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Loquor

Il miraggio eterno del fondo PIF in salsa lombarda

Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 
Torna l'appuntamento con 'Loquor', la rubrica di Carmelo Pennisi: C’è una “Lampada di Aladino” che si aggira come uno spettro per l’Italia e si chiama “PIF”, il fondo sovrano pubblico dell’Arabia Saudita..."

“Molto rumore per nulla”

William Shakespeare

C’è una “Lampada di Aladino” che si aggira come uno spettro per l’Italia e si chiama “PIF”, il fondo sovrano pubblico dell’Arabia Saudita a cui la stampa italiana, negli ultimi anni, ha appioppato con certezza la prossima proprietà di mezza Serie A. L’ultima notizia riguardante “PIF” l’ha lanciata “Il Giornale”, che si è detto sicuro di un interesse degli arabi per il Monza perché, a dire del quotidiano milanese, avrebbe l’appeal dell’autodromo che la Ferrari grande ha reso a fare da cassa risonanza mondiale. “Ufficialmente Fininvest non commenta”, scrive il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti (e ci mancherebbe anche…), per poi perdersi in una ricostruzione da romanzo d’appendice a dimostrazione dello stordimento sconfortante a cui è giunta da tempo la stampa italiana. Siamo a puro avanspettacolo quando l’articolo si spinge, con toni trionfalistici da “Istituto Luce” di epoca fascista, a proclamare il club brianzolo appetibile a vari soggetti internazionali a patto(e qui siamo al puro godimento da comicità quasi inarrivabile) che ci siano “dovuti investimenti” da legare al prestigio del circuito automobilistico, “un brand conosciuto in tutto il mondo, al pari se non di più di circuiti come Indianapolis e le Mans. La simbiosi tra il Monza calcio e il suo circuito non può essere sfuggita ai vari interlocutori e certamente non gli arabi”. Cosa vuoi dire a gente capace di scrivere una cosa così?

Dovrebbe calare un velo pietoso su un mestiere, quello del giornalismo italiano, che da tempo ha raggiunto la stessa reputazione e credibilità di Paperino, incurante del suo perdere costantemente, e in modo sanguinoso, copie vendute in edicola e ridotto ad essere in concorrenza con qualsiasi scafesso che si compra un abbonamento “Streamyard” e si mette a concionare di calcio sulla rete con la stessa autorevolezza, appunto, di Paperino. Tutti protesi a prendere fakenews di rimbalzo e a proporle con la stessa sicumera di un Gianni Brera dei tempi che fu, il quale Gioan Brera fu Carlo mai si sarebbe sognato di munirsi di color orbace e di sparare nello spazio siderale analisi tipo che Monza calcio e Autodromo di Monza sarebbe “una simbiosi che, potenzialmente, si rivela un vero plus per qualsiasi strategie di sviluppo, figuriamoci in Arabia Saudita come risaputo molto attenta ai ritorni garantiti dagli investimenti nello sport e nel calcio”. La prosa è quella di un copiatore seriale di storytelling che non ha la minima contezza di ciò che sta copiando, preoccupato solo, chissà per quale ragione, di eccitare l’animo del lettore attraverso roboanti prospettive, appunto, da romanzo d’appendice mal scritto. A voler essere maliziosi parrebbe un tentativo maldestro, e comico, della famiglia Berlusconi di voler cercare un acquirente mezzo stampa, senza ammetterlo con chiarezza, per un club preso come un passatempo con cui soddisfare un’atavica passione calcistica dal defunto fondatore di Fininvest e ora fluttuante nel comprensibile disinteresse degli eredi mai attratti dalla passione per il pallone.

