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Baselli, Benassi e Belotti dopo il successo contro la Fiorentina
Ogni volta che incrociamo la Fiorentina, vengo assalito da un dubbio amletico. Gemellaggio sì o gemellaggio no? Cosa ci unisce lo sappiamo, non facciamone mistero. Forse per fronteggiare il Male, mi gemellerei anche con lo Strangolatore di Boston, il Dottor Mabuse e Nosferatu, senza dimenticare però che poi li avrei in casa e avrei qualcosa da spartire con loro. Insomma, cari amici viola, amici amici, ma non rubateci la bici. Il sentimento popolare che ci affratella, io non riesco comunque ad anteporlo alle sorti della mia squadra del cuore e pertanto, quando ci si incontra, non ce la fo’ (come direste voi) a superare questo limite. Che è mio, s’intende.
Per me Toro-Fiorentina è da sempre una partita sentita più di tante altre. La Viola è il parente ricco che arriva da fuori e come si diceva ai tempi della mia infanzia “bisogna fare bella figura” e indossare il vestito buono, quello della festa. Io non ho cugini e nemmeno fratelli. Ho tanti amici e i Viola li annovero tra questi. Certo è che anche con gli amici ci possono essere discussioni, diatribe e anche litigi, non fingiamo ipocrisia.
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Pertanto, domenica prossima sarà una sfida in cui non potrò avere un occhio di riguardo, anche a fronte delle ultime uscite (poco felici) del presidente viola Commisso. Ma questa è un’altra storia e non vale la pena mettere altro pepe ad una pietanza che si prospetta già bella saporita di suo. Per la rubrica settimanale sulle memories granata, il ricordo legato a questa sfida è ancora vivo e piuttosto vicino nel tempo. La partita è Toro-Fiorentina 3-1 del 30 agosto 2015.
Incipit
L’estate sta finendo? Macché, manco per niente. Un caldo insopportabile per tutto il giorno e in curva Maratona, non si respira. La maglia che indosso, con grande orgoglio e pochissima intelligenza, è la maglia granata sponsor SDA, Kelme, 1999. I tessuti da indossare in questa stagione sono quelli anti-umidità, quelli che consentono una miglior traspirazione, quelli che di fatto, permettono alla pelle di respirare meglio e quindi a noi di sentirci meno accaldati e tollerare meglio il caldo. La maglia in questione non lo è. Realizzata per testare quanto un essere umano possa sudare prima di sciogliersi definitivamente è l’antitesi di un tessuto tecnico, il nemico giurato della freschezza, lo spot perfetto per convincerti ad acquistare qualsiasi profumo, deodorante o docciaschiuma. L’unica cosa che vorrai, al termine di quella esperienza, è una doccia. Come disse Madonna, all'anagrafe Louise Veronica Ciccone, durante un concerto al vecchio Comunale: “Siete caldi?” Quella sera, direi caldissimi. Caldissimi anche per via delle notizie che arrivano dall’Olimpico di Roma dove i giallorossi hanno appena battuto la Juventus per 2-1. Seconda sconfitta in due partite di campionato per i bianconeri. L’ambiente, oltre al clima, è rovente.
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La vittoria in rimonta a Frosinone una settimana prima, aveva certificato che il Toro appena nato era più di una scommessa. Erano arrivati giocatori di prospettiva come Zappacosta, Baselli e Belotti, che si aggiungevano ad esperti navigatori dei mari della A come Quagliarella e Molinaro, e ad alcuni giocatori reduci da buone annate come, tra gli altri, lo sfortunatissimo Avelar e Acquah. La possibilità di restare in testa alla classifica, anche se effimera e fugace, è ghiottissima e se aggiungiamo anche che il distacco con la Juve sarebbe potuto essere addirittura di sei punti, il quadro è bello che completo. Non è una grande soddisfazione, ma è già qualcosa. La Viola che si presenta all’Olimpico è carica a pallettoni. Nella prima di campionato ha battuto, in casa, il Milan per due reti a zero. Paulo Sousa ha ridisegnato la Fiorentina: la squadra è aggressiva, alta, affamata di palloni, ha dimenticato il palleggio spagnoleggiante di Montella per ripartire in verticale appena possibile. Il terreno di gioco sembra un patchwork. Il manto erboso è irregolare ed è stato sistemato perché la settimana precedente si è disputata Italia-Scozia di rugby, test match premondiale. La partita ha inizio e il Toro ci capisce poco e niente, anzi, proprio niente. Orchestrati a centrocampo da Borja Valero e Suarez, i toscani giocano un calcio spumeggiante grazie ai due trequartisti Mati Fernandez e Ilicic, a supporto dell’unica punta, Kalinic. Non la vediamo mai.
