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Il Guazzabuglio

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L’importante è scattare! - Come in gara nei 1.500 metri di atletica leggera quando manca un giro e mezzo al termine. O come sul circuito di Monza dopo aver completato la curva parabolica entrando nel rettilineo con la folla in...
Renato Tubere

L’importante è scattare! - Come in gara nei 1.500 metri di atletica leggera quando manca un giro e mezzo al termine. O come sul circuito di Monza dopo aver completato la curva parabolica entrando nel rettilineo con la folla in delirio. Il Toro domenica nel delicato match casalingo col Parma deve tornare a segnare, ma che dovrà fare in particolare per sbloccarsi? Scattare, e a tutta manetta! Non basta infatti avere un ottimo fondo atletico se poi, quando bisogna concretizzare la manovra offensiva, la velocità d’esecuzione viene a mancare. In primis le due punte che Ventura sceglierà dovranno darsi una mossa rispetto alle ultime scialbe prestazioni. Dovranno premere l’acceleratore se vorranno prendere a pallate il pur bravo 38enne Nick Pavarini fin dai primi minuti. Altrimenti il gran lavoro di spinta sulle fasce e di distruzione e costruzione dei due martelli di centrocampo finirà per essere ancora una volta improduttivo. Come Franco Arese (nella foto) quando trionfò solitario al traguardo agli Europei di Helsinki nel ’71. O come Ronnie Peterson, per me il più forte e più sfortunato pilota di Formula Uno, quando dopo la parabolica imboccava a razzo il rettilineo di Monza e vinceva con la sua March. Ci vorrà un Toro che attacchi con la stessa mentalità. Una coppia di punte che sappia finalmente cambiare marcia, zigzagare, infilare come birilli i vari Paletta, Zaccardo & CO. L’imperativo, cari punteros granata, è uno solo: scat-ta-re!Voglia di campo – Nel  gergo in uso fra calciatori e mister del XXI secolo affiorano strani modi di dire. Uno dei più buffi, se si pensa che il calcio è una pratica sportiva prima ancora che un mestiere, è “voglia di campo”. Avete presente quando un giocatore rimane confinato a lungo in panchina ma, a giudizio di molti, dovrebbe essere impiegato più spesso? I tifosi brontolano, qualche addetto ai lavori morde il freno, in certi casi il procuratore della povera creatura trascurata alza il telefono per chiamare qualcuno ai piani alti in società. Ebbene in questa situazione un bravo cronista gonfierà il petto e, alla prima conferenza stampa dopo uno degli allenamenti settimanali, sputerà il rospo col mister. “Quando arriverà il momento di …?”. Nove volte su dieci quest’ultimo fisserà per una trentina di interminabili secondi l’infelice. “Chi è questo rompiscatole? Mi sa che alla prima occasione devo fargli dire due parole dal nostro ufficio stampa!” Poi il mister sorridente si lancerà in un elogio sperticato del suo giocatore fin lì poco oppure mai impiegato. Per concludere con un’affermazione ben precisa: “Giocherà dall’inizio quando mi avrà dimostrato di possedere la giusta … voglia di campo!”. Calciatore o agricoltore: quale sarà la mission per il povero panchinaro? Secondo voi il bravo Giampiero Ventura ricorrerà anche lui a questa espressione? E riferendosi a chi?

 

Davanti a spalti gremiti in ogni ordine di posti … – “Quattordici ore di diretta sotto la pioggia alle Olimpiadi di Città del Messico mi sono costate un edema alle corde vocali”: se non è attaccamento al lavoro questo! A poco più di nove anni dalla sua scomparsa Sandro Ciotti campeggia, anzi giganteggia nei miei ricordi di calciofilo impenitente. Fu il più celebre radiocronista sportivo italiano quando la radio era per la gente quel che oggi è il cellulare di ultima generazione o l’i-phone: un pezzo di mondo da portarsi dietro in ogni occasione, persino durante i matrimoni inspiegabilmente organizzati dai soliti parenti serpenti quando giocava la nostra squadra del cuore. La sua voce era davvero indescrivibile, così come l’uso di certe espressioni forbite. Ventilazione inapprezzabile, terzino fluidificante, davanti a spalti gremiti in ogni ordine di posti … Ma la più bella di tutte, credetemi, Ciotti la inventò proprio sul Toro ed è questa qua: “Il Torino, la cui parabola ha ospitato ferite crudeli e successi epici e che il destino ha accarezzato come un fiore e trafitto come una lama saracena”. Se non è poesia, poco ci manca, carissimo Sandro!Renato Tubère

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