L’ipotesi maliziosa è l’unica cosa a poter salvare un episodio di giornalismo che vaga tra il dilettantismo e la superficialità, perché in assenza di un motivo recondito si fa davvero fatica a capire come il redattore dell’articolo non si sia posto almeno una fondamentale domanda: cosa c’entrerebbe Monza e tutta la sua supposta attrattiva nel progetto “Saudi Vision 2030” portato avanti da Mohammed Bin Salman? E, soprattutto, cosa c’entra l’Italia nella nuova visione geopolitica in continuo sommovimento nello scacchiere mondiale? Risposta facile: il nostro Paese, purtroppo, in questo contesto ha praticamente zero ambizioni e zero appeal. Non abbiamo la potenza militare della Francia(e nemmeno la sua imponente migrazione islamica), non abbiamo il tavolo finanziario della City londinese, non possediamo brevetti e lo sviluppo industriale teutonico. Inoltre siamo un Paese dal futuro incerto a causa del nostro camminare su un baratro aperto da un debito pubblico monstre ormai fuori controllo, privo di qualsiasi strategia industriale e immerso in un contesto tecnologico fortemente arretrato. Difficile capire un ruolo italiano possibile nella futuristica strategia di “Saudi Vision 2030”, di cui il fondo “PIF” è uno dei bracci armati. La diversificazione dell’economia e la strategia della sicurezza del “regno wahabita” non passano, al momento, per le via italiana, e a questo forse ci si dovrebbe rassegnare e attendere con pazienza una politica nostrana capace di inventarsi una politica estera capace di riportare l’Italia al centro degli interessi del villaggio globale. Nel mentre sarebbe bene concentrarsi sullo sfascio organizzativo e infrastrutturale in cui versa il nostro calcio, incapace di inventarsi una strategia comune per provare a proporre alla politica un progetto credibile intorno agli stadi nuovi da finanziare con i fondi del “PNRR”.

Una operazione che tra fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90 riuscì a Margaret Thatcher, abile nel capire come la rinascita del calcio inglese come industria doveva passare necessariamente attraverso un progetto infrastrutturale comune. La nascita e il successivo successo della “Premier League” parte proprio da questa intuizione thatcheriana. La stessa stampa che ciclicamente funge da cassa di risonanza per la questua, con stimmate da accattonaggio, ai forzieri mediorientali, l’anno scorso parlava trionfalmente di una  rinascita del calcio italiano per un episodico, possibile nelle vicende dello sport più seguito al mondo, accesso di tre squadre italiane nei quarti di finale della “Champions League”. La tecnica usata è quella dell’imbonitore aduso a strategie da annuncio della “Donna Cannone” per circuire con una serie di archetipi verbali il malcapitato dalla tenuta psicologica fragile. Infatti, a rileggere molti articoli e commenti social dell’anno scorso, c’è da rimanere basiti di come sia diventata facilmente circuibile l’opinione pubblica italiana. Capita quando si attraversano momenti di grandi difficoltà e sofferenza; la sindrome da naufraghi avvinghia le menti e i cuori e ogni scoglio a cui aggrapparsi diventa un’isola felice. Succede allora come persino un fantomatico documento ritrovato dalla Guardia di Finanza nelle perquisizione nell’altra tragicomica vicenda su chi sia veramente il proprietario del Milan(La Federcalcio se c’era, sicuramente dormiva.

Non serviva certo la magistratura per scorgere il caos opaco nell’assetto societario rossonero del dopo Silvio Berlusconi), rifaccia spuntare il fondo “PIF” come un possibile investitore nel club rossonero. E qui siamo, come nelle migliori commedie di Plauto o un film di Diego Abatantuono, ad un vero derby con l’Inter e ad una rivalità nel praticare il surreale travestito da giornalismo da parte di due giornali(Libero e, appunto, Il Giornale), perché il quotidiano attualmente diretto da Mario Sechi un paio d’anni fa aveva dato per certo il closing con Amanda Staveley, la persona forte nel calcio per conto del “PIF”, per l’acquisizione della proprietà dell’Inter. Tutto insomma ruoterebbe intorno alla Brianza e alla Madonnina, e c’è da rimpiangere come Steno non sia più tra noi, altrimenti sai che commedia da film ci avrebbe scritto. Mancherebbe solo la mitica figura vanziniana del “Cummenda”, e poi il cerchio potrebbe chiudersi per la felicità degli appassionati del genere “reality”. Occasioni per scrivere nuove puntate della “Lega Serie A Show” non mancano, attualmente in scena sulla panca di due squadre in crisi, protagoniste della “rinascita” del calcio italiano dell’anno scorso, ci sono due cloni di Maurizio Sarri(altro che esperimenti sulla mitica pecora “Dolly”) e Aurelio De Laurentiis, dopo aver promesso per l’ennesima volta di voler costruire uno stadio, vorrebbe fare ricorso per poter partecipare al mondiale per club del 2025 al posto della Juventus. Non siamo, purtroppo, alle comiche finali, siamo alla consuetudine quotidiana del nostro calcio. Ma si resti tranquilli e si coltivi pure la speranza: un autodromo salverà il calcio italiano.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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