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Il Toro da raccontare

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Sotto le granate / Torna l’appuntamento con la rubrica di Maria Grazia Nemour: "Non pensiamo troppo e continuiamo a correre. Dove arriveremo, è meno importante del correre in sè"
Maria Grazia Nemour

“Te lo ricordi il giro per le vie del centro con la Bianchina quando abbiamo vinto lo scudetto, la bandiera fuori dal finestrino, i clacson impazziti?”

Mio padre mi ha rivolto diverse volte questa domanda nel corso degli anni.

Io ero chiaramente troppo piccola, non lo ricordavo neanche un po’ quel momento, però rispondevo sì. Mio padre raccontava della piazza invasa di sognatori con gli occhi spalancati, io potevo dirgli che il mio ricordo toro più antico erano i vasi di gerani granata sul balcone, con la bandierina piantata dentro? No, e allora annuivo. Aveva atteso 27 anni per vivere la rarità di quel momento, probabilmente sperava di  regalarmi un ricordo che non avevo, convincermi che lo avessi vissuto. E fece bene, perché io lo sto ancora aspettando il mio, di scudetto. Neanche lui, incallito mai cuntent, l’avrebbe mai immaginata una dieta di soddisfazioni così lunga.

Comunque poi l’ho avuto anche io qualche momento granata di pura gioia, dal quasi scudetto dell’85 all’arrivo del grande Mondo e la sua sedia alzata ad additare un cielo iniquo, la Coppa Italia del 93. Ecco, il Toro di mio padre si ferma a quella vittoria lì. Non ha vissuto l’ultra decennale agonia degli strappi alla bandiera. Quando si dice che si può credere solo per fede, che la razionalità non sa destreggiarsi al cospetto della passione, è vero.

E poi, dopo un buio incredibilmente lungo, è arrivata la notte accesa di stelle a Bilbao, e poi ancora quel pomeriggio di festa a cantare a squarcia gola: in questo mondo di ladri, in questo mondo di eroi, voi siete molto importanti ma questa festa è per noi…il derby riconquistato.

Voglio momenti del Toro così topici da diventare ricordi da raccontare a un bambino che non li ha vissuti, per fargli un regalo.

Il Toro del Gallo in prima fila e di Sirigu nell’ultima, di Nkoulou, Moretti, Izzo, Rincon, Baselli, De Silvestri e Ansaldi, Aina, Iago e Zaza, questo Toro qua, può costruirli i nostri momenti importanti?

Un Toro che contro il Frosinone argina il primo tempo e dilaga nel secondo, può diventare un Toro da raccontare?

Un Toro che a metà marzo ci carica ancora di adrenalina nell’affrontare il Bologna, perché siamo  in corsa e dobbiamo correre, può diventare un Toro da ricordare?

“È nato non dico male, ma così così, senza entusiasmare. Le prime amichevoli le abbiamo perse e qualcuno, non nel nostro gruppo, cominciò a storcere il naso. Io ci ho sempre creduto, tutto qui” disse Radice, stringendo lo scudetto tra le mani.

Purtroppo non c’è un iter prefissato per giungere ai momenti grandi della vita, ci lavori, ci lavori e quando meno te lo aspetti, maturano e arrivano. E quando li vivi quei momenti lì, poi non smetti più di raccontarli.

O magari ci lavori una vita e…aspetti.

Non pensiamo troppo e continuiamo a correre. Dove arriveremo, è meno importante del correre in sè.

Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.

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