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La stupidità non è eliminabile… Forse

Anthony Weatherill
Loquor / Torna la rubrica di Anthony Weatherill: "Ci sono delle eccezioni verso le quali ci si dovrebbe rivolgere solo con dovuto rispetto. Il “Grande Torino” è incontestabilmente una di queste eccezioni"

“la stupidità non è eliminabile,

                                                                         ma si può circoscrivere”.

Milena Gabanelli

Giorni fa ho appreso, da fonte molto attendibile, che il cinema americano si starebbe  apprestando a celebrare la figura di Enzo Ferrari attraverso un kolossal con un budget monstre da 90 milioni di dollari. Il genio, gli umori, il coraggio, l’estro e i drammi del Drake saranno affidati al talento insondabile e senza fine di Robert De Niro, che sicuramente saprà restituire ciò che nel suo dna è rimasto dei bisnonni molisani emigrati negli Stati Uniti nel 1890. Saprà declinare quei connotati di nostalgia che avevano gli emigrati della “Little Italy”, il quartiere newyorkese dove è cresciuto e diventato uomo respirandone la sua cultura, tanto da fargli ammettere di sentirsi, in fondo, un italo americano. Enzo Ferrari è stato protagonista di un miracolo che a raccontarlo in tutti i suoi dettagli, la cosa più evidente che si noterebbe alla fine del racconto sarebbero moltitudini di bocche spalancate dalla meraviglia. Nel 1945 l’Italia è in ginocchio, umiliata e sconfitta, e con tante di quelle incertezze sul suo futuro da far tremare anche i cuori più impavidi. Eppure nella primavera del 1945, tramite il giornalista Gino Palumbo, Fausto Coppi riceve da un falegname di Grumo Nevano in dono una bicicletta di legno, con la quale ha la possibilità di tornare a correre da professionista e vincere, dando morale e motivazioni a un Paese intero. Più o meno nello stesso periodo Enzo Ferrari comincia la leggendaria cavalcata che in tutta la seconda metà del novecento arrivando fino ai nostri giorni, pone la squadra corse da lui fondata come unico e credibile antagonista dell’organizzazione motoristica anglo/tedesca. Gli anni del dopoguerra sono anche gli anni del “Grande Torino”, la squadra di calcio che conclude la sua incredibile parabola di vittorie in una delle sciagure più dolorose che l’Italia abbia mai dovuto sopportare.

Questo breve spaccato di storia è qualcosa, in qualche modo, di noto ad ogni italiano venuto al mondo dal dopoguerra in poi, una sorta di memoria condivisa dai connotati talmente identitari  da assurgere come uno dei “sacrari” della nazione italiana. Quando si parla di Ferrari/Coppi/Grande Torino, quindi, ci si riferisce a qualcosa che va oltre il tifo per gli stessi, andando a sconfinare palesemente nell’esistenzialismo italico. Nonostante il “tifo” sia per sua stessa natura, e giustamente direi, fazioso, recando come conseguenza la nascita di rivalità perduranti nel tempo(si pensi alle contrade del Palio di Siena), ci sono delle eccezioni verso le quali ci si dovrebbe rivolgere solo con dovuto rispetto. Il “Grande Torino” è incontestabilmente una di queste eccezioni. Quella formidabile squadra granata non è, per le ragioni sinteticamente sopra elencate, patrimonio solo dei tifosi del Toro, ma dell’Italia intera. Questo elementare ragionamento di civiltà, e di valori, deve essere completamente sfuggito a quei “quattro” disgraziati, spalleggiati da evidenti complicità di funzionari della Juventus, che hanno deciso di ironizzare sulla tragedia di Superga con degli striscioni che avevano nella stupidità il loro connotato più evidente. Ciò, visto il contenuto “intellettuale” delle intercettazioni telefoniche ascoltate nel corso della trasmissione “Report”, non deve sorprendere più di tanto;  da tempo assistiamo impotenti a vari settori della società colpiti da una evidente regressione cultural/esistenziale che pare non conoscere una battuta d’arresto nella sua caduta libera verso il basso.

