Non molti sanno che Annibale, sulla piana di Zama, in realtà aveva praticamente vinto contro le legioni romane guidate da Scipione l’Africano. Il condottiero punico sapeva bene quanto il console romano avesse studiato la sua celebre tattica vittoriosa a Canne, e quindi era riuscito ad immaginare perfettamente come l’ avrebbe affinata e messa in atto nella battaglia decisiva per la sopravvivenza di Roma o di Cartagine, e per il conseguente destino dell’Europa e dell’Africa con annesso il Medio Oriente. Avendo immaginato tutto, tatticamente Annibale aveva già vinto prima ancora di cominciare la battaglia. Ma ciò che nessun genio e nessuna tattica possono prevedere sono i sentimenti umani, e quanti questi possono essere forti e determinanti in alcuni momenti cruciali della vita. Grazie alla sua geniale tattica, Annibale riteneva certo che lo schieramento centrale dell’armata romana avrebbe ceduto, consegnandogli la vittoria a Zama. In qualsiasi altra occasione la prassi avrebbe dato ragione al genio militare del grande generale cartaginese, ma non quel giorno. Quel giorno al centro dello schieramento romano si trovavano i legionari cannensi, coloro che erano stati protagonisti della più grande umiliazione militare mai subita dai romani. A Canne i romani avevano sentito di aver perso la loro dignità, e per questo avevano condannato i legionari sopravvissuti alla carneficina della battaglia a non poter vivere più tra le mura della città. La perdita dell’onore era definitiva e non sarebbe stata più dimenticata. Scipione però, come condizione per accettare dal Senato Romano il comando della battaglia definitiva contro Annibale, pretende ed ottiene di portare quei soldati sconfitti a Canne. Annibale non può prevedere come questi reietti di Roma, pur di riscattare il loro onore e quello delle loro famiglie, si faranno massacrare pur di non far cedere la linea cruciale dello schieramento romano a Zama, e sancendo così l’ormai inaspettata vittoria dei romani. Il sentimento dell’onore salva Roma e di fatto tutta la civiltà europea che ne discenderà.
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Il senso delle cose. Anche nel calcio
I reprobi di Canne ricompensano con il loro sacrificio massimo, la loro vita, la dignità ridonatagli da Scipione. C’è della retorica stantia in questa storia? C’è del romanticismo inutile? C’è della filosofia incomprensibile? O c’è un monito per i tempi che stiamo vivendo? Cerchiamo di capire. Manchester City, Paris Saint Germain e Juventus anche quest’anno non riusciranno a vincere la Champions League. Nonostante gli ingenti investimenti economici profusi sul mercato in questi ultimi anni, anche per quest’anno non riusciranno a portarsi a casa la coppa più prestigiosa. Qualcuno, ironizzando e con un approccio un po’ mistico, è giunto a sostenere che per qualche strano arcano forse queste squadre non riusciranno a vincerla mai questa coppa. Qualcun altro, molto più razionalmente e lapalissianamente, ha messo l’accento sul fatto come tanti soldi spesi sul mercato non siano il sinonimo di una squadra vincente. Ma in realtà questo è il momento dell’Ajax e del mito del suo settore giovanile. Fiumi di parole, nelle ultime settimane, sono state riversati sulle imprese dei giovanissimi e talentuosi giocatori della squadra di Amsterdam. E’ come se una improvvisa speranza si fosse palesata davanti a noi, a comunicarci che per vincere la coppa dalle grandi orecchie non servono poi tutti quei milioni di euro ritenuti necessari da molti analisti autorevoli. E provate ad immaginare se al “Wanda Metropolitano”, fossero proprio i lancieri olandesi a scrivere il proprio nome nella storia della Champions. Roba da aprire dibattiti infiniti sul reale significato dei fatturati delle squadre di calcio. Improvvisamente si dimenticherebbe che l’Ajax occupa solo il ventesimo posto del ranking Uefa, e che squadre come Siviglia e Shakhtar Donetsk la sopravanzano in questa classifica europea. E soprattutto si farebbe finta di ignorare che almeno quattro di quei talentuosi giocatori olandesi sono già praticamente venduti per una montagna di milioni di euro proprio a quei club che hanno fatto del doping finanziario il loro credo.