La partenza è choc e gli ospiti hanno il pieno controllo della partita. Il gol della Fiorentina dopo nove minuti ne è la logica conseguenza. Cross di Borja Valero, Glik si perde Kalinic che incorna a tu per tu con Padellone nostro: miracolo del portiere granata che respinge di piede proprio sul destro (!) dello spagnolo Marcos Alonso che anticipa Bruno Peres e infila per l’1-0 ospite. A questo punto, il laterale iberico decide di entrare nel novero degli avversari da inserire nel Girone infernale degli Invisi. Con lui trovano spazio tra gli altri, Cuccureddu, Maresca, Balzaretti, Cammarata, Cuadrado, Filippo Inzaghi, per citare i primi che mi vengono in mente. Insomma, la crème de la crème, il non plus ultra della simpatia.
Alonso, però, sceglie l’immortalità. Sceglie di farsi ricordare anche da chi fatica a ricordarsi cosa ha mangiato la sera prima. Lo fa esultando sotto la Maratona davanti al toro che esponiamo durante le partite casalinghe. Gli si para davanti come un torero e mima il gesto della muleta, il drappo che viene sventolato durante le corride. Sfidare un toro, per un torero, in fondo è come sfidare il proprio stesso destino e Alonso non si è certo sottratto, attirando le ire del pubblico e qualche protesta dei giocatori granata. Maxi Lopez, qualche minuto dopo, farà presente, a modo suo, che il gesto non era stato gradito: gran calcione sugli stinchi all’improvvisato toreador e giallo per la Gallina de Oro.
La Fiorentina anziché infilzare la banderilla definitiva, si compiace e, con il passare del tempo, offre al Toro occasioni per rientrare in partita. L’ineffabile Tagliavento, fortunatamente coadiuvato dall’addizionale, ritorna sui suoi passi dopo aver erroneamente fischiato un rigore ai viola per un presunto fallo di Avelar su Kalinic. A questo punto, il Toro ha un sussulto. Prima Martinez manca l’appuntamento con il gol, poi Tatarusanu vola per respingere un colpo di testa di Quagliarella. La squadra di Paulo Sousa rallenta il ritmo, gestisce il gioco a proprio piacimento, imbastisce una fittissima rete di passaggi e come detto in precedenza, non porta il pugno della buonanotte. Finisce il primo tempo, piccole avvisaglie di Toro si stagliano all’orizzonte.
La rimonta
La ripresa si apre con un Toro inferocito. Ventura negli spogliatoi deve aver pronunciato parole di fuoco perché la squadra che scende in campo assomiglia tantissimo a quella di sette giorni prima in quel di Frosinone. Cambio di passo, di mentalità, di voglia. Il Toro sale di tono, la Viola scompare lentamente dalla partita. Il pareggio del Toro è un’invenzione di Emiliano Moretti, uno di quei calciatori che, arrivati nello scetticismo generale, ha mostrato grandi doti tecniche e umane, professionalità e grande attaccamento ai colori. Calcio d’angolo per il Toro, lo batte Baselli.
Il cross è a uscire, la spizzata è di Glik, la palla arriva nell’orbita di Moretti che con un colpo di arte marziale degno del miglior Ibrahimovic, di collo, infila Tatarusanu. La Maratona impazzisce.
Dopo due minuti, su infilata di Bruno Peres, Quagliarella inventa un tocco delizioso che vale il sorpasso. 2-1. Il passaggio in profondità prende alla sprovvista la linea difensiva viola, il Quaglia da posizione angolata, fa il suo. Lo stadio è una bolgia. Entra Pepito Rossi. La Fiorentina è alle corde. Quando scocca il minuto 77’, a ripensarci oggi, mi viene un tuffo al cuore. Lo so, gli amori verso i calciatori sono a volte impopolari e irrazionali. Direte, ma come, alla tua età, ancora ti innamori dei calciatori? Gente che, soprattutto al Toro, guarda (a volte) e passa (molto spesso)?
Eppure, all’epoca ricordo che l’acquisto di Daniele Baselli, mi procurò gioie e speranze recondite. Questo particolare tipo di sentimento appartiene sempre, nel mio caso, a centrocampisti raffinati o attaccanti spacca reti (non vi dico l'hype per la coppia Ricci-Ilic). Come dice David Trueba, regista e scrittore spagnolo: “La giovinezza finisce il giorno in cui il tuo calciatore preferito ha meno anni di te”. Questo accade da anni, ahimé, e, ovviamente, la gioventù unita alle doti calcistiche è un discrimine tanto feroce quanto ammaliante.