La cosa sorprendente, ormai mi sto annoiando da solo a ripeterlo continuamente e spero i lettori mi perdonino, è il preoccupante disinteresse della classe dirigente verso una stupidità elevata ormai a modus operandi quotidiano, il non avvertire nessun senso di responsabilità verso un popolo che avrebbero il dovere di guidare e di ispirare. Anzi, a peggiorare la situazione, appare sempre più evidente come tale stupidità faccia addirittura comodo ai vari padroni del vapore. Tralasciando il giudizio sullo scarso valore etico(sic) delle parole pronunciate a vario titolo ascoltate nella trasmissione di Rai3, sembra che ad Andrea Agnelli sfugga in modo chiaro il senso di essere non solo un influente membro della classe dirigente italiana, ma anche il senso di essere un apicale dirigente sportivo che alla morale e all’etica dovrebbe sempre guardare come ad un faro costante delle proprie azioni. Perché presiedere una squadra di calcio(pazienza se anche qui mi daranno del noioso e ripetitivo) non è presiedere un’azienda(anche se le squadre di calcio hanno necessariamente le strutture di un’azienda). Ma a leggere bene le sue parole all’ultima assemblea degli azionisti, per Andrea Agnelli il concetto di “sport” deve essere stato relegato ormai nel cimitero degli elefanti delle cose inutili. Il presidente della società bianconera  ha parlato di fatturato, di nessuno che si deve permettere di infangare il nome della Juventus, di come si è pensato di cambiare l’assetto delle coppe europee, dei ringraziamenti a Marotta e Mazzia. Insomma, ha fatto il classico discorso aziendale nello stesso modo in cui lo farebbe l’amministratore delegato della “Parmalat”  riferendosi ai successi dei prodotti dolciari e caseari.

Discorso a parte merita il suo riferirsi al rispetto delle sentenze della giustizia sportiva da parte della Juventus e alla comica difesa di Alessandro D’Angelo, responsabile della sicurezza della Juventus. L’arroganza del figlio di Umberto qui ha superato ogni limite della decenza accettabile, tuffandosi in un uso del condizionale(“Alessandro D’Angelo avrebbe favorito l’ingresso di materiale non autorizzato”) che cozza letteralmente con la realtà fattuale ascoltate nelle intercettazioni mandate in onda da Report. In quelle intercettazioni non solo D’Angelo è chiaramente conscio del contenuto di quegli striscioni ma è evidente il suo aiuto ai “quattro” disgraziati tifosi bianconeri a fare entrare i suddetti striscioni all’interno dello stadio con la complicità della sicurezza. Riguardo il rispetto delle sentenze, più volte su queste pagine ho ricordato la questione del numero degli scudetti vinti presenti all’entrata dello Stadium(due scudetti in più rispetto a quanto stabilito da un processo sportivo) e all’ossessivo ripetere da parte del figlio di Umberto come quelli siano gli scudetti vinti sul campo. Cito da un manuale di psichiatria: “il disturbo delirante è una psicosi caratterizzata da una forma di delirio cronico basato su un sistema di credenze illusorie che il paziente crede vere(resistenti ad ogni critica) e che ne alterano l’approccio con la realtà”. Non tragga in inganno l’apparente understatement e l’aurea da rampollo di famiglia potente di Andrea Agnelli, perché potrebbe non significare nulla come chiarisce il manuale di psichiatria: “a parte l’incapacità di valutare oggettivamente il sistema di credenze illusorie che danno origine al delirio, il paziente mantiene le proprie facoltà razionali e in genere le sue capacità di relazioni sociali non sono compromesse” .

A Roma, città dove ho vissuto per diverso tempo, non perderebbero molto tempo in sofismi da psicoanalisi e rubricherebbero questi comportamenti del figlio di Umberto con una parola così sintetica ed esplicativa da includere in sé ogni tipo di ragionamento sofisticato: “paraculismo”. Dando per scontata la fiducia nella giustizia sportiva e ordinaria che farà il suo corso, dando per scontata la richiesta di scuse che Urbano Cairo ha intimato alla Juventus, dando per scontata la giusta indignazione dei tifosi granata, e dando per scontato che il giornalismo, nel caso di Report, ha fatto semplicemente il suo dovere e non ha infangato il nome della Juventus, come invece prefigurato dal figlio di Umberto, credo che il presidente della Juventus non possa cavarsela con un tweet di presa di distanze dagli striscioni incriminati. Credo che un dirigente sportivo, in nome dell’etica e dei valori dello sport, debba forse fare un gesto pubblico estremamente significativo, ma non per scusarsi con i tifosi del Toro(ai quali delle sue scuse temo non freghi nulla), ma per indicare una giusta via comportamentale ai tifosi bianconeri. Vada a Superga, Andrea Agnelli, a rendere pubblicamente omaggio al Grande Torino. Renda visibile questo omaggio sul sito ufficiale della società bianconera. Faccia comprendere all’Italia intera, di cui il Grande Torino è patrimonio, come le generazioni del dopoguerra, con immenso sacrificio e dedizione, abbiano ricostruito il loro Paese, trovando coraggio e ispirazione anche attraverso le formidabili imprese degli “Invincibili”. Sarebbe un giusto e doveroso ringraziamento ad un popolo a cui la famiglia Agnelli deve tanto per le sue fortune. Facendo ciò, il figlio di Umberto metterebbe un argine alla follia di quei “quattro” disgraziati e rimetterebbe ogni cosa al loro posto. Anche di questo, e soprattutto di questo, è fatta una classe dirigente. Andrea Agnelli provi, per una volta, a smentire la pessimistica conclusione di

Di Anthony Weatherill

(ha collaborato Carmelo Pennisi)

Anthony Weatherill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.