Molto rumore per nulla. È questo ciò che è successo nell'ultima settimana nel mondo Toro. Dalle dichiarazioni di Juric nel dopo Torino-Salernitana al palo di Zapata al 95’ di Sassuolo-Torino si è passato un sacco di tempo ad analizzare se questo Torino sia da Europa, se Juric sia l'allenatore giusto per questa piazza e se i tifosi siano ancora “sufficientemente granata” nel DNA. Sono intervenute vecchie glorie come Agroppi e star della musica come Willie Peyote, da una cui intervista il mister aveva preso spunto per fare “appunti” alla tifoseria, ma alla fine di questo bel tourbillon mediatico si è tornati al punto di partenza perché ci si era dimenticati di una cosa fondamentale: il campo non mente (quasi) mai. E infatti il Toro esce dalle ultime due partite contro due squadre in difficoltà con soli due punti a fronte dei sei che ci si sarebbe aspettati da una squadra in lotta per l'Europa. Di chi sia la colpa di tutto ciò, se dei giocatori con poca qualità, del mister che non sa far fare il salto di qualità, del presidente privo di ambizione o dei tifosi ormai troppo nostalgici del tempo che fu è argomento sul quale si potrebbe dibattere altrettanto a lungo, ma la realtà resta quella fotografata dalle ultime due partite: un Toro buono a tratti, ma non completamente convincente e poco “cattivo” nel voler davvero andare a prendersi punti pesanti quando serve ed è necessario.
Il granata della porta accanto
Un Toro intrappolato nella ricerca delle colpe
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Certo è che se ognuno facesse la sua parte magari alla fine i conti tornerebbero pure, perché se il presidente facesse il presidente appassionato probabilmente gli input che cadrebbero a cascata su staff, giocatori e ambiente inteso come tifoseria sarebbero diversi e sicuramente più motivanti, se il mister facesse il suo trovando rimedi tecnico/tattici alle evidenti lacune di questa squadra probabilmente si vedrebbe un calcio più efficiente ed efficace (non bello, che è cosa assai diversa…), se i giocatori dessero tutti il cento e uno per cento di quanto nelle loro possibilità si vedrebbero meno errori e atteggiamenti più propositivi da parte di molti elementi della rosa e se i tifosi facessero i tifosi sostenendo anche i giocatori reputati “più scarsi” come se non fossero “scarsi” probabilmente li aiuterebbero a tirare fuori anche quanto non hanno nelle proprie corde. In realtà succede che ognuna di queste componenti, ognuna con un peso specifico chiaramente diverso, non fa fino in fondo il proprio “dovere” e i risultati del campo sono in gran parte lo specchio del bene e del male di quanto tutte queste componenti danno al nostro Toro.
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Io continuo a pensare che una società di calcio è una piramide e che i suoi risultati sono proporzionati principalmente a quanto e come lavora il suo vertice, cioè il presidente, mentre la base (i tifosi) sono le fondamenta su cui si regge quel mondo di valori e di passione che è il motore di un club e del calcio in generale. Forse ha ragione Agroppi che dice molto semplicemente che i giocatori del Toro di oggi sono inferiori a quelli degli anni Settanta, ma che i tifosi oggi si aspettano le stesse cose che si aspettavano negli anni Settanta. Anche se così fosse, io non ci vedrei nulla di male se i tifosi ragionassero così giacché sono tifosi e vogliono il meglio per la propria squadra. Piuttosto, in un mondo cambiato radicalmente come quello del calcio, in 18 anni di presidenza, Cairo avrebbe dovuto trovare la formula giusta per ottenere il massimo in relazione a quanto si aspettavano i tifosi, strutturando società e staff tecnici in modo da avvicinarsi il più possibile a ciò che i tifosi ambiscono. E i tifosi sono i “clienti” delle società di calcio, per cui dovrebbero avere sempre ragione…
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Puntare sul vivaio è scelta giusta, ma è scelta che doveva essere fatta 18 anni fa in modo che da più di dieci anni a questa parte si sarebbero già raccolti i risultati sul campo di una tale strategia. Così come la gestione degli obbiettivi sportivi dovrebbe essere di competenza della società e non del mister di turno: come fa Juric ad “autoesonerarsi” dicendo che non ha senso la sua permanenza in caso di mancato approdo europeo se la società non ha mai dichiarato di puntare all'Europa?
Al Toro da moltissimi anni tutto si trasforma in un “caso” perché spesso non c'è chiarezza a monte su ruoli, obbiettivi e linee guida che dovrebbero definire il perimetro di azione di chi lavora dentro al mondo Toro. E la voce dei tifosi, soprattutto per quanto riguarda le linee guida, cioè l'insieme di quei valori e quel modo di fare che dovrebbe essere tipico di chi agisce in nome e per conto del Torino sia in campo che fuori, non è sufficientemente ascoltata e presa in considerazione. Se anche uno come Ian Wright (ex Arsenal) che ha giocato una sola volta contro il Torino, dopo trent'anni si ricorda dell'incredibile ambiente che aveva trovato in quel quarto di finale di Coppa delle Coppe del 1994 significa che, se oggi siamo come siamo, è perché è stato dilapidato un patrimonio pazzesco di valori, capacità e convinzioni che rendevano il Toro un club speciale e diverso da quasi tutti gli altri. Chiedersi oggi di chi sia la colpa è, per me, infinitamente meno importante che sapere che si è ricominciato a lavorare, a tutti i livelli, per riportare il Toro alla dignità sportiva che aveva fino a trent'anni fa. Perché in futuro altri calciatori importanti arrivino a dire quanto sia stato pazzesco giocare contro il Torino: questo è quello che conta, non vincere o non vincere…
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
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