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columnist
Domenica ho cercato dappertutto la voglia di andare alla partita, ma poi non l’ho trovata. Due ore e mezza di pullman, il caldo, le vacanze. È alla televisione che ho sentito lo stadio, vuoto per tre quarti, incitare il Toro. Come sempre. Ed è in quel momento che mi è venuta voglia di essere lì.
Allo stesso modo anche a Liverpool, in uno stadio pieno per tre quarti di compassati anglosassoni, l’urlo Toro echeggiava di continuo durante la telecronaca. Ok, forse il microfono era a favore, comunque sia anche il quel momento mi è salita la voglia di essere lì, per unire la voce a quell’urlo. Chissà se lo stadio di Liverpool è l’anticipazione del calcio che vivremo anche noi tra qualche anno: tifosi ordinati e composti, filtrati dal costo proibitivo per l’accesso a una struttura di proprietà privata: il biglietto. Stadio pieno sì, ma solo di persone che hanno buona disponibilità economica. Io auspico certo uno stadio straripante, ma dove si continui a giocare il gioco più popolare al mondo, quello che basta un pallone ed è subito partita. La selezione dovrebbe stare nella correttezza del comportamento di chi vuol partecipare a una festa, non nel peso di un portafoglio.
La selezione nella partita contro il Cosenza invece è stata di motivazione.
Mi piacciono i nuovi acquisti del Toro: un Izzo determinato, un Bremer che ha cancellato con poche giocate tutte le parole spese a vanvera su Verissimo, un Meité che alla base del suo metro e novanta ha due piedi precisi che si intendono bene col pallone.
Certo non abbiamo comprato qualcuno che ogni giorno popola le prime dieci pagine del giornale sportivo della città, dieci pagine di notizie fondamentali che raccontano tutto di lui, dal guardaroba al numero di capsule in bocca. Si ipotizza una carie, ma la notizia non è stata confermata.
Insomma, un po’ più di visibilità il Toro se la meriterebbe, visibilità che incuriosisce e attrae soprattutto i ragazzi. Cairo dovrebbe investire energie su questo fronte, che poi è il suo, quello su cui meglio si sa muovere. Non mera pubblicità, ma conoscibilità di qualcosa che sa affascinare.
Il fascino del gran gol al volo di Baselli, magnificato ulteriormente dall’idea che nasce da uno schema studiato e che, ben applicato, funziona! Non il semplice frutto dall’umore fortunato del momento (anche se…ben vengano pure quelli!).
Ma più ancora il fascino di un epico non-gol. L’armonia di un’azione interpretata insieme, come squadra. Berenguer che allunga per Belotti e Belotti che si butta a perdifiato dietro a un pallone che gli sfugge nel momento in cui scivola e finisce schiena a terra, il pensiero potente di chi non si arrende e si rialza per recuperarlo, quel pallone, bloccandolo nel momento in cui già sembrava rotolato fuori dal campo. Il tiro verso Iago, verso chi si fa sempre trovare al suo posto. La valutazione dell’angolazione migliore e il passaggio per Baselli che tira alto e…fa non-gol.
Quella sensazione di incompiutezza, così tanto familiare.
Provaci ancora Toro, facci un gol.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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