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“Il nostro centravantié lo spazio”
Pep Guardiola
“Barcelona mes que un club”, e già si capisce come quel “più di una squadra” sia dimentico della lezione di Miguel De Cervantes che fa dire al suo Don Chisciotte, in modo paradossale e un po’ patetico, come non ci sia “nessun limite eccetto il cielo”. Questa ironia feroce del grande scrittore spagnolo, devono averla messa da parte in molti in quella Catalogna dove un giorno, per merito di un fato più che benigno, si è venuta a creare una grande squadra foriera di fortuna non solo per gli epigoni del “Camp Nou”, ma anche per la nazionale spagnola. “Generazione d’oro” è stata denominata quella generazione che avuto in Andres Iniesta, uno dei significati più magici dell’esistenzialismo spagnolo. “L’illusionista” era stato il soprannome dato a questo ragazzo assurto a gloria imperitura a Fuentealbilla, minuscolo centro della Mancia dove l’illusione spagnola è vista esattamente come la letteratura spagnola l’ha trasformata, ovvero in gioia per il presente e fiducia nel futuro.
Quel Barcellona della “Generazione d’Oro” ha come sconfinato a livello esistenziale in tutta la pubblicistica europea e in tutte le teste occupate dal calcio, facendo trasmigrare la follia immaginifica iberica nella prassi di chi ha sempre creduto nel “piacer vano delle illusioni” di leopardiana memoria. Il problema, a questo punto, è partire dal giorno in cui Pep Guardiola è stato proclamato massimo luminare del calcio, dimenticandosi la scia della “Generazione d’Oro” lasciata dietro di lui. Perché il problema, per dirla alla Nietzsche, non è tanto il fatto di essere ingannati, “quanto l’essere danneggiati dall’inganno”. Nessuno come il luminare di Santpedor (altro minuscolo centro, ma stavolta della Catalogna) ha saputo sfruttare al massimo, per propria fama e proprio potere, l’illusione di quei ragazzi giunti un giorno dalla “Masia” di uno dei club più famosi del mondo per fare la storia del calcio. Nessuno come Guardiola ha fatto spendere più soldi sul mercato da quando ha lasciato il Barcellona; il vate che ha sostituito Arrigo Sacchi nell’immaginario di chi ha bisogno di fare scienza anche quando si parla di calcio, si sta avviando verso i due miliardi di euro tirati fuori dalle tasche dei poveri tedeschi del Bayern di Monaco e del solito ricco a sproposito proveniente dalle dune mediorientali, che sicuramente ancora non ha capito nulla nemmeno di “Blue Moon”, lo storico inno dei “Citizens”. E quando i soldi spesi chiaramente non vanno a buon fine perché si perde con un qualunque Leicester la “Community Shield”, ovviamente la colpa è da ascrivere all’Uefa e alla Fifa fissati con le troppe partite nazionali. L’importante è sempre alimentare l’illusione che il racconto fantastico esiste perché c’è lui, onnicomprensivo del tutto e con intorno tutta una serie di collaboratori proveniente da quel “mes que un club” di cui sopra. Txiki Begiristain, attuale direttore dell’area tecnica del City, è un altro di quei componenti della “gang spagnola” messa in piedi da Joan Laporta al tempo della sua presidenza dei “Blaugrana” ricca di vittorie, grazie al prodigio uscito dalla “Masia” di cui sopra. Begiristain viene dai Paesi Baschi, dove il mito dell’Eta e dell’orgoglio dell’Athletic ti farebbe prefigurare un uomo tutto di un pezzo e fedele a dei sacri principi. Anche perché è proprio grazie essersi messo al servizio di Guardiola e del più che un club, ad avergli garantito la patina di colui che è al servizio h24 della bellezza dell’idea e della bellezza del gioco(spero si sia colta l’ironia). Ma poi lo vedi sorridere come un bambino appena sceso dall’autoscontro della giostra, alla conferenza stampa di presentazione di Jack Grealish, ennesimo capriccio costato 120 milioni di euro(tanto paga Mansour), però necessario per continuare a coltivare illusioni. Perché le idee, quelle vere, costano. Mansour ancora una volta si fida, perché l’intuizione è venuta da uno di quel grande Barca fonte di ogni ambizione, e stacca l’assegno. In fondo Grealish è costato meno del suo yacht da 147 metri, e i soldi se non alimentano le illusioni, allora a cosa servono. E per gestirli meglio, questi soldi forieri di future gioie, chiamare un altro ragazzo del club che più club non si può è stato quasi automatico, perché l’amministratore delegato di un club divenuto ormai l’autentica sciccheria della Premier League doveva per forza essere un amico del Pep, e che come lui parla tutte le lingue che contano nel calcio.
