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L’ombra di Zamora
Quasi tutti gli appassionati di calcio, sebbene non interessati al fútbal delle origini, almeno una volta hanno sentito parlare di Ricardo Zamora, el Divino arquero, el guardameta más grande del mundo. Un portiere fantastico, il più grande dei primi decenni del Novecento. Nato a Barcellona nel 1901, venne presentato alle giovanili del Canigó; quattordicenne, tale don José Maria Tallada lo portò all'Espanyol, nelle cui file fece il suo debutto a quindici anni a Madrid. Viaggia in pantaloni corti. Finisce 1-1. Un cronista presente scrive: "In campo c'era un ragazzino, Zamora. Ha giocato come bere un bicchier d'acqua". Ho scritto fútbal apposta, come pronunciava mio nonno Annibale, classe 1900. Per il nonno fútbal era non solo il gioco, ma chiamava così anche il pallone stesso, come facevano, correttamente, i tifosi di allora. Fu lui per primo a parlarmi di Zamora. Ecco la breve storia dei confronti tra Adolfo Baloncieri, asso del gran Torino degli Anni '20 del Presidente Marone Cinzano, e Ricardo Zamora Martínez, nei confronti internazionali tra Italia e Spagna. Baloncieri fu il primo italiano a segnargli un goal, e ne ricordava lo sguardo, quell'occhiata che el divíno arquero gli diede dopo essere stato battuto.
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Baloncieri e Zamora s'incontrano per la prima volta ai Giochi Olimpici di Anversa. 2 settembre 1920 Spagna-Italia 2-0. Ricardo Zamora aveva allora 19 anni e la sua fama cominciava a varcare i confini di Spagna dove si era già affermato per le sue straordinarie qualità di portiere. Era completo, con una presa ferrea, forte tra i pali e coraggioso in uscita, autorevole nel comandare la propria difesa alla voce. L'Olimpiade belga mise di fronte per la prima volta, nella loro storia, le Nazionali italiana e spagnola. Baloncieri aveva 23 anni ed era alla sua quarta apparizione in maglia azzurra. Gli spagnoli andarono in vantaggio con Moreno e raddoppiarono con Moncho. A dieci minuti dalla fine il campione granata si trovò a tu per tu con Zamora. Su uno spiovente il guardameta della Roja uscì per intercettare il pallone e, con il ginocchio colpì al petto Baloncieri, sbilanciandolo e facendolo cadere. L'arbitro belga Putz la ritenne una scorrettezza grave ed espulse Zamora. Anche in dieci, la Spagna condusse in porto la vittoria. Si ritrovarono quattro anni dopo, in marzo, a Milano. L'amichevole terminò a reti inviolate. Due mesi più tardi, all' Olimpiade di Parigi furono nuovamente di fronte. 25 maggio 1924 Italia-Spagna 1-0. L' Italia schierava: De Prà; Rosetta, Caligaris; Barbieri, Burlando, Aliberti; Conti, Baloncieri, Della Valle, Magnozzi, Levratto. Segnare un goal a Zamora era impresa difficilissima. Balòn ci riuscì, con un tiro diagonale, ma la deviazione del terzino e capitano Vallana, a portiere battuto, gli tolse la paternità del punto che andò in archivio come autorete.
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Per cogliere definitivamente la soddisfazione di mettere il fùtbal nella rete alle spalle di Zamora, senza discussioni, Adolfo Baloncieri dovette aspettare ancora tre anni. Accadde a Bologna nel maggio 1927, in occasione dell'inaugurazione del nuovo stadio Littoriale, voluto dal gerarca Arpinati, l'attuale Dall'Ara, intitolato al grande presidente del Bologna. 29 maggio 1927 Italia-Spagna 2-0. Amichevole L'Italia schierava:
Gianni; Bellini, Caligaris; Genovesi, Bernardini, Giordani; Munerati, Baloncieri, Libonatti, Della Valle, Levratto. Nel ricordo di Baloncieri:
"L'azione dello storico goal fu molto bella e la ricordo nei minimi dettagli. Servii Libonatti sulla destra, in profondità. Libonatti rimise la palla sul centro, a cinque metri dalla porta: la ricevetti sul destro e, con la coda dell'occhio, vidi l'ombra di Zamora accennare a tuffarsi sulla sua destra; io infilai dalla parte opposta. Da terra mi lanciò un'occhiata di fuoco — aveva uno sguardo magnetico — come se volesse incenerirmi mentre io, felice, esultavo. Ero il primo italiano ad averlo battuto. Raddoppiammo con un autogoal di Prats e vincemmo 2-0". "Esta vez me has batido bien: me felicito contigo". "Buena suerte Ricardo: que te valla bien". "Gracias, otro tanto a vos". "Soltanto ai Mondiali del 1934, quando Pozzo mi diede l'incarico di osservatore, ebbi modo di parlare con Zamora. Fu in quell'occasione che, parlando un po' di tutto, rievocammo l'episodio di Anversa. Ci scusammo reciprocamente, riappacificandoci. Non portava rancore e mi stimava al punto da dichiarare ai giornali che ero stato l'avversario da lui più temuto. Dotato di un bel fisico, con mani forti e grandi, rendeva facile il difficile. Era agilissimo, con scatti felini anche da fermo volava quasi da palo a palo. Riuscì persino a bloccare un mio tiro, con il corpo perfettamente parallelo alla linea di porta, a cinque centimetri da terra".
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Gianni Ponta, chimico, ha lavorato in una multinazionale, vissuto molti anni all’estero. Tuttavia, non ha mai mancato di seguire il “suo” Torino, squadra del cuore, fondativa del calcio italiano. Tra l’altro, ha scoperto che Ezio Loik, mezzala del Grande Torino, aveva avviato un’attività proprio nell’ambito dell’azienda in cui Gianni molti anni dopo sarebbe stato assunto.
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