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La coscienza di un guardalinee

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Loquor / La rubrica del nostro Anthony Weatherill: "Non ci è dato scegliere la cornice del nostro destino, ma ciò che ci mettiamo dentro è nostro"
Anthony Weatherill

“Non ci è dato scegliere la cornice del nostro destino,

                             ma ciò che ci mettiamo dentro è nostro”.

Dag Hammarskjold

Maradona, ancora una volta nella sua controversa e tormentata esistenza, è stato protagonista di gesti offensivi (mostrando i diti medi delle sue mani) in mondovisione nel corso della partita Argentina Nigeria dei mondiali di calcio in corso di svolgimento in Russia. Il Pibe de Oro non è nuovo a esporre in modo volgare il suo personaggio in occasioni pubbliche, in una triste rappresentazione di totale mancanza di pudore, di rispetto e di senso dell’etica. L’ex calciatore argentino non si è mai curato di mostrare senso di responsabilità, obbligo inderogabile per un personaggio pubblico del suo calibro. Il suo voler essere a tutti costi visto come un rivoluzionario “anti sistema”, rasenta tratti che vanno dalla megalomania alla perdita del senso del ridicolo, rendendo ogni sua manifestazione pubblica un involontario omaggio al mondo della caricatura. La sua presunta “ricerca della libertà” cade sempre più spesso nella rappresentazione del vuoto, in cui l’unica cosa che conta è mostrarsi, esporsi, offrendo la sua caricatura ad occhi ormai deformati di tifosi trasformatisi, in un processo di annichilimento silenzioso e progressivo portato avanti dal mezzo televisivo, in clienti di uno sport evolutosi in una penosa forma di spettacolo.

I gesti offensivi, una volta confinati essenzialmente nell’alveo della nostra intimità, sono diventati una delle tante “merci” in vendita nella vetrina mediatica dello sport, più che un’emozionante sfida di talento umano. Una sfida che prevedeva, sin dai tempi delle olimpiadi dell’antica Grecia, un mettere temporaneamente da parte le spesso misere controversie umane, nel tentativo di dare il meglio di se stessi. Un meglio che doveva avere come corollario imprescindibile il “senso della limitatezza”, principio cardine di tutto l’orizzonte esistenziale/filosofico dei Greci. Maradona, intento da sempre  nello scempio di come si fa a bruciare la propria intimità a velocità impressionante, non comprendendo il fine del “gioco”, ma solo il narcisismo schizofrenico che lo pervade, cade ogni volta nella perversa conclusione del “tutto posso, perché io sono”. Dimenticando che la parola, i gesti e persino certi silenzi sono dei mezzi da saper utilizzare, e non il fine di tutte le cose. Allora, in questa fuorviante trasformazione del calcio da gioco a spettacolo, non sorprende nessuno l’aver convertito uno degli atti di slealtà sportiva più noti di ogni tempo, il gol di mano di Maradona in un quarto di finale di un mondiale, nella “mano di Dio”. Dimentichi che alla base di ogni pratica sportiva c’è la lealtà, in questi anni si è assistito ad una pubblicistica e ad una letteratura inneggiante al “colpo di mano” di Maradona, trasformato da molti nella migliore delle ipotesi in un’esibizione di sublime furbizia e nella peggiore delle ipotesi in una giusta riparazione della Guerra delle Falkland o Malvinas. Queste interpretazioni, a distanza di anni, continuano a non sorprendere nessuno perché ormai si è perso completamente il significato delle parole, che spesso non sappiamo più nemmeno leggere(un recente autorevole studio ha scoperto che il 70% delle persone sovente non capisce ciò che legge), e abbiamo dato il via libera al deleterio “fascismo delle opinioni”.

La verità dei fatti ormai non conta più, ma conta solo raggiungere il necessario potere con cui circuire il prossimo con valanghe di parole e immagini da interpretare a proprio piacimento. In uno sport diventato ormai terreno di scontro non di gesti atletici, ma di sfruttamento del potere mediatico per prolungare controversie politiche o etniche, appare normale che due giocatori della nazionale svizzera di origine kosovara, Granit Xhaka e Sherdan Shaqiri, esultano rappresentando a gesti l’Aquila Bicefala provocando in modo plateale i giocatori serbi. I quali serbi non sono andati tanto per il sottile, con il loro commissario tecnico Krstajic darsi a vertiginosi paragoni accostando l’utilizzo del Var al tribunale dell’Aja. In questo clima è del tutto logico che dei supposti tifosi abbiano rivolto delle minacce di morte e degli insulti razzisti a Jimmy Durmaz, giocatore svedese di origini siriane, reo di aver provocato il fallo della punizione/gol vincente di Kroos. Minacce di morte sono state rivolte anche ai due giocatori colombiani, colti dal destino nell’errore dal dischetto nella lotteria finale dei rigori contro l’Inghilterra. Ma tutte queste cose esecrabili verranno presto dimenticate o trasformate dal comune sentire in altro da sé. Recentemente Maradona è andato a trovare Alì Bin Nasser, l’arbitro tunisino che non vide il suo gol di mano, definendo l’incontro “emozionante”, perché in quella svista arbitrale l’ex giocatore argentino aveva visto “il segno del destino  indicare la strada che avrebbe condotto al trionfo finale”. Già,è sempre il destino a cui diamo il compito di giustificare il senso delle nostre scelte.

