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columnist
“Trovi una nazione forte dove
le leggi valgono qualcosa”.
Publilio Siro
Dure polemiche sono seguite in questi giorni successivi alla partita Udinese/Torino. Polemiche a cui non si è sottratto nemmeno il presidente del Torino Calcio, Urbano Cairo, in genere abile a sottrarsi ai toni eccessivamente alti che abitano nel calcio italiano. “In casi come quello di Udine il Var non c’entra: la disposizione del designatore dice di far finire l’azione, per poter poi valutare se c’è fuorigioco con l’uso del video. Se invece la fermi prima non si può più intervenire. E qui non non è neanche più questione di protocollo. Ha sbagliato (Valeri) per precipitazione”, ha precisato Marcello Nicchi (il presidente dell’Associazione Italiana Arbirtri) nel vano tentativo di spegnere le polemiche.
Considerare un semplice errore di “precipitazione” il fischio dell’arbitro Valeri potrebbe apparire, agl’occhi dei più maliziosi, una diminutio davvero difficile da digerire. Provo a spiegarne le ragioni. L’arbitro, da regolamento e quando non c’è la possibilità di usufruire del Var per una possibile segnatura, dovrebbe fermare l’azione nel momento in cui il giocatore in fuorigioco entra nel vivo dell’azione. Nel caso di Udine ne consegue che Valeri avrebbe dovuto fischiare (ed è proprio così che ha fatto) nel momento in cui Berenguer ha colpito di testa il pallone crossato da Iago Falque. Considerando che il pallone colpito di testa dal giocatore del Toro è finito nella rete dell’Udinese in 3 o 4 secondi al massimo, la cosa sorprendente è stata la straordinaria velocità di pensiero e azione avute da guardalinee e arbitro.
Partendo dal principio di voler sempre credere alla correttezza della classe arbitrale, e quindi anche in quella di Valeri, viene difficile pensare che l’arbitro romano avesse un qualche interesse per intervenire pesantemente a modificare il risultato di una partita da lui diretta. Ma il comportamento sorprendente di cui sopra risalta agl’occhi di chiunque segua costantemente le partite di calcio, e può far pensare male.
Chi è chiamato a gestire un potere, come nel caso degli arbitri, deve, come la moglie di Cesare descritta da Plutarco, non solo essere onesta, ma anche sembrare onesta. Quandunque ciò non dovesse essere, e il comportamento dell’arbitro di Udinese Torino è proprio il caso di specie, si deve necessariamente aprire un capitolo giudicante al fine di arrivare ad una giusta sanzione da comminare a chi si è reso protagonista di un errore talmente grave, da mettere in serio dubbio persino la propria reputazione. La sanzione è un aspetto importante del convivere civile, perché è attraverso il principio della sua proporzionalità rispetto al tipo di trasgressione, che il cittadino si rende in grado di dedurre l’importanza sociale del rispetto della norma(nel nostro caso, del regolamento). La sanzione dà il senso del valore del divieto: più è grave la sanzione, più valore si dà al precetto.
“Combattere a difesa della legge (nomos) è necessario per il popolo, proprio come a difesa delle mura”, ebbe a scrivere Eraclito, uno dei più importanti filosofi cosiddetti “presocratici”. Combattere a difesa della legge, secondo il pensatore greco, è la modalità data agli uomini per conservare una “misura” del vivere comune. Se riteniamo che ciò abbia un senso, allora necessariamente dobbiamo aprire una discussione sulla giusta sanzione da comminare a chi trasgredisce il patto, cioè la legge, che aiuta tutti noi a dormire sonni più tranquilli. Le attività umane, in definitiva, devono essere necessariamente regolate dalla legge (norma) e dal conseguente esercizio della giustizia.
Da ciò ne discende che il comportamento recente di Paolo Valeri non può essere rubricato facilmente come un atto di precipitazione. Forse è stato un errore, forse è stato un eccesso di simpatia per l’Udinese o un eccesso di antipatia per il Torino, forse non gli piace la Gazzetta dello Sport di proprietà di Urbano Cairo, o forse è stato chissà cosa altro; ma l’apparenza sarà sempre contro di lui. E di ciò Marcello Nicchi dovrebbe tenerne conto, nel momento in cui dovrà essere applicata una sanzione contro l’operato pesantemente maldestro tenuto da un arbitro da anni elevato allo status di internazionale.