Quindi il “ballo” di questa squadra di giovani senza paura da tutti ammirati per le loro traiettorie e geometrie perfette sarà durato una sola stagione. Perché quelli dell’Ajax hanno da tempo capito come sta andando il mondo, e allora hanno deciso di fare con il calcio ciò in cui gli olandesi hanno davvero pochi rivali al mondo: hanno deciso di fare soldi. Tanto, per la legge dei grandi numeri, prima o poi torneranno a creare un’altra squadra come quella di quest’anno in corso. E sempre la legge dei grandi numeri dice, con precisione scientifica, che prima o poi i tre grandi club di cui sopra la vinceranno questa benedetta Champions. E quel giorno altri fiumi di parole verranno scritti per esaltarne l’impresa, e i tifosi dei club “poveri” cadranno in depressione perché, dimenticando in un istante l’odierna attuale impresa dell’Ajax, riterranno la squadra per cui tifano non idonea ad avere mai la montagna di soldi necessari per vincere. Lo scenario pare un cane preso a mangiarsi eternamente la coda. Forse siamo confusi dai sentimenti dell’istante, che consegnano all’istinto e non alla ragione il nostro malessere riguardo le vicende del calcio, facendoci perdere lucidità. Fa sensazione osservare i tifosi del Napoli contestare Aurelio De Laurentis, reo di aver fatto arrivare la sua squadra “solamente” ai quarti di finale di Europa League e al secondo posto in campionato. Raramente, nella sua lunga storia, il Napoli calcio ha avuto l’attuale continuità di risultati. Eppure i tifosi sono scontenti. Il Torino , se è bravo e fortunato, potrebbe addirittura agguantare il quarto posto valido per la qualificazione alla massima competizione calcistica continentale. Mai il Toro è arrivato così vicino ad una possibilità del genere, eppure molti tifosi vorrebbero che Urbano Cairo lasciasse ad altri la proprietà del glorioso club piemontese. “quando leggete un libro provate a guardare la riga bianca, non quella scritta. Perché in una musica siamo distratti dalle note e non sentiamo il silenzio che le rende necessarie”, potremmo forse usare queste parole di Gregory Bateson, antropologo e sociologo britannico, per provare ad indicare una via. Per formulare un invito a metterci in ascolto delle cose che non sentiamo e non leggiamo, e per provare a capire. “Perché – come ricorda lo storico della filosofia ed esperto di comunicazione Nicola Donti - quello che fanno i grandi mistici è di restituire la responsabilità all’individuo, per fargli capire che una rivoluzione è possibile solo nel momento in cui si cambia punto di vista”. E’ possibile come il malessere che sta colpendo i tifosi sia dovuto ad un estraniamento sempre più progressivo dalle vicende delle società per cui tifano, da queste ormai prefigurati a comparse digitali di fronte ad un televisore.
Sembra non essere più lo stadio o il campo di allenamento il punto di arrivo della partecipazione di ogni tifoso, ma piuttosto il salotto di casa o lo schermo di un computer su cui sfogare sui social ogni tipo di frustrazione repressa. E cosi finiamo tutti per interpretare il mondo in modo diverso, senza pensare se esista un modo per trasformarlo. E con il tempo diventiamo scettici, convincendoci del nulla dal poter fare di fronte al potere, sotto qualsiasi forma esso si manifesti. Abbiamo deciso di essere spettatori e non più attori della nostra storia. La squadra non è più un moto rappresentativo della nostra identità, ma solo un momento del nostro svago. Il calcio è diventato lo specchio della crisi in fieri della società europea, dove influenti correnti di pensiero hanno convinto le sue genti dell’inutilità dei confini, delle tradizioni e persino dell’identità cristiana da cui ogni sua cosa(della società europea) discende. Persino il concetto di fairplay nello sport. Prima o poi, ne sono sicuro, scopriremo come non siano i buoni risultati delle nostre squadre a poterci dare pace sui nostri malesseri, poiché avremo preso finalmente atto del motivo per cui ormai siamo perennemente inquieti. Ci hanno sfilato la nostra storia e questo perché, dobbiamo dolorosamente ammetterlo, eravamo pronti a metterci in vendita. Soprattutto la nostra classe dirigente. Ma è proprio la contestazione ai loro presidenti di numerose frange di tifosi del Napoli e del Torino a far pensare come il mondo dei punti di vista sia ancora vivo nel nostro continente, e quindi a spingerci a ritenere vana la metodologia dei buoni risultati sportivi come semplice mezzo per tacitare le coscienze dei tifosi. Quando si ama, e i tifosi indubbiamente amano, certe problematiche le si avvertono fin dentro i luoghi più profondi dell’istinto e dell’animo. Allora si comprende come vincere o perdere, o essere pro o contro De Laurentis piuttosto che pro o contro Cairo, non siano il vero problema. Inoltre appare chiaro quanto sia inutile entusiasmarci per il metodo Ajax o per le vittorie profumate di creso di City e Paris Saint Germain, visto il nostro ballare pericolosamente sul bordo dell’abisso di una catastrofe culturale. Perché è questo ciò che stanno provocando i metodi da padroni delle piantagioni di cotone dei signori arabi con i portafogli gonfi dei proventi della vendita di petrolio e di gas naturale. Stanno trattando i principali simboli europei, e il calcio è uno di questi, come un loro personale parco giochi, da modificare e trattare a loro piacimento. Il calcio ridotto ad una stanza piena di balocchi è di una tristezza difficile da raccontare. Israele, dopo l’Olacausto, istituì l’ufficio “degli uomini Giusti tra le nazioni”, cioè la ricerca di quegli uomini non ebrei che si adoperarono per salvare quante più persone possibili dall’orrore delle leggi razziali. Dal 1963 ad oggi sono stati trovati più di 27.000 uomini Giusti. Al primo posto ci sono dei polacchi, che ebbero la maggioranza dei campi di concentramento, all’ottavo posto ci sono degli italiani, che aderirono alle leggi razziali, al decimo posto ci sono dei tedeschi, che iniziarono l’orrore dell’Olocausto. Questa sta a significare che per ogni storia di problemi ce ne è una parallela di risorse, e dove ci sono sepolcri possono esserci resurrezioni. Come Zama insegna, niente è perduto per sempre. Nemmeno il calcio, nemmeno la vita.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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