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Valentino Mazzola. Unico. Mai più nessuno come “il Valente”
"Ancora adesso se penso al calciatore più utile a una squadra, non penso a Pelé, Di Stéfano, Crujiff, Platini o Maradona: o meglio penso anche a loro, ma dopo aver pensato a Mazzola"_Giampiero Boniperti, nel quarantennale di Superga.
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Guerinissimo Sportivo_Almanacco degli Assi 1943-XXI Lire 10. All'interno, un lungo articolo dedicato al Venezia, firmato Il Gondoliere: "Restauri al Leone di S. Marco. Mastro Rebuffo ha il suo da fare ad appiccicare le nuove mezz'ali al Venezia. Tifosi, tifosi, tifosi. Bisognerebbe dire di tutti e di ognuno di quei seimila assidui dello stadio veneziano i quali non hanno quest'anno lo stesso sorriso che avevano sulle labbra all'inizio dello scorso campionato quando il Venezia era in piena corsa per quella entusiasmante serie di 21 partite consecutive utili. Ma è il broncio degli innamorati. Il Venezia avendo perduto due mezze ali che marcavano le mezze ali opposte...". Il Venezia ha appena venduto al Torino i cartellini di Ezio Loik e di Valentino Mazzola.
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Nel 1940 il novese Giovanni Battista Rebuffo allenava i giovani del Venezia. In Prima squadra giocava un vigoroso promettente ventunenne lombardo di Cassano d'Adda, Valentino Mazzola. Al provino, al quale si era presentato e in cui aveva preferito giocare a piedi nudi, avendo lasciato intenzionalmente gli scarpini personali a casa per non rovinarli, convinse tutti, in particolare l'allenatore Bepi Girani che ne caldeggiò immediatamente l'acquisto. Dopo alcuni mesi nella squadra riserve, con cui partecipò al relativo campionato, Valentino Mazzola venne ingaggiato nel gennaio 1940 per cinquantamila lire. In quella stagione, non ancora titolare, all'inizio venne schierato, a seconda delle necessità, in ruoli diversi. Nel ruolo di ala destra il suo contributo fu deludente, ma quando fu chiamato a operare da centravanti, come sostituto di Pernigo, le sue prestazioni migliorarono e riuscì a segnare con regolarità. Contro la Juventus, il 29 dicembre, realizzò un gol di rara bellezza. Scartò nientemeno che Nini Varglien a centrocampo, saltò i due terzini bianconeri (schierati come doppio "libero" a spazzare l'area secondo il "Metodo") per poi battere con un tiro secco il forte portiere Bodoira. Mazzola era comunque ancora distante dalla maturazione: nelle sue apparizioni evidenziava il difetto di andare al tiro troppo spesso, da tutte le posizioni, un torello insomma, un po' come farà il primo Paolino Pulici trent'anni più tardi.
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Colpo di scena, anche in quei tempi decisamente meno frenetici sul piano mediatico e sportivo. Il 14 novembre il Venezia decide di sollevare Girani dall'incarico di allenatore, per assegnargli il ruolo di DS. Viene promosso ad allenare la prima squadra il novese Giovanni Battista Rebuffo. Fu proprio Rebuffo — al quale va riconosciuto il merito di aver lanciato e cresciuto Mazzola nel grande calcio — che ebbe l'idea di trasformarlo da attaccante a interno sinistro, posizione che occupò nel girone di ritorno e che gli consentì di essere tra i migliori del torneo, secondo la stampa sportiva dell'epoca addirittura l'unica rivelazione del campionato. La squadra si classificò al 12º posto. Terminato il campionato, il Venezia partecipò alla Coppa Italia disputata nei mesi di maggio e giugno 1941, vincendo la competizione. Finale con la Roma con partite di andata e ritorno. L'andata si giocò l'8 giugno a Roma. Dopo meno di venti minuti giallorossi in vantaggio per 3-0. È finita? Al 37' Mazzola segna un gran goal con un'azione personale: supera un primo avversario in velocità, poi Brunella con un colpo di tacco, e vanifica la successiva uscita del fortissimo Masetti (terzo portiere ai Mondiali '34 e '38) con un gran tocco di esterno destro. È il punto della riscossa: finirà 3-3. Dopo sette giorni, a Venezia, la gara di ritorno termina con il punteggio di 1-0, sufficiente per la conquista del trofeo. L'unico nella Storia della Società lagunare.
