Ci sono giocatori che più degli altri entrano nell’immaginario dei tifosi diventandone simboli.
columnist
La partita del granata perfetto
Certo, è finito il tempo delle bandiere e il calcio è cambiato, ma noi granata abbiamo la fortuna di avere per capitano un giocatore che rappresenta perfettamente la nostra storia ultracentenaria: Andrea Belotti.
Il Gallo ha tutto ciò che simboleggia il Toro: generosità, dedizione, spirito di sacrificio, abnegazione, passione, voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo.
I suoi 94 minuti di ieri contro il Frosinone hanno incarnato la partita del granata perfetto: lotta disperata su ogni pallone, rincorse a tutto campo, contrasti vinti, sgroppate e due gol meravigliosi: il primo con un terzo tempo degno di un giocatore di basket; il secondo con un’acrobazia che è stata un mix di cuore e follia, i principali ingredienti del tremendismo granata.
Anche il gol divorato all’ultimo secondo è perfettamente granata. La tripletta avrebbe sigillato la giornata ideale, ma la perfezione non è roba nostra e il Gallo è andato spompato su quella palla sprecando il più facile dei contropiedi con un sinistro oratoriale.
Il Gallo è terribilmente granata per i suoi gol fantastici, per i suoi errori grossolani, per la lingua fuori a ogni scatto, per il suo modo di interpretare il calcio, per il senso di battaglia che imprime a ogni giocata, per l’esultanza della cresta che fa impazzire di felicità tutti i bambini che tifano Toro.
Per carattere e temperamento, non ha l’autorevolezza di un Sirigu o di un Nkoulou o di un Rincon; il Gallo è capitano con l’esempio, è capitano perché non ha perso l’umiltà di giocare da gregario, è capitano perché ha mantenuto il piacere del pallone. All’oratorio di Calcinate come al Grande Torino o a San Siro: se ami ciò che fai, sarai sempre il primo a metterci la faccia e l’ultimo ad arrenderti.
Il Gallo è terribilmente granata perché non è stato baciato né dal dio del talento né da quello dell’estetica. Come Ciccio Graziani, ha la gobba ed è sgraziato nell’incedere; come Pulici, ha dovuto fare i conti con fondamentali non eccelsi. Giagnoni tolse di squadra Pupi per fargli fare tre mesi di fondamentali a calciare contro il muro; mister Mazzarri ha ammesso che da qualche tempo sta lavorando con il Gallo sulla tecnica (e i risultati si vedono; Andrea sta migliorando nell’uno-due e nel primo controllo). Gli orientali parlano di Kaizen quando si riferiscono alla necessità di adottare la logica del miglioramento continuo come filosofia di vita; Pulici, il mito assoluto del Toro, e Belotti, l’uomo che ne sta ricalcando le orme, sono esponenti di questo modo di vivere e pensare.
Il Toro ha sempre avuto due tipi di idoli: da una parte le leggende del furore; dall’altra le leggende della fantasia. Da una parte giocatori di grande temperamento come Rigamonti, Loik, Bearzot, Ferrini, Cereser, Graziani, Giacomo Ferri, Bruno, Policano; dall’altra giocatori di grande classe come Maroso, Gabetto, Ossola, Meroni, Claudio Sala, Zaccarelli, Junior, Dossena, Lentini.
Poi loro, Valentino Mazzola e Pulici, che hanno trasceso ogni categoria diventando il Toro “tout court”.
E ora il Gallo, già a pieno titolo nei tremendisti del furore granata e, chissà, destinato a diventare ancora più grande nei prossimi anni. Intanto, quando la sua quarta stagione al Toro non è ancora conclusa, è già settimo nella classifica dei marcatori granata in Serie A di tutti i tempi, sesto nella classifica dei granata con più presenze in Nazionale e uno dei cinque a a essere riuscito ad andare in doppia cifra per quattro anni di seguito (lo precedono in questa speciale classifica soltanto Pulici - sette anni -, Mazzola e Gabetto – sei, e Baloncieri, cinque).
Il Toro non può permettersi di perdere il Gallo. Il Gallo è la faccia del Toro, il capitano, l’uomo che ha fatto ritrovare ai nostri bambini il piacere di amare un supereroe vestito di granata.
Ma così come noi non possiamo permetterci di perdere il Gallo, lui non può permettersi di perdere il Toro. Non dimentichi mai che altrove sarebbe un ottimo attaccante; da noi può diventare una leggenda. Non è poco: è la differenza tra giocatore e uomo, tra avere ed essere.
Marco Cassardo, esperto in psicologia dello sport e mental coach professionista.
E’ l’autore di “Belli e dannati”, best seller della letteratura granata
© RIPRODUZIONE RISERVATA