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Riflessioni sulla gestione Cairo

Il Toro nella Testa / Torna l'appuntamento con la rubrica di Marco Cassardo
Marco Cassardo

Credo che dopo 14 anni di “nulla”, Cairo non possa più esimersi dal mettere ufficialmente in vendita il Torino. A questo punto, è un atto dovuto. Due ripescaggi in Europa League come massimo risultato ottenuto, partecipazioni pietose alla Coppa Italia, 6 punti su 63 in 21 derby disputati (1 vittoria e 3 pareggi a fronte di 17 sconfitte) e un atteggiamento complessivo improntato alla mediocrità e alla mancanza di amore per il Torino, fanno della sua presidenza la più grossa occasione mancata della nostra storia. Già, perché questa volta non parliamo dei  “ciaparat” genovesi o dello sceriffo di Busalla, del notaio chitarrista o dell’uomo delle pulizie De Finis. Parliamo di uno dei migliori imprenditori italiani, di un uomo che si è distinto nel panorama industriale italiano per lungimiranza, intuito e capacità di gestione, basti pensare agli ottimi risultati ottenuti dalla Cairo Communication e alle scalate a La7 e Rcs.

Cairo, paradossalmente, è sia il miglior presidente del dopo Sergio Rossi sia il peggiore. E’ il migliore per solidità economica, per la capacità di tenere i conti a posto, per serietà professionale. E’ il migliore perché (toccando ferro per quanto sta accadendo quest’anno), nelle ultime stagioni è riuscito a riportarci stabilmente nella parte sinistra della classifica. E’ il peggiore perché nessuno come lui è stato più deludente nel rapporto tra potenzialità (economiche, mediatiche, politiche) e risultati. Con il Toro non gli è riuscito nulla, se non collezionare premi personali, acquisire notorietà e vincere scudetti del bilancio. E’ il peggiore perché ha spaccato la tifoseria cavalcando l’onda lunga del terrore generato dal fallimento del 2005 per farci digerire risultati assolutamente non in linea con quella che è la storia e il dna granata. In questo senso, ha determinato una guerra fratricida tra la fazione dei fedeli devoti e commossi oltre ogni limite per il solo fatto di sopravvivere e la fazione di coloro che non ci stanno a pensare costantemente ai tempi di Cittadella ma preferiscono come benchmark di granatismo i tanti derby vinti, le Coppe Italia in cui era un affronto uscire prima della semifinale, le qualificazioni europee in serie e una storia fatta di tremendismo ed emozioni forti. Cairo deve mettere in vendita il Torino a una cifra congrua perché non ha speso un euro per acquistare la società e perché il Toro non è proprietario neanche della sede sociale; impossibile chiedere una fortuna per una società che ha un patrimonio immobiliare nullo ed è – con enorme colpa - la più distante dell’intero panorama italiano a pensare a uno stadio di proprietà.

https://www.toronews.net/columnist/il-toro-nella-testa/nessun-dramma-ma-nessun-trionfalismo/

A quel punto, dopo aver messo ufficialmente in vendita la società a un prezzo congruo, vedremo chi si presenta. Ahimè,  difficile essere ottimisti; a Torino nel corso del tempo si sono presentati solo furfanti, pagliacci e personaggi della levatura di Basharin e Ciuccariello e Giovannone. Vedremo, non si sa mai. Cairo ci deve provare; è un gesto dovuto nei confronti di un popolo ormai estenuato da quasi tre lustri di vuoto, mediocrità, mancanza di entusiasmo e progetti. Se non si presenterà nessuno o si presenteranno i soliti quaquaraqua che vengono alla luce quando si tratta di acquisire il Torino, allargheremo le braccia; se  si presenterà un fondo birmano gestito da trafficanti di droga ne prenderemo atto e ci terremo Cairo senza più lamentarci, ci accontenteremo di una squadra che quando le cose girano per il verso giusto può sperare in un ripescaggio nelle coppe europee e quando girano male deve lottare per la salvezza ma, comunque, in linea di massima, è solidamente avvinghiata al ventre molle del centro-classifica. Se invece si presenterà un gruppo serio, solido economicamente e con un autentico progetto di crescita (e magari, ciliegina sulla torta, con un presidente innamorato del Toro), Cairo potrà serenamente passare la mano per la gioia sua (che con il Toro avrà fatto l’ennesima “plusvalenza monstre”) e nostra (che potremo riprendere a sognare e a dare un senso alla nostra vita di tifosi).