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Nella sua terza e ultima stagione al Venezia (1941-1942), Mazzola ha già trovato la sua spalla ideale, il fiumano, già del Milan, Ezio Loik. 21 partite utili consecutive! Dall' archivio RCS una foto stupenda, di un giovane Valentino in anticipo volante su un avversario del Milan. Campo innevato. Gian Paolo Ormezzano ha scritto che per un'istantanea così, che rende vive energia abilità tecnica di Valentino Mazzola, nonostante la propria scorza professionale ispessita, prova come un "friccicore" al cuore. E quando, subito dopo la fine dell'incontro che ha decretato la vittoria senza discussioni del Venezia sul Torino - presente sugli spalti a visionarli Viri Rosetta per la Juventus - il Presidente Novo scende negli spogliatoi per acquisire il cartellino di entrambe le mezz'ali, è fatta. D'ora (e per sempre), si parlerà di Grande Torino. Rebuffo nel "lavorare" su Mazzola ci ha messo molto del suo. Come uno scultore che ricava un capolavoro dal miglior marmo di Carrara. E probabilmente Erbstein, in Ungheria con drammatici problemi di sopravvivenza per sé ma soprattutto per la sua famiglia, sarà sceso in incognito a Venezia, rischiando la vita, per visionarli. Come scrisse il Guerinissimo, a Mastro Rebuffo toccò appiccicare due nuove mezz'ali al Venezia, tra le bestemmie ed il rimpianto motivato dei tifosi lagunari.
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"Un traccagno con doti atletiche strabilianti. Scattava da velocista e correva da fondista. Tirava con i due piedi come uno specialista del goal. Staccava e incornava con mosse da grande acrobata, recuperava in difesa e impostava in attacco, e vi rientrava spesso per concludere. Era insieme il regista e il match-winner di una squadra che aveva pochissimi eguali al mondo. Un fenomeno di vitalità e dinamismo. Decideva le partite con straordinarie manifestazioni di carattere e di abilità prestipedatoria"_Gianni Brera. Valentino Mazzola era in possesso di una forza erculea misteriosa temperata da uno spirito d'atleta e accresciuta attraverso un'adolescenza fatta di sacrifici durissimi. Nelle foto d'epoca indossa spesso una fascia in vita. Aveva un tronco fortissimo che gli consentiva un colpo di reni e un impatto di testa perentorio. Gambe forti. Da ragazzino era cresciuto calciando a piedi nudi, acquisendo giocoforza la proprietà di palleggio dei brasiliani, altrimenti ti facevi male. Se in un documentario dell'Istituto Luce, immediatamente dopo lo schianto di Superga, il Torino venne descritto come "Squadra volontà, soprattutto squadra volontà", questo lo si deve innanzitutto alle caratteristiche di capo carismatico che Valentino Mazzola metteva in campo. Quella squadra era un insieme meraviglioso di giocatori che sapevano esprimere un calcio di stampo danubiano palla a terra con uno slancio inglese. Era il Sistema più bello, basato su di un formidabile quadrilatero di centrocampo. "La più intrepida, la più coraggiosa e gloriosamente rissosa -anche tra loro quando si trovavano in svantaggio- la più italiana delle squadre di calcio mai esistita"_Vladimiro Caminiti, Tuttosport. E a proposito del quadrilatero di centrocampo, ecco quanto Valentino scrisse all'amico del cuore, il fiorentino Angiolo Paoli, dopo la sconfitta (5-1) subita dall'Italia a Vienna il 14 novembre 1947: "Ho aperto gli occhi in tempo a Pozzo parlandogli del quadrilatero del Torino ma non mi ha dato retta e vedi cosa è saltato fuori. Con sette del Torino in forma non si perdeva". E aggiungeva "quando si deve difendere i colori del proprio paese bisogna dare tutto se stesso e lì nessuno all'infuori di Maroso ha dato quanto era nelle proprie possibilità".
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Il 13 giugno 1948, durante Genoa-Torino, a seguito di una scazzottata tra Bacigalupo e Brighenti, l'estremo difensore granata venne espulso. A difendere la porta del Torino andò Valentino Mazzola. Il Capitano fu decisivo anche tra i pali, con una respinta di pugno nel finale che consentì agli Invincibili di mantenere il vantaggio di 2-1 e portare così a casa il successo "away". A proposito di quelle caratteristiche di velocità e di resistenza allo sforzo, è interessante ricordare come, unita alle doti naturali del campione, Valentino Mazzola coltivasse la dedizione per gli allenamenti ben fatti e per un tenore di vita adeguato all'essere atleta professionista di alto livello. In un numero speciale dell' "Europeo Sport", uscito nel dicembre 1947, oggi in archivio allo stupendo Museo Ballarin di Chioggia, Valentino si esprimeva così: "Oggi in Italia la maggior parte dei giocatori non prende con sufficiente serietà l'allenamento. Rebuffo, che fu il mio migliore maestro, un grande tecnico e un ancora più intelligente psicologo, dice di non voler più fare l'allenatore perché secondo lui i giocatori di oggi hanno troppi vizi. Io, forse non è merito mio, ma della mia indole e soprattutto della gran passione che ho per il calcio, da anni ormai ho abbandonato vizi e divertimenti. Ho fatto togliere il telefono dal mio appartamento perché, come hanno anche riferito alcuni giornali, tifosi, amici e avversari, mi svegliavano durante la notte alla vigilia di ogni partita importante con telefonate di ogni genere. Alle dieci di sera sono sempre a letto e anche per i pasti ho ormai adottato un orario regolarissimo. Curo il mio fisico secondo il sistema che seguiva Monti ("doble ancho"Luisito Monti, l'oriundo che giocò due finali dei Mondiali per due Paesi diversi, Argentina seconda a Montevideo nel 1930 e Italia Campione del Mondo a Roma nel 1934), il famoso centromediano juventino. La serietà con cui si allenava dovrebbe essere di esempio a tutti. Mangio presto, sempre, perché è a stomaco vuoto e a digestione avvenuta che i polmoni possono assolvere bene la loro funzione. Il segreto della mia resistenza alla fatica, del mio fiato, è tutto qui. E per questa mia vita da certosino ho sacrificato forse anche la mia felicità coniugale".
