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La Leggenda e i Campioni

Adolfo Baloncieri, “l’Americano”

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Torna un nuovo appuntamento de “La Leggenda e i Campioni”, di Gianni Ponta
Gianni Ponta

Abito a metà strada dai due luoghi fatali della sua vita: tra Castelceriolo, il paesino natale, nella piana della battaglia di Marengo, e Genova, dove trascorse la vecchiaia tra Corso Europa e Sturla.

Comunque, le città fondamentali per lui, e per le fortune di chi gli fu compagno di squadra su un campo da fútbal sono state Rosario, in Argentina, Alessandria e Torino.

Carlo Felice Chiesa ha scritto nel 2010: "Se fosse possibile una graduatoria assoluta dei grandi registi del calcio mondiale di ogni epoca, Adolfo Baloncieri, atleta di un tempo tanto remoto rispetto al nostro, finirebbe tra i primi". Superstite della spedizione azzurra di calcio alle Olimpiadi del 1920, fu Medaglia di bronzo ai Giochi Olimpici di Amsterdam del 1928, considerato da molti studiosi una sorta di Mondiale ufficioso, non a caso la Medaglia d'oro venne vinta dall'Uruguay.

Ai Giochi di Parigi, il 29 maggio 1924, segnò al Lussemburgo. Un incontro che merita di essere ricordato per un episodio tra il burlesco ed il drammatico. Il portiere del Lussemburgo Bausch scappò dalla porta nel momento in cui l'azzurro Felice Levratto "sfondareti" stava per scoccare uno dei suoi tiri terribili. Durante l'incontro, Bausch aveva già riportato una ferita profonda alla lingua su fortissima conclusione di "Levre" da distanza ravvicinata. A quel punto Levratto, volontariamente, calciò il pallone a lato.

In maglia azzurra, Baloncieri fece anche parte della squadra che si aggiudicò la Coppa Internazionale 1927-1930.

Per dare un'idea di quei tempi e della popolarità dei nostri giocatori. Trasferta della Nazionale per disputare ad Oporto Portogallo-Italia in programma il 14 aprile 1928. L'intero viaggio ferroviario da Ventimiglia ad Oporto durò la bellezza di ottanta ore. Giunti a Gijon, in Spagna, i nomi più urlati dalla folla festante erano quelli di Baloncieri, Libonatti, Caligaris e Bernardini.

Baloncieri era nato nel 1897 a Castelceriolo, alle porte di Alessandria, da una famiglia originaria di Caselle Torinese. Negli anni dell'infanzia visse per dodici anni con la famiglia in Argentina, a Rosario, la più grande e popolosa città della provincia di Santa Fe, culla del calcio mondiale.

Tornato in Italia, entrò nelle giovanili dei Grigi nel 1913. Lo chiamavano "l'americano" e i tifosi "mandrogni", intenditori dal palato fine che negli anni avrebbero assistito alle gesta di campioni come Elvio Banchero, Giuseppe Gandini, Giovanni Ferrari, Luigi Bertolini, Virgilio Maroso e Gianni Rivera, andavano a godersi le sue finezze. Renato Casalbore, il fondatore di Tuttosport perito a Superga, ebbe modo di scrivere che, forte della sua esperienza giovanile in Sudamerica, Baloncieri aveva importato nel nostro calcio elementi stilistici tipici dei giocatori sudamericani, fino ad allora inediti nel gioco all'italiana, come il tocco elegante, il virtuosismo, l'arte della manovra.

Nei Grigi, "Balon" si affinò alla scuola fondata da George Arthur Smith, londinese di Gray's Inn Lane, coraggiosa magnifica persona che andò incontro alla Grande Falce in trincea nelle Argonne il 15 maggio 1917.

A soli diciassette anni Baloncieri esordì in Serie A nel 1914, prima che la Grande Guerra costringesse al blocco delle competizioni.

Prima nel ruolo di ala, poi divenne mezz'ala nel Metodo, che prevedeva i due interni parte integrante dell'attacco, col compito di tessere il gioco e di andare direttamente a concludere. Ma Baloncieri era molto più di questo. Un grande mix di doti tecniche e agonistiche (resistente alla fatica, tetragono ai colpi più duri), rifuggiva dalle iniziative da solista, era un autentico direttore d'orchestra.

