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Sandro Ciotti. La voce degli stadi
I campioni sono tali. Li diventano da soli, grazie alle loro gesta e ai loro gesti sul campo. Ma "restano" campioni nella memoria e qualche volta "diventano" leggende non solo perché qualcuno li ha visti, ma anche perché qualcuno li ha saputi raccontare e ha continuato a riviverne le giocate.
Nell'epoca attuale di sovraccarico mediatico, in cui alcuni telecronisti urlano ad un goal di un brocco come si trattasse della rete decisiva della Coppa Intercontinentale, a noi cresciuti col giuoco del pallone tra gli Anni '60 e gli '80 viene francamente da ridere.
E ripensiamo con nostalgia non solo alle telecronache di Nando Martellini a Mexico '70, ma ci spingiamo più in là e più indietro, oltre le colonne d'Ercole della memoria, cioè dove ci portava la radio, RAI, Radiotelevisione Italiana. Alle origini, cominciò Giuseppe Sabelli Fioretti: Italia-Ungheria 4-3 del 1928. E poi un giornalista elegante, con il microfono a bordo campo, il racconto a braccio in presa diretta: Nicolò Carosio. Prima di lui, c'erano stati alcuni commentatori in Austria e Cecoslovacchia, ma Carosio seppe trovare a quell'epoca uno stile nuovo, diretto, coinvolgente, all'ascoltatore sembrava di essere sulle tribune.
E poi il linguaggio di presa immediata, il lampo di classe o legato ai costumi del Paese in cui si disputava l'incontro, come dopo aver raccontato l'eroica prestazione azzurra in Inghilterra-Italia 3-2, 14 novembre 1934, Highbury, Stadio dell'Arsenal: "E ora andiamo a farci un whiskaccio".
Poi venne "Tutto il calcio minuto per minuto". 10 gennaio 1960, l'anno delle Olimpiadi di Roma. Fu San Siro il campo principale di quella prima puntata, Milan-Juventus, radiocronaca di Nicolò Carosio. Le altre partite Bologna-Napoli (Enrico Ameri) e Alessandria-Padova (Andrea Boscione). La radiocronaca, appunto, per "vedere", immaginare dov'erano i tuoi in quel momento, un boato interpretato favorevolmente se giocavano in casa, vissuto con ansia se erano in trasferta. L'adrenalina prima di ogni intervento dai campi per capire chi aveva segnato.
E visto che si parla di radiocronache, ça va sans dire, la voce, il timbro, l'enfasi a sottolineare giocate e andamento del giuoco, le pause per far vivere l'atmosfera e gli umori degli spettatori costituisce il fattore determinante. Insieme alla proprietà di linguaggio, in una performance giornalistica a braccio e "senza rete".
E ora parliamo di un campione, di un fuoriclasse, diventato leggenda per il suo modo di vivere e di raccontare il calcio. Sandro Ciotti, romano e nipote di Alberto Salustri, Trilussa. Proprio il grande poeta dialettale. Da ragazzo, mediano nelle giovanili della Lazio. Due squadre nel suo cuore di cronista imparziale: la Lazio e il Torino. L'epoca d'oro, verrebbe da scrivere "l'epica" se non si trattasse "solo" di pallone, Enrico Ameri dal campo principale e Sandro Ciotti dal secondo per importanza. Come ha scritto Gigi Garanzini, la linea se la passavano con una scelta di tempo impeccabile, chiamandosi sempre per cognome. Un po' perché così usava allora, si lavorasse nelle FFSS Ferrovie dello Stato o alla RAI. Un altro po' perché serviva a marcare la distanza. La prima radiocronaca di Ciotti, a 32 anni, Danimarca-Argentina, apertura del torneo calcistico olimpico a Roma 1960. La voce, appunto. Lo chiamavano catarro armato. Roca, cartavetrata, improvvisamente stridula perché magari sul campo stava cambiando tutto, stava succedendo qualcosa d'inatteso nell'andamento del gioco. In USA Sinatra fu "The Voice", Sandro semplicemente ci ha fatto compagnia, ci ha regalato la sua cultura, ci ha fatto divertire magari in grigie domeniche invernali in cui non si usciva volentieri e con lui ed i suoi colleghi ci capitava di volare.
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Nel suo libro "Sotto il segno del Toro", Sandro trovò in poche parole una sintesi capace di riassumerci in maniera commovente: "Il Torino, la cui parabola ha ospitato ferite crudeli e successi epici. E che il destino ha accarezzato come un fiore e trafitto come una lama saracena".