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Il Grande Torino. Una media goal spaventosa. 125 reti segnate nel 1947-48; 3,12 a partita. 2,74 l'anno precedente; 2,70 nel 1945-46. Per fare un confronto, il Milan 1950-51 di Liedholm e Nordahl "il Pompierone" 2,81 a partita; la Juve di 1959-60 di Charles e Sívori 2,70; il Milan 1958-59 di Schiaffino ed Altafini 2,47. Ciò che impressiona del Grande Torino è la continuità. E non è che gli avversari non fossero forti. Il Torino aveva a che fare, domenica dopo domenica, con Sentimenti IV, Parola e Boniperti, Nyers e Campatelli, Lorenzi e Amadei, Carapellese e Puricelli, Sardelli e Verdeal, Piola. Ma troppe cifre statistiche, troppi numeri che stanno a testimoniarne la grandezza, tolgono comunque un po' dell'emozione forte che hanno provato gli spettatori, tifosi granata e avversari, al cospetto di tale campione. Il mio vecchio professore di liceo, negli Anni '70, juventino doc, mentre in gita scolastica guardavamo in TV Juve-Derby County, s'interruppe di colpo e ci disse: "Visto mai più nessuno come Valentino Mazzola". Era commosso. C'era in Valentino Mazzola, in quel suo gesto di rimboccarsi le maniche, "il forte sentire" dell'Alfieri. E allora. Voilà. Roma, 5 ottobre 1947. Dal racconto di Gigi Garanzini. A fine primo tempo il Torino è sotto 1-0. E a un paio di giallorossi scappa qualche parola di troppo. In assenza del trombettiere del Filadelfia, il capostazione Bolmida, la carica nello spogliatoio la suona lui, il Capitano: sette goal in 25 minuti, tre suoi nonostante un infortunio che a K.O. completato gli consiglia di uscire. Le altre reti di Fabian (doppietta), una a testa Castigliano e Piero Ferraris II. Uscirono tra gli applausi. Così è non di rado per i grandi campioni: la facilità con cui fluiscono dalle loro doti le prodezze più straordinarie li induce spesso a improvvisare, con una semplice occhiata d'intesa.
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Valentino Mazzola. Simbolo del Grande Torino e unanimemente considerato il più forte giocatore della sua epoca. Segnò nel Torino 97 reti in 170 partite, un ruolino mostruoso, tanto più per lui che fu uomo-ovunque, box-to-box. Fu capocannoniere nel 1946-47 con 29 reti. Era stato l'amico e commilitone Angiolo Paoli, imbarcato con lui sul cacciatorpediniere "Confienza" nel 1939, a convincere il "Valente" a fare un provino al Venezia. Mazzola ne coltivò l'amicizia con gratitudine. Ecco un breve estratto della lettera datata 18 settembre 1947. "E poi ti farò vedere il mio figliolo (Sandro), vedrai che sagoma è tutto nervi e scatta come una molla, se lo vedi a giocare poi ancora ti diverte più di uno come me tanto è bravo. Porta pure la consorte io non saprò fare altro che trattarvi bene tutti e due". Valentino Mazzola. Coetaneo di Fausto Coppi. Così Grandi, e cari agli dèi, da non poter invecchiare.
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Gianni Ponta, chimico, ha lavorato in una multinazionale, vissuto molti anni all’estero. Tuttavia, non ha mai mancato di seguire il “suo” Torino, squadra del cuore, fondativa del calcio italiano. Tra l’altro, ha scoperto che Ezio Loik, mezzala del Grande Torino, aveva avviato un’attività proprio nell’ambito dell’azienda in cui Gianni molti anni dopo sarebbe stato assunto.
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