Non è facile parlare di Toro in questo periodo: il calciomercato è un frullatore che catalizza e monopolizza completamente l'attenzione dei tifosi e trasforma in un ottovolante di emozioni, oscillanti dall'euforia incontrollata alla delusione più cocente, i mesi estivi.
Il granata della porta accanto
Voglio tornare bambino
Difficile dire qualcosa di sensato riguardo la propria squadra del cuore quando un momento prima sembra che stia per arrivare un trequartista israeliano ed il momento dopo si è ad un passo da un portiere brasiliano: la schizofrenia del mercato incide anche sul buon senso delle opinioni che si potrebbero esprimere in merito. Per come è concepito oggi, il calcio mercato sembra fatto apposta per far emergere i più biechi istinti del tifoso: la megalomania al prospettarsi di certi acquisti e l'ira cieca per il mancato arrivo di qualcuno di questi o alla cessione di qualche beniamino. Un gioco delle parti dal quale è difficile smarcarsi. Così come per noi tifosi del Toro è sempre più difficile smarcarsi dalla dicotomia pro-Cairo e anti-Cairo che ormai ammanta ogni accadimento del mondo granata distorcendo in un senso o nell'altro anche i fatti più oggettivi.
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Proprio in questi giorni ho avuto uno scambio di opinioni sul Toro con una persona che mi ha fatto vedere la situazione della nostra squadra del cuore sotto un'ottica diversa. Molti di noi, come dicevo, hanno focalizzato la propria attenzione sul presidente Cairo basandosi sull'assioma che qualunque cosa facesse (o non facesse…) fosse la causa primaria di tutto il vissuto quotidiano del club. Personalmente continuo a ritenere che il nostro presidente si sia macchiato di un "peccato originale" dal quale non riesce o non può o non vuole emendarsi: non ha mai accettato un vero e proprio "battesimo granata" e pertanto non è mai davvero entrato in empatia con la tifoseria e la piazza. Dopo 17 anni è ormai chiaro che le cose non prenderanno nessun'altra piega diversa da quella che hanno avuto finora, almeno fino a quando non deciderà di passare la mano. Fino ad allora, e qui viene il succo del ragionamento che faceva questo mio amico, occorrerebbe provare a non vivere ogni cosa che riguarda il Toro come un processo a Cairo, ma cercare di ritrovare il piacere di tifare la propria squadra al di là del proprio presidente. In fondo anche altre piazze hanno vissuto situazioni se non simili, almeno in parte paragonabili, eppure hanno avuto la forza di scindere la passione verso la squadra dall'acredine verso il suo proprietario (mi vengono in mente Lazio e Genoa).
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Ecco, il mio fioretto potrebbe proprio essere questo: tornare a parlare di calcio, di giocatori, di gol, di emozioni, di campo. In fondo abbiamo un mister che, nei fatti, si è posto come portavoce delle nostre istanze presso la proprietà (non per filantropia, ma perché vuole lavorare nelle migliori condizioni possibili) e questo dovrebbe essere la migliore garanzia del fatto che se qualcosa può cambiare è per un moto interno al Torino e non certo per pressioni esterne giacché altrimenti sarebbe successo già da tempo.
Ci voglio provare, sul serio, voglio lasciare da parte tutte gli aloni negativi che certi (non) comportamenti della proprietà hanno sul mio essere tifoso granata. Voglio tornare bambino. Voglio tornare a provare piacere puro nel tifare Toro, nel vedere undici maglie granata che sbuffano in campo e alimentano la più bella allegoria della vita, quella della lotta contro ciò che è più grande e, apparentemente, più forte di noi. E allora non vedo l'ora di leggere su ToroNews del prossimo difensore danese o della prossima punta ucraina che vestiranno la maglia granata, ritrovando quel piacere che sin da piccoli ci ha spinto a scegliere una maglia da amare senza abbandonarla più vita natural durante…
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Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
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