5 novembre 1972: Torino-Juventus 2-1.
"Discesa e cross di Fossati dal vertice dell'area; controllo impeccabile spalle alla porta di Bui per Pulici, sinistro, rete!
Al 18' del secondo tempo capolavoro di Pulici: su lancio di Agroppi, Pulici, scattato in posizione regolare nella metà campo granata, prima di decentrarsi va a calibrare un pallonetto impossibile alle spalle di Zoff sotto un'attonita curva Filadelfia. Il forcing bianconero trova in Castellini un baluardo invalicabile. Il goal della bandiera bianconero è siglato da Anastasi con mezzo volo in diagonale su cross di Morini, in una delle sue rare proiezioni offensive. Pulici sfiora ancora il terzo goal, ma per essere eletto a protagonista assoluto di giornata non gli serve altro".
24 febbraio 1985. Internazionale-Torino 1-1.
"Il Torino ha creato uno spirito di gruppo che consente di ottenere buone prestazioni sul campo e che in taluni casi supera i limiti tecnici della formazione". Il suo commento al termine di quel campionato che ci vide secondi alle spalle del Verona: "Il Torino è squadra molto ben organizzata tatticamente, forse la migliore per quanto riguarda la verticalizzazione istintiva della manovra che poggia sull'asse Junior-Dossena".
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Alcune chicche indimenticabili:
- la ventilazione oggi è inapprezzabile
- il giocatore si accinge alla rimessa con le mani dal campo per destinazione
- esce Castellini, abbranca in presa e si accinge al rinvio.
E al termine di un Lazio-Milan 2-1, campionato 1971-72, goal del pareggio di Chiarugi annullato per fuorigioco abbastanza inesistente: "Ha arbitrato Lo Bello davanti a
80 000 testimoni".
Romano, ma le sue origini erano cadorine di Agordo. Il suo cognome nasceva dal dialetto veneto di soldati mercenari del tardo medioevo. Ovviamente, non avevano anagrafe, per chiamarli ad adunata i capi dicevano, appunto alla veneta, "ciò ti", vale a dire "ehi, tu". E si formavano le compagnie dei "ciò-tì", dei Ciotti.
Alle Olimpiadi di Grenoble 1968, fu Sandro Ciotti a comunicare in cabina RAI ad Eugenio Monti, il Rosso Volante, che aveva vinto la medaglia d'oro nel bob a 2.
"Capivo che l'oro ci stava scivolando dalle mani. Poi siamo scesi bene nella quarta prova, segnando il record dei Giochi, ma i tedeschi erano ancora in vantaggio ai 1000 m. La pista ne misurava 1500. Mi sono visto perduto. Alla fine, invece, hanno segnato 10 centesimi in più. Ero in cabina con Sandro Ciotti, che mi detto "Guarda che siete pari". Gli ho risposto: "Divideremo la medaglia in due". Dopo qualche istante mi disse: "Hai vinto tu. Conta la discesa più veloce".
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Il suo credo in ambito sportivo:
"Ho tanti amici campioni trionfanti, ne prediligo uno per come ha saputo non vincere. Dico di Eugenio Monti, il bobbista che ha perso un titolo olimpico per dare un bullone ad un avversario". Premio De Coubertin per aver smontato l'asse anteriore del proprio bob e dato al suo avversario, il britannico Tony Nash, un bullone che gli consentì di proseguire la gara e di conquistare la Medaglia d'oro. Argento: Eugenio Monti. Innsbruck, G.O. Invernali 1964.
Celebrato ancora oggi al Musée Olympique di Losanna.
Sandro ci ha lasciato vent'anni fa. Ma non ci lascerà mai quella voce registrata capace di suscitare emozioni, di evocare scenari di entusiasmo legati a un rettangolo verde dove per un'ora e mezza una partita vale una vita.
"Amici miei, non della ventura", era solito aprire con un gioco di parole la puntata della Domenica Sportiva, che conduceva appunto insieme a Simona Ventura.
Gianni Ponta, chimico, ha lavorato in una multinazionale, vissuto molti anni all’estero. Tuttavia, non ha mai mancato di seguire il “suo” Torino, squadra del cuore, fondativa del calcio italiano. Tra l’altro, ha scoperto che Ezio Loik, mezzala del Grande Torino, aveva avviato un’attività proprio nell’ambito dell’azienda in cui Gianni molti anni dopo sarebbe stato assunto.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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