Ecco il ricordo diretto che Gino Rossetti ne fece ad Enrico Ameri in uno speciale Rai del 1967: "Baloncieri era sempre spelato, in conseguenza di molti falli subiti, che sopportava. Noi gli dicevamo -'nsuma aussa 'sti pe'- a significare evita di strascicare il passo. Saltare l'avversario, insomma, come vediamo fare da Jair adesso".

Il Conte Marone Cinzano, presidente visionario che concepì e costruì il primo Torino da leggenda, riuscì ad aggiudicarsene le prestazioni in maglia granata nel 1925 per 70 mila lire. In effetti, nel campionato CCI 1921-22, l'11 dicembre 1921, Torino-Alessandria 1-1, il Torino del "vecchio" Bachmann e del giovanissimo Antonio Janni, aveva subíto il goal del pareggio dell'Alessandria ad opera di Adolfo Baloncieri, in quella occasione schierato centrattacco.

E fu squadrone.

Bosia; Monti III, Martin II; Colombari, Janni, Sperone; Vezzani, Baloncieri, Libonatti, Rossetti II, Franzoni.

Quattro campioni assoluti: Antonio Janni di Santena, lo spezzino Gino Rossetti, Julio Libonatti e Adolfo Baloncieri, rosarini, profumo di Argentina.

Un artigiano bottaio, Censin Bosia di Asti, in porta; Cesare Martin, di Pinerolo, avvocato, Francesco Franzoni, commercialista, i dilettanti del gruppo. La signora Franzoni scoprirà solo molti anni dopo di aver sposato un calciatore Campione d'Italia, nel momento in cui il marito veniva riconosciuto con ammirazione da un tifoso!

Tanto per dare un'idea, successo per 5-0 in amichevole sul campo del Barcellona.

In tre stagioni, due scudetti, 1926-27 (revocato per il caso Allemandi, giocatore juventino completamente scagionato e pilastro dell'Italia Campione del mondo 1934, e quindi perché non conferire nuovamente e definitivamente il "nostro" Scudetto al Torino?), 1927-28, e un secondo posto dietro il Bologna.

5 febbraio 1928: Torino-Reggiana 14-0.

La metà delle reti è realizzata da Baloncieri!

Questa la sequenza delle marcature dei granata:

Rossetti II (7'), Baloncieri (13'), Rossetti II (30'), Baloncieri (37', 38' e 40'), Rossetti II (43') nel primo tempo e Rossetti II (9'), Libonatti (11'), Baloncieri (26'), Monti III (34'), Baloncieri (39' e 41') e Libonatti (44') nella ripresa. Come abbiamo visto nel tabellino, sul finire della prima frazione di gioco Baloncieri andò a rete tre volte in poco più di tre minuti. Impresa che nella ultracentenaria storia del Torino sarà ripetuta da Valentino Mazzola in un match contro il Vicenza.

In quel Torino erano gli interni ad andare frequentemente a rete insieme al centravanti, mentre le ali erano deputate ad allargare il gioco e ad effettuare traversoni al centro.

Baloncieri giocò in granata fino al 1932, totalizzando 97 reti in 192 partite. Divenne istruttore dei giovani granata, che vennero chiamati i "Balon boys", un marchio di fabbrica per molti giovani granata negli anni a venire.

Una volta, in vena di confidenze, il campione mandrogno raccontò la sua scaramanzia. La domenica, prima della partita, Baloncieri indossava sempre la stessa camicia, a righine blu. Portava bene, quell'indumento che, col passare degli anni, si era progressivamente ridotto a un cencio.E soltanto quando gli fu impossibile presentarsi al pubblico e ai compagni di squadra con quella camiseta così mal ridotta, "Balon" rinunciò ad indossarla.

Nella vita privata, Adolfo Baloncieri ebbe a soffrire grandi dolori, per via delle premature perdite del fratello Carlo, annegato a Finale Ligure nel 1933, e del figlio, Bruno, morto dodicenne nel 1945. Con la figlia Flora, insegnante, e una sorella visse a Genova negli ultimi anni. Morì nel 1986, pochi giorni prima di compiere 89 anni.

Per sempre, nell'Olimpo del Calcio Italiano, nel cuore dell'Alessandria e del Torino

Gianni Ponta, chimico, ha lavorato in una multinazionale, vissuto molti anni all’estero. Tuttavia, non ha mai mancato di seguire il “suo” Torino, squadra del cuore, fondativa del calcio italiano. Tra l’altro, ha scoperto che Ezio Loik, mezzala del Grande Torino, aveva avviato un’attività proprio nell’ambito dell’azienda in cui Gianni molti anni dopo sarebbe stato assunto.

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