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GRANATA DALL'EUROPA

La via del Toro

La via del Toro - immagine 1
Nuovo appuntamento con "Granata dall'Europa", la rubrica su ToroNews di Michele Cercone
Michele Cercone Columnist 

L'insipido pareggio con il Monza, condito con l'amaro dell'ennesimo regalo della banda del buco in difesa, certifica la fragilità della squadra e la necessità di calarsi in fretta nella dimensione della lotta per non retrocedere. Manca a questi giocatori un po' di tutto: qualità, grinta, concentrazione, qualcuno sopra la media che traini gli altri, e spirito di gruppo. Qualche sprazzo di intensità non puo' nascondere la confusione, la paura e l'imbarazzo visti negli onesti (e in qualche caso mediocri) pedatori scesi in campo oggi. Giornata interlocutoria anche per Vanoli, che ha la scusante di poter mettere in campo solo questi giocatori, ma che dimostra di non saper far fare ai vari reparti, difesa in testa, i progressi necessari tanto nei piedi quanto nella testa. Se la partita merita pochi commenti, a tenere banco oggi è stata lo sciopero della Maratona nel primo tempo e l'incessante protesta contro Cairo che ha coinvolto per il resto della gara quasi tutto lo stadio.

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La Maratona è da sempre la bussola del Toro. È una sorta di sismografo umano che registra le oscillazioni e i picchi del sentire granata. Nel bene e nel male ha sempre preso sulle sue spalle la responsabilità di guidare il mondo degli appassionati del Toro. La scelta dolorosa di restare fuori dallo stadio per 45 minuti  e’ il suo segnale che ormai il rapporto tra la tifoseria e la società è irrimediabilmente spezzato. La Maratona, così come la grande maggioranza dei sostenitori granata, ormai tifa solo la maglia che simboleggia la storia, i valori e i principi che sono la matrice fondante del Toro, chiedendo a gran voce un cambio di proprietà. L’inevitabile rottura è il risultato di anni di errori che, come un inesorabile piano inclinato, hanno condotto il Torino FC sempre più lontano da quello che i tifosi vogliono e sentono. Una delle cause del distacco è la crescente distanza tra dichiarazioni e fatti. Sarebbe stato molto più onesto nei confronti dei tifosi chiarire fin dall'inizio che la società poteva solo garantire un'onesta permanenza in serie A e che, anche solo per raggiungere questo risultato minimo, sarebbe stato necessario basarsi solo su vendite e plusvalenze. La narrativa del non tarpare le ali, dei mal di pancia e della incedibilità di giocatori venduti il giorno dopo ha aperto le prime crepe, amplificate dalle troppe parole spese su fantomatici progetti di crescita sempre annunciati e mai messi in atto. Allo stesso tempo, il processo di de-granatizzazione della società ha ulteriormente scavato il solco tra tifosi e quadri societari, aggravando la perdita di identità e di sentire comune.

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Sarebbe bastato utilizzare una parte dei milioni di euro buttati via negli ultimi anni (spesso in operazioni di mercato sconclusionato) per finanziare azioni mirate a tramandare la storia e la leggenda del Toro. Non c’è tifoso granata che non avrebbe accettato di buon grado un mercato ridotto all’osso pur di destinare soldi al completamento del Fila e alla creazione di un vero museo del Toro al suo interno. Al posto di barcamenarsi tra le mille dichiarazioni senza sostanza sull'importanza delle giovanili, bastava dedicarsi con serietà e con investimenti adeguati alla realizzazione della cittadella dei giovani granata, di cui il Robaldo è solo una risibile scimmiottatura. Il fil rouge che collega da sempre la leggenda degli invincibili al Toro di oggi è l’epopea degli anni 70 e della prima metà degli anni 80.

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E' a quella generazione di giocatori, ancora profondamente ancorata al Toro e ai suoi valori più profondi, che la società avrebbe dovuto rivolgersi per piantare i semi granata in una nuova generazione di giocatori e avviare una rinascita basata su valori e tradizioni profonde. L'aver sprecato l’enorme potenziale di chi avrebbe potuto salvaguardare e trasmettere scintille di vero Toro è un peccato originale da cui la società non ha più saputo redimersi. Si e’ invece preferito azzerare tutto e ripartire da zero, costruendo sulla sabbia un edificio fragile e sconclusionato, fatto di un organico quasi inesistente, di una società-scatola-vuota senza assets e senza contenuti: il Fila e’ della Fondazione, lo stadio del Comune, il Robaldo un cantiere in concessione, il Museo sopravvive grazie al meritevole lavoro di pochi volontari. Nel frattempo altre società hanno messo la freccia e costruito stadi, centri sportivi d’eccellenza, organici di professionisti e strutture di scouting capillari ed efficaci. Mentre queste ultime si godono i dividendi della loro capacità imprenditoriale, il Torino FC annaspa nella palude di mediocrità a cui si e’ auto-condannato. La rabbia della Maratona e dei tifosi e’ accresciuta dalla consapevolezza che nessuna delle altre squadre puo’ vantare fondamenta solide, immagine internazionale, appeal e storia leggendaria quanto il Toro. La scelta scellerata operata fin dagli inizi di abbandonare la via del Toro per sostituirla con i balbettii imprenditoriali del Torino FC e’ stato l’errore da cui non si e’ piu’ tornati indietro. Arrivati a questo punto non c’e’ piu’ ritorno, e i cammini divergenti appaiono ormai stabiliti: da una parte c'è Cairo e il Torino FC, dall'altra i tifosi, gli unici che possono e devono tracciare la strada del Toro verso il futuro.

Il Toro, il giornalismo e l'Europa da sempre nel cuore. Degli ultimi due ho fatto la mia professione principale; il primo rimane la mia grande passione. Inviato, corrispondente, poi portavoce e manager della comunicazione per Commissione e Parlamento Ue, mi occupo soprattutto di politica e affari europei. Da sempre appassionato di sport, mi sono concesso anche qualche interessante esperienza professionale nel mondo del calcio da responsabile della comunicazione di Casa Azzurri. Osservo con curiosità il mondo da Bruxelles, con il Toro nel cuore. Mi esprimo a titolo esclusivamente personale e totalmente gratuito.

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