhi iniettati di sangue e la voglia di lottare su ogni pallone, quella voglia che i giocatori dello Spezia (lo Spezia, non il Real Madrid) hanno messo dal primo all'ultimo minuto vincendo così la partita con noi. Certo solo l'agonismo non fa vincere le partite, ma è una base di partenza non negoziabile se si vogliono conquistare i tre punti: ovunque e contro chiunque. C'è un dato che fotografa la situazione del Torino oggi: di tutte le squadre di serie A (Crotone e Parma a parte, già retrocesse) la truppa di Nicola è quella che ha vinto meno partite di tutte. Ha il record di pareggi, ma la vittoria, quella cosa che nello sport certifica una performance, anche mentale, migliore dell'avversario, in casa granata è stata merce rara in questa (e nella passata) stagione. C'è, per fortuna, ancora modo per rimediare. Lazio e Benevento sono due occasioni perché i "professionisti" che indossano la maglia granata possano mostrare a sé stessi e al mondo che sono capaci di fare il proprio lavoro in proporzione a quanto vengono pagati e valutati. E soprattutto evitare di essere marchiati con la peggiore delle infamie: quella di non essere stati in grado di dimostrare di essere uomini ancor prima che giocatori.
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