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La Leggenda e i Campioni

Torino-Real Madrid

Torino-Real Madrid - immagine 1
Torna un nuovo episodio de "La Leggenda e i Campioni", la rubrica di Gianni Ponta: "Quella sera contro le merengues Noi Granata toccammo il cielo con un dito..."
Gianni Ponta

Quella sera al "Delle Alpi". Già, in uno stadio che non sentimmo mai nostro. Freddo. E poi quel nome. Francamente a me, seppur malato di montagna, quel nome lì di quella cattedrale alla Continassa, quel nome che non aveva niente a che fare con il football, non diceva niente. Sapeva di denominazione transitoria, e difatti è ciò che avvenne... "Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare".

Eppure là, la sera del 15 aprile 1992, il Torino toccò l'apice della sua Storia sul palcoscenico internazionale. A livello statistico, in termini di risultati, brillavano già Barcellona-Torino 0-5 del 23 settembre 1926 e il successo della Nazionale che schierava dieci giocatori granata, per 3-2 sull'Ungheria l'11 maggio 1947. Oltre le tournée in Sudamerica del 1914 e del Grande Torino nel 1948. Però quella sera contro le merengues Noi Granata toccammo il cielo con un dito. Eravamo arrivati a sfidare "el más grande équipo copéro del mundo" e a guardarlo in faccia alla pari. Difatti loro, eleganti con quella divisa tutta bianca, con quel sussiego che derivava da 90 anni di gloria, si rendevano conto del valore dei nostri e picchiavano pure. Ma meritatamente vincemmo e andammo in finale di Coppa UEFA. Che era più dura della Coppa dei Campioni, qualificando per ogni Paese dalla seconda in graduatoria, a scendere.

Due settimane prima, il primo aprile, all'andata al "Santiago Bernabeu" la nostra squadra era stata ricevuta con tutti gli onori. Fatto entrare da un percorso secondario, il bus della squadra granata era stato fatto passare tra aficionados che avevano bersagliato il mezzo, colpendo con un grosso sasso i cristalli del pullman. Cocktail di benvenuto. Nel prepartita, c'erano gli ululati dei tifosi dei Blancos. Era andato Pasquale Bruno a fare amicizia con loro. Al suo rientro negli spogliatoi, alla domanda di Mondonico: "Cos'è successo?", Bruno aveva abbozzato. Era andato con gesto piratesco sotto i loro "popolari", gesto che avrebbe ripetuto all'entrata in campo nel ritorno a Torino nei confronti di Emilio Butragueño Santos, El Buitre (in italiano "L'avvoltoio"), rapinoso attaccante del quale doveva prendersi cura. Nel frattempo, Gianluigi Lentini era impegnato con l'asciugacapelli per curare il look. L'immagine, innanzitutto. Andammo in vantaggio, soffrimmo, al loro goal del rumeno Hagi - "futbalista de raza", come dicevano i suoi connazionali - "venne giù" la gradinata dei blancos più caldi, ma tenemmo, perdendo 2-1. Le interviste del post partita a Mondonico e a Bruno misero in evidenza un atteggiamento molto fiducioso da parte dei nostri per la partita di ritorno. A posteriori, possiamo dire che i nostri erano ben consapevoli del proprio valore e sapevano farsi valere. L'ultimo Torino grande che abbiamo visto giocare.

Partita di ritorno, dunque. Due settimane dopo, a Torino. Eravamo in 70 000. Il mondo e il Mondo erano granata. Il ricordo di quella sera, in cui ci siamo contati, tutti quelli che potevano esserci, con il nostro senso di appartenenza, il profumo di quella vittoria, il senso di quella grandezza, di quella felicità non ce lo toglierà mai nessuno.

Coppa UEFA, 1991-1992.

Il Torino allenato da Mondonico con: Marchegiani; Bruno, Mussi; Fusi, Annoni, Cravero; Scifo, Lentini, Casagrande, Martín Vázquez, Venturin.

Il Real Madrid di Beenhakker con: Buyo; Chendo, Lasa; Rocha, Maqueda, Milla; Butragueño, Michel, Hierro, Hagi, Llorente.

