Il tifo per una squadra, e per il Torino lo è ancora di più, è una sorta di "malattia che non va più via" come ben sottolinea uno dei canti più amati dalla Curva Maratona. Io penso al Toro costantemente, tanto che non credo sia passato un giorno della mia vita in cui io non abbia mancato di parlare del Toro o di leggere del Toro: sarà da folli, ma è così e difficilmente può cambiare per chi come me è granata nel midollo. Come fai ad allontanarti da un amore, da una fede, da un qualcosa che permea la tua vita sin da quando hai acquisito le prime consapevolezze da bambino? C'è chi il Toro se lo è tatuato sulla pelle (fatto!), chi lo segue fisicamente ad ogni trasferta e chi chiama i figli Paolo o Valentino in onore di Pulici o Mazzola.
Il granata della porta accanto
Una pausa dal Torino
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Essere granata, a prescindere dalla forma in cui lo esterni al mondo intorno a te, è uno stato dell'anima più che una semplice passione sportiva. Negli ultimi vent'anni comunque tifare Toro è diventato forse ancora più difficile che in passato perché pochissime gioie si sono inframmezzate ai patimenti che da sempre la storia di questo club ha elargito in abbondanza. Spesso le nuvole nere hanno saturato i cieli granata ma sempre in passato il sole è tornato a splendere, anche se mai troppo a lungo, sul mondo granata dopo periodi bui.
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Negli ultimi vent'anni, dicevo, però, i momenti memorabili sono stati veramente pochi e tutti legati peraltro a precedenti sciagure sportive (la promozione del 2007 veniva in seguito al doloroso fallimento di Cimminelli, quella del 2012 a seguito di 3 pessimi anni in B, il derby vinto nel 2015 è l'unico dal '95 ad oggi…). Gli spazi di sole sono diventati sempre più rari e sempre più brevi, ahimè.
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Ma al di là delle vittorie, che alla fine contano relativamente per noi del Toro, quello che ci è mancato più dell'ossigeno è stata una stella polare alla quale guardare nella nostra tribolata navigazione di tifosi. Il presidente Cairo non ha mai saputo, o voluto, proporre un modello di società veramente "granata" capace di fare da catalizzatore dell'amore dei tifosi, come dovrebbe naturalmente essere nella logica delle cose.
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Al contrario la sua gestione è sempre stata divisiva e poco coerente con i valori della tradizione sportiva e culturale del Torino nel suo precedente secolo di vita: se le cose vanno male, ma tu, tifoso, ti senti "a casa", farai più facilmente quadrato intorno alla squadra ed alla dirigenza in attesa di tempi migliori e questo è quello che è sempre clamorosamente mancato sotto la gestione Cairo perché spesso i tifosi si sono ritrovati senza punti di riferimento ai quali aggrapparsi.
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La riapertura del Filadelfia in seguito alla minaccia delle "carte bollate" per far rispettare lo statuto della Fondazione omonima è stata l'ultima ed ennesima dimostrazione di quanto questa società sia lontana dai suoi tifosi e dal modo che essi hanno di vivere il Toro. Ho l'onore di poter scrivere su questa rubrica i miei pensieri sul Toro, legati o meno all'attualità, e anche oggi potrei tranquillamente disquisire di ciò che, a campionato fermo, riguarda il Torino: scrivere del mercato alle porte per rafforzare la squadra e puntare all'Europa (ma ci crediamo davvero?) scrivere dei giocatori del Toro che stanno disputando i Mondiali o ancora parlare del potenziale rinnovo di Juric o della Primavera che sembra tornata ad alto livello, ma sapete invece cosa vi dico? Che mi prendo una pausa dal Torino, che mi fermo qui e non analizzo o parlo di un bel niente.
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Sono stanco di dire sempre le stesse cose e di vedere sempre in loop le stesse situazioni. Allora invece di farmi male, mi prendo un momento per respirare e per tornare a vedere le cose con il mio personale ottimismo. Il mio amore per il Toro è sconfinato ma la tolleranza per certi aspetti del Torino FC lo è molto meno. Mi prendo un break, un piccolo time out per cacciare le tossine negative di chi inquina il nostro purissimo sentimento verso la maglia granata con le solite miopi manfrine legate a meri interessi di bottega che nulla hanno a che vedere con l'obbiettivo di fare grande, sportivamente parlando, il Toro.
Non mi appassionano più di tanto i Mondiali, non tanto per l'assenza dell'Italia, quanto per la progressiva perdita del genuino sapore di una manifestazione che era aspettata con ansia ogni quattro anni e che oggi tra le troppe squadre, le strane naturalizzazioni, la location qatarina e la calendarizzazione prima di Natale sembra tutto fuorché una Coppa del Mondo, ma non nego che restano tutto sommato un buon diversivo per prendersi una pausa dal Torino. Una pausa, sia ben chiaro, che tanto tifare Toro resta "una malattia che non va più via"...
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
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