Perché Cairo non può più esimersi dal mettere ufficialmente in vendita il Torino? Perché quest’anno sta toccando il fondo per una serie di motivi che vanno ben oltre la penosa posizione di classifica:

  • Sebbene sapesse da mesi che Petrachi se ne sarebbe andato, non si è preoccupato di sostituirlo. La figura di Bava, come ormai tutti hanno capito, è fittizia, tanto che non è neppure stata presentata ufficialmente. Con tutto il rispetto per Bava (artefice di ottimi risultati a livello giovanile), non era difficile capire che un conto è scovare talenti quindicenni a Savigliano e un’altra è fare il direttore sportivo di una squadra che deve giocarsi i preliminari di Europa League.
  • Cairo continua a volere fare tutto da sé. Non è capace di delega, non si fida di nessuno e vuole che i riflettori siano costantemente accesi sulla sua persona. Così non fosse, non saremmo l’unica squadra di Serie A priva di un direttore generale e di un direttore sportivo realmente operativi.
  • La stagione in corso era fortemente attesa da tutto il popolo granata. Dopo l’ottimo girone di ritorno dello scorso anno e il ripescaggio in Europa, era il momento giusto per spiccare il volo con una campagna acquisti tempestiva, puntuale e mirata. Lo dicevamo tutti, bastava poco per lottare per le prime quattro-cinque piazze. Ci volevano un grande esterno sinistro, un paio di centrocampisti di livello superiore e un trequartista capace di dare fantasia all’asfittica manovra granata. Sono arrivati Laxalt e Verdi (due buoni giocatori, comunque riserve nelle loro ex squadre) negli ultimi giorni di mercato e la tanto agognata Europa League è stata giocata con una rosa di 14 giocatori, totalmente insufficiente al raggiungimento dello scopo. La povertà del nostro centrocampo, poi, da quattordici anni anello debole della squadra, e l’insistenza nel non volere acquistare giocatori di alto livello in quel ruolo, sta quasi diventando provocatoria, basti pensare che il Cagliari conta su Nainggolan, Nandez, Cigarini, Rog, Oliva, Castro, Ionita e Birsa mentre il nostro centrocampo,  sia a livello qualitativo sia a livello quantitativo, è da bassa classifica.
  • Il caso Nkoulou ha messo a nudo in modo inappellabile la debolezza societaria.
  • L’insistenza su Mazzarri non ha ragion d’essere: la squadra gioca malissimo, non tira mai in porta e sbaglia tutti gli appuntamenti importanti. Mazzarri e la sua cultura dell’alibi danneggiano un ambiente che ormai da anni ha assunto una fisionomia “perdente”. Forse esagero, ma andava sollevato dall’incarico dopo l’ignominiosa disfatta interna contro il Lecce (per noi tifosi, che dopo 42 anni potevamo assaporare il primo posto, una mazzata micidiale che ha fatto seguito all’enorme delusione provocata dall’eliminazione europea) oppure, se proprio si voleva insistere, si poteva derubricare la sconfitta contro il Lecce come “incidente di percorso” e dargli ancora una chance la domenica successiva contro la derelitta Samp di questi tempi: o una grande prova coronata dai tre punti o esonero (inutile vi ricordi che la prestazione di Marassi fu sconcertante per mollezza e dabbenaggine).
  • Il silenzio assordante e persistente relativo allo stadio di proprietà. Tutte le principali squadre italiane si stanno attrezzando, ovunque è all’ordine del giorno, da noi no, da noi tutto tace: una squadra che nel 2019 non mette lo stadio di proprietà tra le sue priorità è tagliata fuori da ogni progetto di autentica crescita.
  • https://www.toronews.net/columnist/il-toro-nella-testa/e-ora-lo-stadio-di-proprieta/

    Cairo, questa volta, è davvero arrivato al capolinea. La sua esperienza alla guida del Toro ha perso la sua ragione d’essere perché ormai è assodato come le cose non cambieranno mai, ogni anno gli stessi errori, le stesse promesse mai mantenute, la solita ridda di delusioni, mercati estivi raffazzonati e concentrati nelle ultime ventiquattro ore, mercati invernali omessi o caratterizzati da colpi alla Coco o alla Tata Gonzalez, partite decisive puntualmente fallite, derby persi, stagioni anonime. Vediamo ininterrottamente lo stesso film da quattordici anni. Inutile ancora sperare in un futuro con Cairo presidente. Ormai, anche i più incrollabili  ottimisti hanno capito che Cairo non metterà mai nel Toro le capacità e l’ambizione messe in luce nella gestione delle sue altre aziende. E’ giunto il momento di passare la mano (o perlomeno provarci, seriamente). Solo così, con una nuova società o con la consapevolezza che non esiste nessun imprenditore o gruppo serio desideroso di sposare la causa granata, potremmo metterci il cuore in pace.

    Marco Cassardo, esperto in psicologia dello sport e mental coach professionista. E’ l’autore di “Belli e dannati”, best seller della letteratura granata

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