“Dove sono i giganti” chiede Sancho Pancia a Don Chisciotte, ed ecco la figura di Ferran Soriano appalesarsi alla porta di quello che fu il club operaio della città cotoniera più famosa del mondo. Eh sì, sono bravi questi spagnoli, ai quali al confronto gli italiani sono dei poveri apprendisti stregoni abituati solo a chiedere tangenti e a non pagare le tasse. Così, almeno, vuole la vulgata dei nostri giornaloni, abili nell’utilizzare Guardiola e i suoi fratelli per sparare a palle incatenate contro il nostro Paese. Anche la famiglia Al-Thani (sì quelli che hanno ricoperto di gas dollari il Paris Saint Germain, convincendolo di essere diventato il “Principe Azzurro” del calcio. Pare non esistano specchi dalle parti de “Parco dei Principi”) è stata sedotta dal fascino dal club più club che più club non si può e ha ingaggiato per la sua “Aspire Accademy” Josep Colomer, con lo scopo di farla diventare uno dei settori giovanili più produttivi del mondo. Colomer è stato il responsabile della “Masia” proprio ai tempi della “Generazione d’Oro” e ha accettato, sempre in onore del servizio di un’idea, l’incarico dai qatarini a patto che il know-how commerciale dell’accademia fosse curato dalla “Global Sport Marketing”, creatura, pensate un po’, di Sandro Rosell, ex presidente dei più, più e ancora più. Colomer è accomunato con Rosell da una solida amicizia e da una opaca vicenda giudiziaria, perché gli amici non si possono mica lasciare da soli di fronte a dei problemi giudiziari. “Mai chiedere supplicando quello che avete il potere di guadagnare” fa dire a Don Chisciotte la penna di Cervantes, e la comprensione di molti fenomeni della vita i più delle volte si sostanziano proprio lì, sul concetto di potere. Gli Iniesta e gli Xavi hanno creato delle reputazioni incredibili a carriere che si stanno protraendo nel tempo, al di là di ogni merito effettivo reale. Valutare la “gang degli spagnoli” è diventato davvero difficile, perché purtroppo manca un’unità di misura di riferimento oggettiva. Arrivare da Roma a Milano con una “Ferrari” è molto più agevole e veloce che arrivarci con una “Cinquecento”, e la gente sovente non ha memoria del mezzo, ma solo dell’arrivo e delle sue modalità. Il Pep Guardiola sorpreso a parlare da filosofo della “Dea Eupalla”(quanto ci manchi Brera…) è molto seducente, con quel suo sorriso ammantato dalla leggenda creata da una tale generazione di fenomeni, probabilmente irripetibile da ripetersi riunita nello stesso posto in terra di Spagna. “La gang spagnola” è stata brava, molto brava, ad approfittare del suo momento, che è andato ad incrociarsi con i desideri venuti dal medio oriente a comprarsi il paese dei balocchi del calcio europeo. Ma l’idea, quella vera, é Leo Messi che il giorno prima si fa passare dalla moglie un fazzoletto bianco per piangere meglio alla conferenza stampa, e qualche giorno dopo dichiara sotto la Torre Eiffel, con occhi scintillanti di gioia, come lui e gli Al Thani abbiano la stessa visione del mondo. Eh sì, amici miei, è proprio quando un’idea diventa visione, che ogni illusione prende forma. Perché se c’è una cosa appresa bene da Leo Messi dalla “gang spagnola”, è la grande verità enucleata da Nietzsche: “gli esseri umani hanno una invincibile inclinazione a lasciarsi ingannare”. E qui l’illusione letteraria spagnola nulla c’entra, qui c’entra quella impercettibile ma onnipresente tentazione dalle mie parti denominata “paraculismo”. E spero possiate perdonarmi l’utilizzo del francese. Ma quando ci vuole…
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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