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Bepi Moro. Portiere di rango. Caravaggio tra i pali
Torino, 9 ottobre 1988. Torino Sampdoria 2-3. 18' della ripresa. Scende il blucerchiato Vierchowod e, indisturbato, lascia partire da lontano un tiro teso all'incrocio dei pali che trafigge Lorieri. Tra i tifosi serpeggia malcontento, per una stagione che parte male e terminerà peggio. Con la retrocessione. "Moro l'avrebbe parata con due dita!", si rivolge a tutti, inviperito, un anziano tifoso. E allora, vediamo un po' chi era questo Moro.
Moro Giuseppe, detto Bepi, portiere del Torino nel 1949-1950. Estroso e "maledetto", come il pittore Caravaggio. Di solito, si parla di genio e sregolatezza a proposito di un attaccante, di un giocatore imprevedibile, in un ruolo in cui si inventa il gioco. Nel caso di Bepi Moro, la definizione risulta altrettanto appropriata. Ne scrisse Gianni Brera: "Alternò favolose prodezze a errori così madornali da sembrare voluti. In questo sgradevole sospetto lasciò molti che pure lo ammiravano. Ebbe il destino di finire malamente, giusta la spensierata leggerezza con cui affrontò e assolse il suo lavoro di atleta".
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A cavallo degli anni '40 e '50 vestì' la maglia di cinque club diversi in Serie A e parò 16 dei 44 rigori affrontati. Altri 8 furono sbagliati dai tiratori avversari: solo 20 su 44, quindi, furono realizzati. Uno score eccezionale. Tra le sue vittime Silvio Piola e per due volte Nils Liedholm. Il presidente Novo sperava di aver trovato il degno erede di Bacigalupo. Cocente fu la sua delusione e, vista l' estrema incostanza di rendimento del portiere, si vide costretto a svenderlo.
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Moro era nato a Carbonera di Treviso il 16 gennaio 1921. A scuola aveva un quaderno sulla cui copertina era un disegno che raffigurava il mitico portiere cecoslovacco Frantisek Planicka, la "Rondine Boema", in tuffo. Durante la II Guerra Mondiale, nel 1942 venne destinato all'Autocentro di Alessandria (punto strategico dei veicoli militari), ove svolgeva la mansione di autista aggregato in un reggimento di artiglieria. Lasciata la caserma del rione "Cristo" venne trasferito a Licata, autista di camion dell'officina mobile pesante di assistenza ai carri armati. Sotto attacco aereo, Moro inchiodava, gettandosi in volo dalla cabina. A distanza di anni lui stesso reputava questo mix di terrore, riflessi e acrobazia un allenamento fondamentale per il suo ruolo di portiere.
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Dopo una vertiginosa parabola discendente sul piano personale, scomparve nel 1974. "Giuseppe Moro rimane un grande artista della porta, un vero e proprio mito. L'ho visto giocare poche volte e solo quando era già alla fine. Quando seppi della morte di Moro, mandai a Treviso, in segno di stima e di riconoscenza, la mia maglia della Nazionale. Fu un gesto istintivo da parte mia, perché nel gennaio del '74 quella era una maglia imbattuta da anni e Giuseppe Moro, che l'aveva onorata, era degno d'indossarla come nessun altro" disse Dino Zoff.
Gianni Ponta, chimico, ha lavorato in una multinazionale, vissuto molti anni all’estero. Tuttavia, non ha mai mancato di seguire il “suo” Torino, squadra del cuore, fondativa del calcio italiano. Tra l’altro, ha scoperto che Ezio Loik, mezzala del Grande Torino, aveva avviato un’attività proprio nell’ambito dell’azienda in cui Gianni molti anni dopo sarebbe stato assunto.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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