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Il portiere va in gol

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Loquor / Nuovo appuntamento con Anthony Weatherhill: "Il calcio, nonostante quello che qualcuno tenti di farci credere, è un fantastico racconto di un gesto non la spiegazione di uno schema"
Anthony Weatherill

Chi è Alberto Brignoli? E’ un portiere di calcio che ha segnato un gol di testa ad un suo omologo. Chi è Arrigo Sacchi? E’ un allenatore di calcio che mai avrebbe previsto la presenza di Brignoli nell’area di rigore della squadra avversaria. La presenza di un portiere che tenta di segnare un gol alla squadra avversaria sarebbe stato considerato da allenatori come Sacchi qualcosa di antiestetico, qualcosa di poco armonico rispetto ad uno schema. Lo schema ben eseguito, secondo i sacchiani, è l’unica cosa che fa diventare il gioco del calcio uno spettacolo godibile. La gente, esaltandosi per questa visione spettacolare, gode per questa ridda di diagonali, pressing alto e chiusure geometriche. Quindi finisce per non ricordare più il gesto tecnico di un Dybala, piuttosto che di un Icardi. O, almeno, è quello che inconsciamente spererebbe l’ego, abbastanza fuori misura, di un allenatore come Pep Guardiola. Non voglio sminuire la figura dell’allenatore, vitale pezzo di un puzzle che va a comporre una squadra di calcio, ma forse sulla grande stampa, e anche su quella non molto grande, ormai è una gara tra giornalisti per capire quanta estetica c’è nel gioco del Napoli di Maurizio Sarri. Gente come Adriano Bacconi dopo ogni partita di campionato ci inonda di spiegazioni tattiche e ci spiega tutti gli errori che hanno commesso i difensori colpevoli di aver preso un gol. Magari uno è rimasto incantato da un gol al Sassuolo segnato in mezza rovesciata volante da Andrea Belotti, e vorrebbe che qualcuno spiegasse come è stato possibile un simile gesto;  una sintesi di tecnica, follia e fantasia. Invece no, nessuno te lo spiega. Nessuno ti racconta il nesso tra fantasia e calcio, tra fantasia e vita. Ad Adriano Bacconi interessa farci capire come sia stata applicata male la fase difensiva da parte dei giocatori del Sassuolo. Nei “bambini che rincorrendo per strada un pallone facendo ogni volta rinascere la storia del calcio” il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges non attende di vedere uno schema ben eseguito, ma quel lampo di poesia di un gesto tecnico pensato ed eseguito in pochi secondi, qualcosa da far ricordare l’esistenza dell’eterno agli occhi di chi osserva. Mi sono sempre così divertito e incantato a osservare la vita, che quando qualcuno mi ha parlato della “teoria delle stringhe” sono rimasto per un attimo senza parole. Questo qualcuno mi spiegò, in maniera breve e probabilmente eccessivamente semplificativa, che in un accadimento del mio presente percepito esistono delle repliche non meglio definite in varie dimensione parallele alla nostra. Repliche che valeva la pena di considerare e studiare. Opposi a questo qualcuno, non senza una punta d’ironia, il mio totale disinteresse verso qualcosa che non fosse qualcosa di distinguibile con i miei occhi. C’è talmente tanta roba in quel che posso vedere, da considerare davvero poco saggio dedicare il mio tempo a ciò che mi resterà sempre sconosciuto. In fondo la vita è una questione di scelte e potendo discuterne nel mio personale bar dello sport tutti ci saremmo innamorati della mezza rovesciata volante di Belotti, piuttosto che del cattivo piazzamento dei difensori neroverdi.

Bello sarebbe stato porre l’attenzione sulla gioia dei tifosi beneventani, che al fischio finale di Benevento/Milan si sono messi a fare dei selfie che un giorno saranno la vivida traccia della più classica delle commemorazioni: quella del “io c’ero”. Avevano appena assistito a un gol di un portiere e al primo punto in Serie A della storia del Benevento. Una cosa da raccontare ai nipoti quando, ormai anziani, si prova a spiegare perché, nonostante tutto, è bello vivere. Perché è bello esserci. Un uomo molto saggio una volta mi disse che il calcio non è di chi lo pratica, ma di che lo vede. Lo stadio/velodromo Ottavio Bottecchia, dove gioca le gare casalinghe il Pordenone calcio, ha una capienza di 3089 spettatori. Nella partita di Coppa Italia a San Siro contro l’Inter si sono contati quasi 4mila spettatori del Pordenone. E’ qualcosa che sfiderebbe ogni ragionamento logico, se volessimo analizzare il fenomeno di una squadra che ha avuto più presenze di tifosi fuori casa che tra le mura amiche. Il calcio non è una conclusione logica, ma semplicemente l’esito di uno stato d’animo. Mi sarebbe piaciuto che si fosse parlato del paese natale di Alberto Brignoli: Trescore Balneario. Questo piccolo centro di 8500 anime in provincia di Bergamo è stato capace di generare cinque calciatori di Serie A (tra cui i fratelli Zenoni) e due allenatori di discreto livello. Gli statistici definirebbero questa una coincidenza interessante, quasi impossibile per un paese così piccolo.

Il 27 marzo 1983, 25 giornata del campionato di Serie A, il Torino è sotto di due gol contro una Juventus zeppa di campioni del mondo del 1982. La partita sembra finita, ma dal 71 del secondo tempo cominciano i 120 secondi tra i più folli della storia del calcio e del Torino. Giuseppe Dossena, Alessandro Bonesso e Fortunato Torrisi mettono a segno in quei 120 secondi i tre gol della rimonta e della vittoria al derby dei granata. Sui principali giornali, il giorno dopo, non si parlò di schemi, geometrie e pressing, ma di qualcuno che sembrava avesse visto il fantasma sorridente del Grande Torino aggirarsi sul prato del Comunale. Questo perché il calcio, nonostante quello che qualcuno tenti di farci credere, è un fantastico racconto di un gesto non la spiegazione di uno schema. Per questo, da oltre più di un secolo, noi continuiamo ad amarlo.

Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.

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