Credo che dopo 14 anni di “nulla”, Cairo non possa più esimersi dal mettere ufficialmente in vendita il Torino. A questo punto, è un atto dovuto. Due ripescaggi in Europa League come massimo risultato ottenuto, partecipazioni pietose alla Coppa Italia, 6 punti su 63 in 21 derby disputati (1 vittoria e 3 pareggi a fronte di 17 sconfitte) e un atteggiamento complessivo improntato alla mediocrità e alla mancanza di amore per il Torino, fanno della sua presidenza la più grossa occasione mancata della nostra storia. Già, perché questa volta non parliamo dei “ciaparat” genovesi o dello sceriffo di Busalla, del notaio chitarrista o dell’uomo delle pulizie De Finis. Parliamo di uno dei migliori imprenditori italiani, di un uomo che si è distinto nel panorama industriale italiano per lungimiranza, intuito e capacità di gestione, basti pensare agli ottimi risultati ottenuti dalla Cairo Communication e alle scalate a La7 e Rcs.
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Riflessioni sulla gestione Cairo
Cairo, paradossalmente, è sia il miglior presidente del dopo Sergio Rossi sia il peggiore. E’ il migliore per solidità economica, per la capacità di tenere i conti a posto, per serietà professionale. E’ il migliore perché (toccando ferro per quanto sta accadendo quest’anno), nelle ultime stagioni è riuscito a riportarci stabilmente nella parte sinistra della classifica. E’ il peggiore perché nessuno come lui è stato più deludente nel rapporto tra potenzialità (economiche, mediatiche, politiche) e risultati. Con il Toro non gli è riuscito nulla, se non collezionare premi personali, acquisire notorietà e vincere scudetti del bilancio. E’ il peggiore perché ha spaccato la tifoseria cavalcando l’onda lunga del terrore generato dal fallimento del 2005 per farci digerire risultati assolutamente non in linea con quella che è la storia e il dna granata. In questo senso, ha determinato una guerra fratricida tra la fazione dei fedeli devoti e commossi oltre ogni limite per il solo fatto di sopravvivere e la fazione di coloro che non ci stanno a pensare costantemente ai tempi di Cittadella ma preferiscono come benchmark di granatismo i tanti derby vinti, le Coppe Italia in cui era un affronto uscire prima della semifinale, le qualificazioni europee in serie e una storia fatta di tremendismo ed emozioni forti. Cairo deve mettere in vendita il Torino a una cifra congrua perché non ha speso un euro per acquistare la società e perché il Toro non è proprietario neanche della sede sociale; impossibile chiedere una fortuna per una società che ha un patrimonio immobiliare nullo ed è – con enorme colpa - la più distante dell’intero panorama italiano a pensare a uno stadio di proprietà.
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A quel punto, dopo aver messo ufficialmente in vendita la società a un prezzo congruo, vedremo chi si presenta. Ahimè, difficile essere ottimisti; a Torino nel corso del tempo si sono presentati solo furfanti, pagliacci e personaggi della levatura di Basharin e Ciuccariello e Giovannone. Vedremo, non si sa mai. Cairo ci deve provare; è un gesto dovuto nei confronti di un popolo ormai estenuato da quasi tre lustri di vuoto, mediocrità, mancanza di entusiasmo e progetti. Se non si presenterà nessuno o si presenteranno i soliti quaquaraqua che vengono alla luce quando si tratta di acquisire il Torino, allargheremo le braccia; se si presenterà un fondo birmano gestito da trafficanti di droga ne prenderemo atto e ci terremo Cairo senza più lamentarci, ci accontenteremo di una squadra che quando le cose girano per il verso giusto può sperare in un ripescaggio nelle coppe europee e quando girano male deve lottare per la salvezza ma, comunque, in linea di massima, è solidamente avvinghiata al ventre molle del centro-classifica. Se invece si presenterà un gruppo serio, solido economicamente e con un autentico progetto di crescita (e magari, ciliegina sulla torta, con un presidente innamorato del Toro), Cairo potrà serenamente passare la mano per la gioia sua (che con il Toro avrà fatto l’ennesima “plusvalenza monstre”) e nostra (che potremo riprendere a sognare e a dare un senso alla nostra vita di tifosi).
Perché Cairo non può più esimersi dal mettere ufficialmente in vendita il Torino? Perché quest’anno sta toccando il fondo per una serie di motivi che vanno ben oltre la penosa posizione di classifica:
https://www.toronews.net/columnist/il-toro-nella-testa/e-ora-lo-stadio-di-proprieta/
Cairo, questa volta, è davvero arrivato al capolinea. La sua esperienza alla guida del Toro ha perso la sua ragione d’essere perché ormai è assodato come le cose non cambieranno mai, ogni anno gli stessi errori, le stesse promesse mai mantenute, la solita ridda di delusioni, mercati estivi raffazzonati e concentrati nelle ultime ventiquattro ore, mercati invernali omessi o caratterizzati da colpi alla Coco o alla Tata Gonzalez, partite decisive puntualmente fallite, derby persi, stagioni anonime. Vediamo ininterrottamente lo stesso film da quattordici anni. Inutile ancora sperare in un futuro con Cairo presidente. Ormai, anche i più incrollabili ottimisti hanno capito che Cairo non metterà mai nel Toro le capacità e l’ambizione messe in luce nella gestione delle sue altre aziende. E’ giunto il momento di passare la mano (o perlomeno provarci, seriamente). Solo così, con una nuova società o con la consapevolezza che non esiste nessun imprenditore o gruppo serio desideroso di sposare la causa granata, potremmo metterci il cuore in pace.
Marco Cassardo, esperto in psicologia dello sport e mental coach professionista. E’ l’autore di “Belli e dannati”, best seller della letteratura granata
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