Nuovo anno, rubrica vecchia, con un monte di ricordi, di partite, di calciatori, di gol, di storie da raccontare. Nella prima domenica dell’anno (e già questa è una novità) incontriamo il Napoli di Walter Mazzarri che sta attraversando l’ennesimo momento no della sua stagione e oltre all’atmosfera pesante deve fare i conti con assenze importanti a partire da Osimhen e Anguissa (entrambi in coppa d’Africa) e gli infortunati Meret, Olivera e Natan.
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Lacrime napulitane
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Vincere e confermarsi non è facile, e farlo a Napoli, probabilmente è ancora più complesso. Forse era abbastanza prevedibile, dopo un’estate turbolenta, attendersi dalla truppa di De Laurentiis un rendimento di questo genere. Qualche cessione importante, un mercato in entrata non di prim’ordine, l’addio degli artefici del successo (Giuntoli e Spalletti), le solite mattane presidenziali e l’arrivo di un tecnico che ha faticato ad imporsi (Garcia, forse non la scelta ideale) hanno portato risultati altalenanti, specchio di tutte queste premesse. La stagione post scudetto degli Azzurri è tutta in salita.
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L’ex di giornata è Walter Mazzarri da San Vincenzo, tornato a Napoli per troppo amore, ma soprattutto per dimostrare quanto vale ad una piazza (e ad un presidente) che solo in parte lo ha saputo apprezzare e dove ha raccolto molto meno di quanto avrebbe voluto (e forse avrebbe meritato). Mazzarri a Napoli è Ritorno al futuro, un salto indietro nel tempo. Sulla sua DeLorean, Mazzarri ha riportato il suo calcio antico e polveroso facendo di necessità virtù, abiurando il suo marchio di fabbrica, il 3-5-2, proponendo un 4-3-3 molto meno frizzante di quello Spallettiano. Prestazioni altalenanti, uomini chiave in difficoltà, risultati deludenti e nubi pesanti che aleggiano su tutto l’ambiente.
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Base meme naturale, con i suoi tic, le sue espressioni, la sua mimica e la sua prossemica, Mazzarri (che domenica contro il Toro sarà squalificato) è allenatore sanguigno, pane e salame, diverso dagli altri. Non è pungente come Mourinho, non ama la filosofia come Spalletti, non è vulcanico come Gasperini, e non è un grande comunicatore come altri suoi colleghi. Mazzarri non ama spiegare le sue scelte, le sue idee, e spesso, anche per via della sua genuina permalosità è incappato in dichiarazioni tragicomiche che si sono trasformate in veri e propri boomerang, facendo dimenticare i suoi meriti, alimentando i suoi alibi e i suoi piagnistei. Contro il Toro, Mazzarri ha un record positivo: 15 partite, 7 vittorie, 7 pareggi e una sola sconfitta (quando allenava la Samp).
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Nella sua esperienza granata ha raggiunto quota 63 punti - il miglior risultato del club nella storia della Serie A dei tre punti a vittoria - ma il finale della storia fu inglorioso con lo 0-11, beccato in rapida sequenza tra Atalanta e Lecce, a cui andrebbero aggiunti i rovesci contro Sassuolo (2-1) e Milan (4-2 in Coppa Italia) per un poker di sconfitte consecutive e un drammatico bilancio di 3 gol fatti e 17 subiti nelle sue ultime quattro partite. Inevitabile l’addio con risoluzione anticipata del contratto.
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L’altro ex è Duvan Zapata, capitato a Napoli durante l’era Higuain, ma capace, a spizzichi e bocconi di ritagliarsi spazi, lasciando il segno con 11 gol in 37 presenze, molte delle quali collezionate partendo dalla panchina. Scaricato forse troppo frettolosamente da Sarri e dal Napoli, Duvan contro i partenopei ha un discreto rendimento con 4 gol e 6 assist. E come spesso accade sono proprio gli ex, i core ‘ngrato (cuore ingrato, brano di Enrico Caruso e soprannome che venne dato ad Altafini quando andò via dal Napoli) a scrivere pagine importanti di sfide e incroci, lasciando il segno con prestazioni maiuscole.