Già Omero nell’Iliade aveva messo in scena storie di uomini che, seppur potenti e belli, erano sovente in balia dei destini scelti per loro dagli dei. Il destino è lo strumento perfetto per assolverci da ogni colpa e da ogni peccato, usato con una disinvoltura di cui prima o poi, ne sono certo, saremo chiamati a rispondere. E’ il destino che ha stabilito l’assegnazione al Qatar, un Paese grande quanto l’Abruzzo, dei mondiali di calcio del 2022, in una logica di opportunità sportiva talmente sbilenca, da situare temporalmente a dicembre, causa ostilità climatica estive, lo svolgersi della competizione mondiale. E’ sempre il destino ad aver dotato il sottosuolo delle zone mediorientali di ingenti risorse petrolifere e di gas naturali, riempendo di ricchi proventi i forzieri dei fondi sovrani di sceicchi, emiri e principi sauditi. Era destino, quindi, che quei forzieri fossero messi a disposizione, con una logica da “Lampada di Aladino”, di club calcistici europei, strappati dalla loro storia a suon di dobloni lanciati dalla tolda di una nave dall’aspetto di corsara memoria. La televisione, a cui non par vero questa improvvisa cascata di dobloni abbattutesi sul continente europeo, si è messa a disposizione come cassa di risonanza di questi richiami del destino, trasformando i calciatori in vere e proprie aziende, i proprietari dei club in manager di società per azioni, i tifosi in clienti/spettatori. In questo clima voluto dal destino, è del tutto conseguente l’improvviso aumento del 30%  del prezzo degli abbonamenti della Juventus. Gli stadi dei grandi club sono diventati sempre più piccoli (l’Inghilterra è stata la prima a cominciare questa tendenza), per far diventare lo spettacolo live l’ambizione costosa di una elite. Chi non si può permettersi di essere elite, può comodamente accomodarsi nella poltrona di casa a gustarsi lo spettacolo con birra e pop corn, assediato da spot pubblicitari e da una visione totalmente falsata dell’avvenimento sportivo a cui sta assistendo. Sempre il destino si sta occupando delle piccole società, che non avendo il problema di stadi piccoli o grandi, semplicemente hanno imboccato la via della marginalizzazione sportiva o del fallimento. Ma, tranquilli, il destino ci porta sempre verso un futuro radioso, mettendo tutto a posto come per magia.

Ho l’impressione che la via per acquistare Cristiano Ronaldo stia per essere semplificata da Florentino Perez, presidente Real, in una logica di grandi club europei ormai costituitesi come “cartello”, con il “nobile” fine di creare il calcio spettacolo nel continente europeo. Pare che anche questo sia stato stabilito dal destino. Ma il destino ha una coscienza? Sinceramente non saprei dirlo, ma di sicuro una coscienza l’aveva Bogdan Dochev, il guardialinee bulgaro di Argentina Inghilterra, che anni dopo ammise di aver visto il fallo di mano di Maradona. Quell’errore lo tormentò fino alla sua morte, avvenuta nel 2017 all’età di ottant’anni, fino al punto di spingerlo a scrivere, sul retro di una foto del campione argentino, “Maradona è il mio becchino”. “quel mondiale ci ha rovinato la vita- ha raccontato in seguito la vedova del guardalinee bulgaro -, perché Bogdan si isolò e gli amici non mi salutarono nemmeno più. Per noi non è stata “la mano di Dio” ma un calcio nei denti”. Bogdan Dochev non si è appellato al destino per quella sua omissione, non ha intravisto nessuna via verso il trionfo e il riscatto di una guerra perduta. Ha semplicemente ammesso, con il suo rimorso, la scelta sbagliata di quel giorno. Bisogna ringraziare il signor Dochev, perché il suo tormento ricorda a tutti noi che esistono responsabilità a cui non possiamo e non dobbiamo sfuggire. Riaffermare il valore della coscienza, per sfuggire al relativismo del destino. La necessità di cadere, per riscoprire il valore del rialzarsi. Questo è lo sport. Questa è la vita.

(ha collaborato Carmelo Pennisi)

 

Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.

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