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Toro: vincere non deve essere un tabù

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Torna l'appuntamento con "Il Granata della Porta Accanto" la rubrica di Alessandro Costantino: "Ma l'input dell'ambizione deve arrivare dalla proprietà..."

La morte di Berlusconi, per trent'anni presidente del Milan e più recentemente proprietario del Monza portato in Serie A, ha rispolverato, tra i vari ricordi di chi lo ha frequentato, quello legato al suo rapporto con Urbano Cairo. Cairo è stato agli inizi della sua carriera un "delfino" di Berlusconi e, per sua stessa ammissione, ha confessato che il Cavaliere è stato un punto di riferimento per la sua parabola imprenditoriale. A parte la "discesa" in politica, il percorso di Cairo ha scimmiottato moltissimo quello di Berlusconi tanto che oggi Cairo è, di fatto, il principale protagonista dell'editoria italiana. Anche nel calcio Cairo ha seguito le orme del fondatore di Forza Italia rilevando il Torino dai lodisti e gestendolo per 18 anni senza però minimamente raggiungere gli strabilianti risultati che Berlusconi ha avuto col Milan e, in proporzione alla piazza, anche col Monza.

Il Milan di Berlusconi è stato vincente più in Europa che in Italia, ma ha comunque collezionato titoli a raffica dalla fine degli anni Ottanta al primo decennio del Duemila. Se c'era quindi un aggettivo che piaceva molto al Cavaliere per definirsi e per definire i risultati da lui raggiunti in ogni campo questo era sicuramente "vincente". Essere tifosi del Toro spesso genera un cortocircuito emotivo con il concetto di vincere: avendo questa atavica rivalità con la Juventus che basa tutta la propria filosofia sul vincere ad ogni costo ecco che, quasi per reazione, spesso il tifoso granata tesse l'elogio della "sconfitta onorevole", che sicuramente ha il suo fascino e i suoi valori etici positivi, ma che in ambito sportivo è pari solo al motto "l'importante è partecipare" di decoubertiniana memoria. Anch'io credo di serbare ricordi emotivamente più forti e orgogliosamente più "granata" per sconfitte tipo quella di Amsterdam o quella dello spareggio di Reggio Emilia col Perugia, così come ritengo che il capolavoro dell'epoca d'oro di Radice fu il campionato dei 50 punti (su 60…) che però non valse il bis dello scudetto dell'anno prima. L'epopea della storia granata basata su episodi tragici sia sportivamente che umanamente (Superga, Meroni, Ferrini) non deve però offuscare la nostra capacità di leggere la nostra gloriosa storia anche attraverso le vittorie (il Grande Torino, il Toro dei gemelli del gol, la Coppa Italia vinta contro Sguizzato -sì, il vero avversario fu lui, non la Roma): lo sport è competizione e la competizione ha come fine ultimo la vittoria. Possiamo discutere sul come ottenere questa vittoria (lealmente, con rispetto dell'avversario, con mezzi economici limitati, ecc.), ma non dovremmo mai mettere in dubbio l'idea che il Toro debba scendere in campo per vincere, che sia una partita, il campionato o una coppa.

Ho spesso applaudito i giocatori dopo sconfitte che nel mio orgoglio granata mi apparivano più grandi di certe vittorie, ma credo che dopo 18 anni di presidenza Cairo occorra riaffermare con grande onestà che il Toro deve partire ogni anno con obbiettivi ambiziosi. Vincere non deve essere un tabù, un qualcosa di cui dobbiamo vergognarci di desiderare. Lo vogliamo fare a "modo nostro", certo, senza uno sceicco alle spalle o una famiglia che si è arricchita vendendo automobili, ma abbiamo il diritto di ambire anche noi a farlo. Nell'epoca dei presidenti mecenati, di cui Berlusconi con Moratti è stato un ultimo esemplare, abbiamo avuto Pianelli che con un basso profilo ci ha fatto tornare in vetta all'Italia calcistica. Perché ciò non dovrebbe avvenire anche con il più grande editore italiano che ci guida da quasi un ventennio? La morte di Berlusconi dovrebbe essere uno stimolo per Cairo per voler fare di più in ambito sportivo, un ambito in cui il suo modello di ispirazione ha ottenuto successi a raffica. Le televisioni, i giornali, l'alta imprenditoria, la visibilità, sono molti i successi ottenuti da Cairo nella sua storia imprenditoriale, ma all'appello manca il calcio nel quale ha vivacchiato seppur al timone di una società gloriosa come il Torino. Il Monza di Berlusconi ha ottenuto al suo primo anno assoluto di Serie A il risultato medio della presidenza Cairo: "vincere" è una cultura che si riflette sul proprio staff, ma che ha come origine l'input che arriva da chi tiene le redini.

Se non si hanno ambizioni come si potranno motivare i propri collaboratori ad ottenere il massimo? Come si potranno attirare a sé i collaboratori più "vincenti" (dirigenti, allenatori, giocatori)? Il Torino non deve obbligatoriamente tornare a vincere, ma deve assolutamente tornare a poterlo fare. La Fiorentina di Commisso non ha vinto nulla, ma quest'anno ha disputato due finali ed ha avuto la possibilità di vincere. Ed ha fatto una stagione che ha sicuramente esaltato i suoi tifosi a prescindere dall'amarissimo epilogo. Ecco quindi che vincere non è tutto, ma non provarci nemmeno è sicuramente la sconfitta più grande in assoluto. Non sto dicendo a Cairo di emulare ancora Berlusconi, ma di fare proprio l'atteggiamento che aveva il suo vecchio capo. Ambire a vincere e farlo con il Torino forse renderebbe Cairo ancora più grande del suo mito Berlusconi. Ma il tempo stringe! Abbiamo un allenatore ambizioso e giocatori interessanti sui quali costruire un ciclo "vincente": vanno rotti gli indugi, vanno rotti i tabù. Vincere non è una parolaccia, ma una legittima aspirazione. È il modo in cui lo si fa, o con cui si va vicini a farlo, che definisce quanto grande è il posto riservato nella memoria collettiva di noi tifosi di chi ne è protagonista…

Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.

Disclaimer: gli opinionisti ospitati da Toro News esprimono il loro pensiero indipendentemente dalla linea editoriale seguita dalla Redazione del giornale online, il quale da sempre fa del pluralismo e della libera condivisione delle opinioni un proprio tratto distintivo.

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