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Blerim Dzemaili arrivò dal Bolton, reduce da un terribile infortunio ai legamenti. Al Toro, dopo una ottima annata condita da 30 presenze e, a spanne, una serie infinita di tiri usciti di poco o stampatisi contro i pali avversari, Dzemaili, complice la retrocessione del Toro, iniziò un lungo viaggio nel nostro calcio prima (Parma, Napoli, Genoa e Bologna), intervallate da qualche puntata esotica tra Canada, Cina e Turchia. Nel Toro-Napoli 3-5 del 30 marzo 2013, il centrocampista di Tetovo, si tolse la soddisfazione di portarsi a casa la palla del match, siglando la sua prima e unica tripletta in carriera.
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Partita folle, con il Toro in svantaggio due volte, ma capace di recuperare e sorpassare gli avversari grazie a tre eventi clamorosi e contemporanei: i gol di Barreto, Jonathan e Meggiorini. Il passaggio della Cometa di Halley, l’allineamento dei pianeti e un sei al Superenalotto sarebbero stati eventi più probabili. Se Nostradamus fosse transitato in quel momento a Torino, dopo il presunto viaggio del 1556 in Borgata Parella, ci avrebbe svelato che il mondo stava per finire, lì, quella sera, in quel preciso momento, all’Olimpico di Torino. Ma siccome Torino è anche la città del Diavolo, Dzemaili ci mise lo zampino e Cavani la ciliegina su una torta tremendamente amara, rimontando il Toro in meno di quindici minuti da 3-2 a 3-5. Dzemaili si prenderà il lusso di stamparci in faccia anche una doppietta ai tempi della sua permanenza a Bologna, ma questa è un’altra storia.
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A volte invece sono i bomber che risolvono dal nulla partite complesse e destinate all’oblio di uno zero a zero che sarebbe stato comunque stretto ai padroni di casa. Gonzalo Higuain è stato uno di questi. Spietato e implacabile, fu lui, con l’aiuto dell’arbitro Doveri, a risolvere il Toro-Napoli del 17 marzo 2014. Lancio di quaranta metri di Hamsik, Glik è in vantaggio sul Pipita che prima lo spinge poi lo sgambetta. Il polacco va per le terre, l’argentino si invola verso Padelli e lo batte con un potente destro. Granata furibondi per una decisione apparsa sbagliata ai più, con Ventura che si lasciò andare ad un commento laconico: “Una decisione clamorosa mai vista in trenta anni di calcio”. Il gol arrivò proprio al 90’ e il risultato oltre ad essere bugiardo fu anche ingiusto. Il Toro aveva giocato la sua partita, colto due pali (Bovo e Meggiorini), messo alle corde la squadra campana ma uscì sconfitto per la quarta volta consecutiva e senza segnare un gol.
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L’ultima vittoria granata è targata 1 marzo 2015 e porta la firma di un antieroe. Fu 1-0 grazie alla rete di Kamil Glik, di testa su calcio d’angolo battuto dal piede svedese ed educatissimo di Alexander Farnerud. Il polacco, citato anche in una canzone rap di quel genio di Willie Peyote (…Restiamo hardcore come Kamil Glik), primo capitano straniero nella storia del Toro, indirizzò il pallone, spizzandolo e incrociando sul palo più lontano dalla porta difesa da Andujar. Fu una vittoria che il Toro colse stringendo i denti, soffrendo nel finale, in perfetto stile granata.
Eravamo in un vero e proprio stato di grazia, imbattuti da novembre in campionato, vittoriosi in Europa League in quel di Bilbao.
Glik era una vera e propria bandiera per meriti raggiunti sul campo e per i valori che incarnava. Un sogno ad occhi aperti per tutti i tifosi granata indissolubilmente legati a questo tipo di giocatori. Generosità, grinta, ferocia, agonismo. Camillo fu tra gli artefici di quella stagione tanto bella quanto illusoria.
Una stagione che manca da troppi anni, e degli uomini, prima che calciatori, sempre più rari.
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Ad un anno campione d’Italia, cresciuto a pane e racconti di Invincibili e Tremendisti. Laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Ho vissuto Bilbao e Licata e così, su due piedi, rivivrei volentieri solo la prima. Se rinascessi vorrei la voleé di McEnroe, il cappotto di Bogart e la fantasia di Ljajic. Ché non si sa mai.
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