Il mondo del calcio non può permettere che dei tifosi possano pensare, in modo del tutto giustificato, ad un arbitro influenzato da interessi personali nell’ annullare la rete di Berenguer. Valeri non è un novellino o una persona a digiuno di esperienza nell’utilizzo della tecnologia Var, essendo stato selezionato in qualità di assistente al Var per i mondiali di calcio di Russia 2018. E’ veramente sorprendente, ripeto, che un arbitro di simile esperienza possa aver fischiato un fuorigioco a tre secondi dall’entrata in porta di un pallone. In questa sede non è in discussione il danno arrecato al Torino, che oggettivamente c’è e ancor di più ci sarà se la squadra granata non dovesse raggiungere un auspicato obiettivo di classifica stagionale per uno o due punti, ma piuttosto la necessità di ricordare alla gente che chi ha molti onori, e gli arbitri ne hanno molti sia in termine di emolumenti che di immagine, deve essere necessariamente e pesantemente sanzionato nel momento in cui non gestisce in modo corretto e cristallino l’onere da cui ricava i suoi onori.
Inoltre non è da sottovalutare l’enorme danno d’immagine fatto alla tecnologia Var dal fattaccio avvenuto domenica scorsa ad Udine. Un danno che potrebbe avere ripercussioni sulla credibilità dello strumento tecnologico, con pesanti ricadute economiche negli interessi generali. Ci sarebbero tutti gli estremi, da parte di Lega Calcio e Fgci, per procedere attraverso la giustizia civile contro Valeri. Se si facessero ragionamenti seri sulla funzione dei ruoli e sul “ricasco” che l’esercizio di tali funzioni hanno sulla vita di tutti noi, probabilmente quest’ultima considerazione non apparirebbe un paradosso esagerato come, lo ammetto, anche a me appare. Ma per quanto questo paradosso possa essere esagerato, non si può davvero mettere sullo stesso piano l’errore di un giudice o di un medico con quello di un cassiere di un supermercato. Marcello Nicchi ora ha la responsabilità di non attenuare la gravità dell’errore di un suo tesserato, e questa responsabilità deve essere esercitata attraverso la sanzione, unico metro con cui noi tutti possiamo tornare serenamente a credere nella regolarità del gioco a cui assistiamo ogni settimana. Bisogna sempre tenere presente l’aspetto etico della sanzione, anche quando ci provoca dolore e imbarazzo nel doverla comminare.
In un mondo perfetto, e lo dico con molto rammarico, la carriera di arbitro di Paolo Valeri sarebbe finita domenica scorsa, perché se c’è una categoria che proprio non può essere sfiorata nemmeno dall’ombra del sospetto, è proprio quella di chi è chiamata a giudicare l’operato di altre persone nell’esercizio delle loro professioni. Fa male pensare, almeno a me lo fa, qualcosa di così definitivo per la vita di un uomo, ma la “difesa delle mura della città” di Eraclito sono, specie in questi tempi, un’esigenza quanto mai necessaria. Per farci credere nelle istituzioni, e quindi nella legge rappresentata per nome e per conto di tutti noi, i potenti e i privilegiati non devono mai dare la sensazione che i loro errori, attraverso sanzioni eccessivamente miti, siano di norma sottovalutati. Per questa ragione non sono mai stato d’accordo verso il ritorno all’attività agonistica verso atleti accusati di essersi dopati o di aver alterato volontariamente e per propri interessi l’esito di una gara o di una competizione in cui erano coinvolti. Concordo pienamente con la tesi del famoso giurista tedesco Carl Schmitt, in cui afferma che “una collettività esiste come res pubblica, come cosa pubblica, ed è messa in discussione quando in essa si forma uno spazio estraneo alla cosa pubblica, che contraddice efficacemente quest’ultima”.
Ecco, il calcio, e lo sport in generale, non ha bisogno di contraddizioni che ne minino la credibilità. Il calcio si ricordi, almeno in questi casi, di tornare ad essere un manifesto credibile di etica e responsabilità.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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