Ovviamente non stiamo parlando del famigerato assalto alla capitale romana a opera dei Visigoti di Alarico I, sacco che si svolse dal 24 al 27 agosto del 410 d.C. e che ancora si ricorda come uno degli eventi più drammatici e nefasti della storia antica. Tant'è che le interpretazioni nel corso dei secoli si sprecarono: c'è chi lo ritenne un evento precursore della futura fine del mondo, chi lo considerò una punizione voluta da Dio per scoraggiare i culti pagani ancora imperanti per le vie della città. Certo è che il sacco sancì il termine dell'inviolabilità di Roma, la sua perdita d'aureola effettiva. Che cosa ci azzecca allora il Sacco di Roma con la storia del Torino? La similitudine è palese. Con questo termine ci riferiamo ovviamente alla celebre partita giocata dal Grande Torino il 28 aprile 1946, a Roma. Il risultato? Uno straordinario 7 a 0. I granata, forti dello status di imbattibilità che connota il loro gioco, sbaragliano i rivali romani, ex campioni d'Italia poche stagioni or sono.
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Il Grande Torino e il Sacco di Roma
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Ma per quale motivo si considerò tale partita come un vero e proprio sacco ai danni della squadra dell'Urbe? Per il modo in cui i granata riuscirono a vincere: neanche diciotto minuti di gioco e già il Grande Torino era in vantaggio di sei gol. A segnare, nell'ordine, furono Castigliano, Mazzola, Ossola, Ferraris II, Loik e di nuovo Mazzola. Sei reti al primo tempo, un risultato che non lasciò dubbi su che cosa rappresentassero, all’epoca, gli Invincibili. Una devastazione, un gioco di schemi e grinta e coraggio che la furia granata di quegli anni non ha mai mancato di saper tirare fuori a ogni partita. Dopo l'intervallo, il Grande Torino mostrò di volersi limitare a tenere la palla in campo senza più infierire. Tant'è vero che il settimogol, a opera di Grezar, venne segnato più per caso che per volontà.
Per l'occasione capitò di assistere a un evento curioso quanto significativo. La Roma era stremata, distrutta psichicamente dalla ferocia con cui era stata sotterrata dai grandi campioni granata. Il divario era impossibile da ridurre, malgrado i granata si limitassero a giocare il secondo tempo a un ritmo di gran lunga minore. A un certo punto Franco Ossola, prossimo a calciare in rete, subì un fallo in piena area. Disperazione, esaurimento dovuto alla debacle subita in casa? Chi può dirlo! Ad ogni modo, l'arbitro non poté evitare di fischiare.
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E cosa accadde? Ossola, rialzatosi da terra, afferrò il pallone e lo portò al di fuori dell'area di rigore, come a far intendere che al momento del fallo non si trovava affatto all'interno dell'area, ma fuori. L'arbitro gli sorrise e concesse che Ossola battesse la punizione. L'attaccante, naturalmente, tirò la palla lontano dalla porta. L'esempio sopra riportato è fair play allo stato puro, un concetto che i giocatori del Grande Torino avevano bene in testa. Sono i piccoli gesti come quello appena descritto che contribuiscono a marcare il confine tra campioni e semplici avventori del pallone.
Laureato in Lingue Straniere, scrivo dall’età di undici anni. Adoro viaggiare e ricercare l’eccellenza nelle cose di tutti i giorni. Capricorno ascendente Toro, calmo e paziente e orientato all’ottimismo, scrivo nel segno di una curiosità che non conosce confini.
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