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columnist
marco cassandro
Siamo in pieno psicodramma. Mi sembra evidente che una squadra che perde 14 punti da situazioni di vantaggio sia afflitta da un grave disturbo di personalità.
Cosa accade quando andiamo in vantaggio? Ci spaventiamo. Cosa succede se addirittura raddoppiamo? Entriamo nel panico. Cosa succede se tutto ciò avviene nella parte finale della partita? Entriamo in una dimensione psicotica da trattamento sanitario obbligatorio. Per capirne di più aiutiamoci con il modello S.F.E.R.A, modello di massima prestazionalità messo a punto dal centro di psicologia sportiva dell’Università di Torino di cui è direttore Giuseppe Vercelli.
S.F.E.R.A è l’acronimo di sincronia, punti di forza, energia, ritmo e attivazione, i cinque ingredienti necessari a una grande prestazione. Ragionando in particolare sui primi due elementi, emergono riflessioni interessanti sul momento che sta vivendo il Torino.
Per sincronia si intende la capacità di essere completamente presenti su ciò che si sta facendo nel momento della prestazione, la capacità di essere ancorati al “qui e ora”, perfettamente concentrati sul singolo attimo. Ebbene, quando il Toro va in vantaggio la sincronia sparisce. Nella mente dei giocatori viene a mancare l’attenzione sull’unica cosa che conta: il presente. Si pensa al futuro, al passato, a quanto è successo la domenica prima, a quanto sarebbe bello non succedesse più, a quanto sarebbe tremendo succedesse ancora, a cosa diranno i giornalisti, i tifosi.
Cosa fare per non perdere la sincronia quando si va in vantaggio? Iniziare a pensare che l’unico momento che conta è quello che si sta vivendo; l’unica palla decisiva è quella che si sta giocando. Qualsiasi pensiero che allontana dal “qui e ora” (passato, futuro, tifosi, classifica, “dieci minuti fa”, “tra dieci minuti”) è un passo verso il baratro.
Come fare per rimanere “sincronizzati”? Raddoppiare l’agonismo, la corsa. Aumentare i giri del motore aiuta a tenere lontani ansia, paura di sbagliare e pensieri “extra-presente”. Guai a indietreggiare, rallentare, lasciare che la mente prenda il sopravvento. Bisogna andare a cercare la massima fatica, devono esistere soltanto il corpo e il desiderio di andare oltre i propri limiti. Avete notato come i nostri giocatori si spaventano quando gli avversari reagiscono e alzano il ritmo? E’ una specie di sindrome da “cane bastonato”. Appena il padrone alza la voce, noi corriamo a cuccia sotto il tavolo. E invece no: quando gli altri iniziano ad abbaiare, noi dobbiamo abbaiare ancora più forte.
Cosa si poteva fare quando Lukic ha segnato il gol del tre a uno contro il Sassuolo o quando lo stesso Lukic ha segnato il gol del due a uno contro la Lazio a tre minuti dalla fine o quando ieri Ansaldi ha messo a segno il rigore del due a zero? Trasformarsi in animali che corrono e ringhiano. Soltanto così si può mantenere la connessione con il presente, soltanto attraverso l’espressione della fisicità si può evitare di venire schiacciati da avversari e pensieri negativi. La prossima volta che andiamo in vantaggio (o peggio ancora raddoppiamo o triplichiamo), pensiamo che il gol appena fatto è già parte del passato, torniamo subito a metà campo, mettiamoci a urlare, carichiamoci, raddoppiamo la corsa, andiamo in apnea, proviamo a pensare che ogni singola palla è la più importante della vita.
Un altro elemento fondamentale riguarda il vissuto dei punti di forza. Per punti di forza si intendono le capacità e abilità fisiche, tecniche e psicologiche che l’atleta riconosce di possedere ai fini di una prestazione di eccellenza. I punti di forza sono connessi con il costrutto di “autoefficacia”, cioè il sentirsi capaci di eseguire un compito. Cosa succede ai nostri giocatori? Fino a quando andiamo in vantaggio si sentono capaci, consci delle proprie doti, focalizzati sugli obiettivi e su sé stessi (altrimenti non si spiegherebbe la giocata strepitosa di Meité in occasione del gol di Zaza). Dopo il vantaggio, il focus si sposta dalle proprie qualità a quelle degli avversari, gli altri diventano più forti, alla fiducia nelle proprie risorse si sostituisce il terrore per quelle altrui.
Quest’ultimo aspetto è retaggio della gestione Mazzarri. Se con Sinisa avevamo coltivato la cultura del coraggio (e talvolta dell’incoscienza….), con Mazzarri abbiamo coltivato la cultura del timore. Con lui (anche nell’anno del settimo posto) tutte le nostre partite erano impostate sulle qualità dei rivali, mai sulle nostre. Enfatizzare il valore altrui dimenticando il proprio, è il miglior viatico per sottomettersi. E infatti, non appena il fortino ha ceduto (mi riferisco alla strepitosa stagione disputata da Sirigu, Izzo, N’Koulou e Moretti), le magagne sono saltate fuori.
A mio avviso, da questo punto di vista, Giampaolo sta lavorando bene; dominare a Sassuolo e sessanta minuti a San Siro è un buon segno. Certo, non basta. Se siamo penultimi e la difesa è la più battuta del campionato, significa che anche lui ha grosse responsabilità.
La strada è ancora lunga. Il primo passo, come ci insegnano 150 anni di storia della psicologia, è riconoscere il disturbo e diventarne consapevoli. Il secondo è quello di trovare le strategie per guarire.
PS: Ho volontariamente tralasciato le responsabilità societarie. Sono talmente evidenti che parlarne non avrebbe aggiunto nulla.
Marco Cassardo, esperto in psicologia dello sport e mental coach professionista, autore di “Belli e dannati”, best seller della letteratura granata.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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