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Il Grande Torino è Bellezza

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Sotto le Granate / La rubrica della nostra Maria Grazia Nemour
Maria Grazia Nemour

Il granata mi piace ancora di più quando lo incontro fuori dallo stadio, quando fa caldo e non ci sono partite.

Mi piace incontrarlo a Rivarolo, per esempio, dove i Fedelissimi granata, il museo del Grande Torino e la città, hanno allestito la mostra “Non credevamo di amarli tanto”. E mi piace scoprire che la mostra l’hanno organizzata in un luogo che si riserva a un ospite nobile: il castello Malgrà.

Il parco con gli alberi secolari tutto intorno, la squadra senza tempo oltre il ponte levatoio. Bellezza fuori, Bellezza dentro. All’entrata, ad accogliere i visitatori, due ragazzi con la maglietta granata addosso, come una divisa, le guardie del Grande Torino. Guardie, che prima del nostro arrivo commentavano il matrimonio di Belotti.

Sotto una grande finestra sono esposte le scarpette e il pallone usati dagli Invincibili. Da osservare. Sfiorare, se osi. A testimonianza che si consumano, e hanno davvero poca importanza le “cose” con cui si gioca, il segreto sta tutto nella testa, nella voglia. Funziona così, per ogni cosa di questo mondo. La Bellezza, di fare quello che si ama.

E poi le fotografie che una dopo l’altra montano il successo di una squadra che era la rivincita dell’Italia sulla Storia. Il Grande Torino contro la grande Storia di una nazione in guerra. La vittoria contro l’umiliazione. I valori contro gli inganni. La vita in campo contro la morte per strada.

E in vari angoli della sala, eccolo, Carlin Bergoglio, che il Torino l’ha raccontato sulle pagine di Tuttosport, che l’ha abbozzato nelle caricature, dipinto nei quadri. Raccolto e ricomposto, nella morte.

Il Grande Torino ha i pantaloncini fuori moda, le pettinature improvvisate, si fa fotografare sorridente con i panettoni in mano. Il Grande Torino non ha il viso dei ragazzini che a vent’anni si considerano arrivati, ma quello segnato degli uomini che sentono la responsabilità di non potersi fermare.

Ma Rivarolo non si è accontentata della mostra, sabato ha intitolato anche il campo sportivo, al Grande Torino. Una scelta accompagnata da una serie di recriminazioni sui giornali locali: c’è chi ha addosso altri colori e non si sente rappresentato dal granata, non sa trascendere la squadra, non intravede l’universalità di quella che smette di essere una storia, per diventare leggenda; c’è chi preferirebbe qualche illustre concittadino rivarolese a dare il nome al campo, uno zio, un nonno, il vicino di casa.

C’è chi, come me, pensa che il Grande Torino non sfiguri in un castello, ma l’unico luogo in cui si trova davvero a proprio agio è un impianto sportivo, tra gli urli dei bambini che ogni giorno lo riempiono, allenandosi a diventare grandi.

L’esempio della Bellezza, non può che fare belli.

Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.

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