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La ”colla a calcio”

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Questa sera, la vostra Granatina si prende una piccola pausa dal Toro, per dare uno sguardo generale al mondo del calcio. Spesso, se si parla di calcio, si parla di rivalità, di violenza, in certi casi di vera e propria follia. È ora...
Roberta Picco

Questa sera, la vostra Granatina si prende una piccola pausa dal Toro, per dare uno sguardo generale al mondo del calcio. Spesso, se si parla di calcio, si parla di rivalità, di violenza, in certi casi di vera e propria follia. È ora di parlare della parte buona del calcio. 

 

Ci pensavo pochi giorni fa quando ho sentito una particolare notizia riguardante la terribile situazione della Turchia. Nel marasma della rivolta contro il governo di Erdogan per le libertà civili, è sbucata una foto di tre ultras abbracciati, rispettivamente con la maglia del Galatasaray, del Fenerbahce e del Besiktas, che ha fatto il giro del mondo. Le tifoserie hanno annunciato di volersi unire a fianco dei civili in protesta, accantonando le rivalità calcistiche: un gesto simbolico, ma efficace. Il calcio è motivo di unione a favore di qualcosa di più grande, di eticamente corretto, lo abbiamo visto anche diverse volte qui da noi, ad esempio con le varie partite del cuore, tra calciatori professionisti e non. Tante volte, infatti, la popolarità di questo sport è sfruttata per la giusta causa della beneficienza per chi è meno fortunato. Il ricavato di queste partite, è totalmente devoluto alla ricerca piuttosto che a qualche associazione benefica. Spesso gli stessi calciatori, da privati, fondano associazioni o donano parte dei loro, in molti casi, decisamente esagerati stipendi, a favore di chi ne ha davvero bisogno. Alcuni giocatori si accorgono di essere strapagati e fanno molto per “rimediare” a ciò. Questo è davvero importante in un mondo calcistico che sembra non conoscere crisi e che vede solo cifre piene di zeri. Qualcosa, forse, sta finalmente cambiando!

 

 Ma il calcio può unire anche sotto un altro aspetto, l’esempio è triste, ma calzante: si tratta della fascia nera al braccio, del lutto di chi ha lasciato il segno, in qualche modo, nella storia di questo sport o della nazione. Nel momento in cui i giocatori indossano quella fascia e entrano in campo, si dovrebbe creare un’atmosfera di quiete in cui tutti si uniscono in silenzio nello stesso ricordo. A prescindere dalla squadra, a prescindere dal colore della pelle.

 

Passiamo ora a qualcosa di più allegro che unisce tante persone nonostante la diversa fede calcistica: la Nazionale, la maglia azzurra. Dopo la non bellissima figura di ieri sera, è strano tesserne le lodi, ma non soffermiamoci sul singolo episodio. Da che mondo è mondo, la squadra nazionale ha sempre unito tutti nei salotti davanti alla TV, nelle piazze con i maxischermi, a tifare per quegli undici ragazzi italiani che ci rappresentano ovunque vadano. Quando gioca la Nazionale, tutto cambia, ci si sente tutti fratelli, si abbandonano i “rancori da campionato” e ci si abbraccia per il gol di quel giocatore che, si può dire che non fosse proprio dei nostri preferiti, insomma.

 

Forse è banale, lo so, ma spero che il cuore azzurro che è in noi, si faccia sentire più spesso. La rivalità è fondamentale, è la spinta che rende lo sport divertente, ma credo che ogni tanto non faccia male godersi il calcio, puro e semplice, con gli amici di sempre, uniti davanti a una buona pizza! Quegli amici che, ahimè, tifano per un’altra squadra. 

 

Roberta Picco

Twitter:@roberta_picco

  (foto www.net1news.org)

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