Avevamo acquistato uno dei migliori centrocampisti italiani di prospettiva, con una operazione lungimirante, ad una cifra assolutamente contenuta, strappandolo ad una squadra che ha fatto del vivaio, un suo punto di forza. Baselli era l’enfant prodige, il ragazzo che sarebbe potuto diventare un punto di forza della squadra e, perché no, una colonna della nazionale. Le premesse c’erano tutte. Aveva segnato il suo primo gol in maglia granata una settimana prima, a Frosinone a seguito di un calcio d’angolo. Calcio d'angolo battuto corto per Avelar che gli restituiva il pallone: il giovane centrocampista si accentrava, saltava un avversario e scagliava un destro angolato sul quale Leali nulla poteva. Il Toro stava venendo fuori dopo un primo tempo piuttosto brutto e aveva bisogno di una giocata spacca partita, una giocata decisiva e coraggiosa. Che quella giocata l'avesse fatta un neoarrivato, di ventitré anni, la dice lunga.
Ma torniamo al minuto 77’ di quel Toro-Fiorentina. Baselli compie in fascia un gioco di prestigio saltando tre avversari. Forza, caparbietà e classe, un contrasto, un altro contrasto e palla servita ad un compagno. Il pubblico applaude, la palla arriva in area, dove Roncaglia la rinvia in maniera sbilenca e Baselli, ai trenta metri, la recupera, ritrovandosi il pallone tra i piedi: elegante stop di destro, scavetto sotto per eludere Borja Valero e Pepito Rossi, coordinazione perfetta dai venticinque metri e tiro secco di destro, imparabile per Tatarusanu. È il gol del 3-1, per preparazione ed esecuzione, uno dei più belli degli ultimi anni segnati sotto la Maratona. Erano anni che non vedevo un centrocampista così intraprendente, così preciso e con questa facilità di calcio. Il tiro da fuori non è prerogativa dei centrocampisti italiani (figuriamoci di quelli del Toro), un po’ per cultura, un po’ per scarsa personalità che spesso frena chi vorrebbe provare a segnare con conclusioni da lontano.
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L’illusione
A Baselli non ho mai imputato nulla. Quasi duecento presenze in maglia granata, centrocampista centrale, mediano, incontrista, trequartista, addirittura falso nueve in un derby in cui Belotti, Pjaca, Praet e Zaza avevano deciso di infortunarsi tutti insieme appassionatamente. Mai una parola fuori posto, spesso criticato (per anni è stato il centrocampista che ha macinato più chilometri), diciotto gol nelle prime quattro stagioni al Toro (saranno venti in tutto, conditi da quattordici assist), poi un lento declino, figlio anche di infortuni gravi. Forse molti non gli hanno perdonato la macchia della definitiva consacrazione, forse qualcuno si è sentito tradito perché quel salto di qualità è rimasto un sogno di mezza estate e come spesso accade a queste latitudini, il troppo amore lo ha reso sgradito. Ma in quella sera così dolce che si potrebbe bere (e non vi dico quante birre passarono sotto il mio naso), Baselli ci ammaliò e ci illuse.
Ci fu ancora il tempo per sfiorare il quarto gol con Quagliarella, paratona di Tatarusanu, e poi Tagliavento mandò tutti negli spogliatoi. Il Toro è primo in classifica, seppur in coabitazione con altre squadre, a punteggio pieno come non accadeva dal 1993/94. Fu una serata caldissima e illusoria, tremendamente illusoria. Pensammo davvero che sarebbe stata un grande annata e invece fu l’ennesima, piena di dolori e rimpianti. Quella dell’inattesa sconfitta di Carpi, di Quagliarella e del suo addio a gennaio, del come back di Immobile, dell’esplosione di Belotti, del derby di Cuadrado al novantaseimilionesimo. Il tutto, nell’ultima stagione di Gian Piero Ventura sulla panchina del Toro.
Ad un anno campione d’Italia, cresciuto a pane e racconti di Invincibili e Tremendisti. Laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Ho vissuto Bilbao e Licata e così, su due piedi, rivivrei volentieri solo la prima. Se rinascessi vorrei la voleé di McEnroe, il cappotto di Bogart e la fantasia di Ljajic. Ché non si sa mai.
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