Rocha si rivolgeva a Casagrande con fare minaccioso dopo un contrasto di gioco, ma già al 7' la partita si metteva bene e in maniera insperata. L'ombra di Casagrande spaventava lo stesso Rocha, da indurlo ad allungare la gamba in anticipo battendo il proprio arquero Buyo, già in difficoltà sul cross di Lentini. TORINO-REAL MADRID 1-0. E a quel punto il copione di una grande squadra con due fuoriclasse come Martín Vázquez e Lentini diventava scontato. A patto di saperlo recitare alla perfezione. Gioco in controllo e poi, via col vento granata nelle praterie della metà campo dei madridisti, dove Lentini, in forma mondiale, favoleggiava di tecnica e di straripante potenza atletica. Al 41' la scena è tutta per Pasquale Bruno: il difensore interveniva in tuffo di testa in anticipo ad altezza di bulloni, colpito restava a terra. Marchegiani si sbracciava a chiamare l'intervento del medico ma, questione di secondi, quella belva di terzino era di nuovo in piedi in un boato di applausi. "Bruno, eminentemente granata, sincero, sprezzante e glorioso della sua forza fisica, immensamente granata. Eppure ha militato nella Juventus". Pasquale Bruno, un uomo, un giocatore dello stampo tackle-first-ask-questions-later. Indimenticabile.

Alla marcatura di Hierro, in mezzo al campo, era preposto Luca Fusi, che quella sera fu veramente di ferro. Giocò praticamente in tre ruoli: a supporto di Roberto Cravero che non era al meglio a causa di problemi fisici; a contrastare Fernando Ruiz Hierro, uno che non faceva prigionieri nei contrasti; nelle vesti di incursore, coronando la sua prestazione con il goal del raddoppio granata. Fusi era dappertutto. Come "Rico" Annoni, Harley e Toro. "Fusi: half di genio, posizione d'incalcolabile utilità al gruppo, fine e forte come l'acciaio, conserva e mantiene le distanze e consente agli altri centrocampisti di non conquistare palla sull'uomo, ma di attenderlo in zona (...) Quando ho alzato la testa dal mio Toshiba, Lentini se ne andava via sulla sinistra e crossava il pallone che il piccolo nocchieruto esile meraviglioso Fusi sbatteva in goal" - Vladimiro Caminiti, Tuttosport.

Correva il minuto 76. TORINO-REAL MADRID 2-0! "L'arbitro non fischiava la fine e lo stadio era una bolgia. Ormai era un urlo continuo, assordante. Calcio d'angolo per loro. Siamo quasi tutti nella nostra area e anche noi giocatori iniziamo a urlare. Ci diamo la carica-guarda quello, attenti a quell'altro-. Urlavamo ma non sentivamo niente, urlavamo perché non stavamo più nella pelle. Quando abbiamo sentito i tre fischi finali dell'arbitro ci è presa dentro una felicità immensa, una roba bellissima", il ricordo di Roberto Cravero. Ogni tanto vado a rileggermela, quella bellissima pagina di "Belli e Dannati" di Marco Cassardo. E la registrazione della partita chissà quante volte molti cuori granata se la saranno rivista. È la vita. Fu il capolavoro tecnico, soprattutto tattico, morale di Emiliano Mondonico. Uno che nell'aula di Coverciano sedeva nell'ultimo banco. Ma che era un enorme conoscitore di uomini. E un grande risultato del Settore giovanile e dei talent scout, avendo schierato in quella competizione europea Marchegiani, Cravero, Lentini, Bresciani, Sordo e Venturin.

"Anziani colleghi che hanno conosciuto il mondo si abbracciano con gli occhi umidi: non avevano mai visto il Toro battere il Real Madrid e arrivare a una finale per l'Europa. Ed è tanto bello che sia così" - Marco Ansaldo, La Stampa.

A tutt'oggi, loro, i Blancos, si godono la Decimo Quinta Coppa dei Campioni. A noi sfuggì con tre pali colpiti in finale contro l'Ajax quella magnifica Coppa UEFA edizione 1991-92. Comunque, "Il Torino è una meravigliosa anomalia del calcio italiano. Perché è un'identità" Matteo Marani

Gianni Ponta, chimico, ha lavorato in una multinazionale, vissuto molti anni all’estero. Tuttavia, non ha mai mancato di seguire il “suo” Torino, squadra del cuore, fondativa del calcio italiano. Tra l’altro, ha scoperto che Ezio Loik, mezzala del Grande Torino, aveva avviato un’attività proprio nell’ambito dell’azienda in cui Gianni molti anni dopo sarebbe stato assunto.

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