Via col vento
lasciarci le penne
Basta battere qualcosa di bianconero per capire che domani è un altro giorno
Margaret Mitchell
1936
Rossella O'Hara, la protagonista di Via col vento, è una grande incassatrice: la sorte la riempie di botte, con metodo e continuità e lei incassa, va al tappeto e si rialza.
Vive in un periodo storico che, tra schiavitù, guerre e carestie, peggiore non potrebbe essere, e non fa in tempo a rimettersi in piedi che una nuova bordata del destino la risbatte a terra.
Eppure non molla e ritrova la forza di lottare anche quando nulla le resta.
E la frase che nel momento più buio le dà forza, come un principio di vita e mantra salvifico, quel Domani è un altro giorno diventato emblematico, suona come la tromba guerriera di tutti i grintosi bersagliati dai colpi della sfortuna.
Rossella, ragazzotta ricca e viziata, scopre, nel volgere della vicenda, che la vita può essere orrore, fame e lutti crudeli. Eppure, mentre attraversa tutto quel concentrato di sventure, denotando una fierezza indomabile, rimane la stessa insopportabile smorfiosa di quando l'esistenza era semplice e le sorrideva.
Siamo abituati ad immaginarcela con la faccia di Vivien Leigh, immersa nei colori vividi e vagamente allucinogeni del Technicolor, mentre si strugge d'amore per l'insignificante Ashley Wilkes (Leslie Howard), facendo impazzire il povero Rhett Butler (Clark Gable); in realtà, prima che dell'omonimo film del 1939, fu la protagonista dell'epico romanzo d'esordio di Margaret Mitchell del 1936, capace di raggiungere in pochi mesi il milione di copie vendute, sogno proibito di tutti gli scrittori del mondo all'uscita dell'opera prima, ed irrealizzabile per i più.
Peccato che Margaret Mitchell non abbia fatto in tempo a goderlo appieno, il trionfo: venne investita da un'auto e morì a soli 49 anni, avendo pubblicato quell'unico clamoroso successo, consegnandosi al mito come un'eroina letteraria che muore ancor giovane, al culmine della gloria.
La settimana scorsa avevo scritto il canto del cigno del glorioso derby della Mole e avevo una voglia matta di non pensare al Toro per (almeno) i prossimi 5 anni, messo al tappeto dallo spettacolo avvilente dell'ennesima stracittadina senza nerbo e storia, ed ecco che una vittoria mi fa dire Domani è un altro giorno, e immaginare nuovamente che ci sia una via d'uscita dal limbo anonimo di questo presente calcistico.
Perché vincere è bello e fa bene: ti fa credere che sia la norma e non l'eccezione e ti restituisce la voglia di guardare, calcisticamente, al futuro.
Siamo strani, noi tifosi del Toro: ci basta la prima giocata vincente di uno che sembra avere le carte in regola per diventare il nostro nuovo profeta del goal, per fantasticarne le ipotetiche reti a venire; ci basta il guizzo all'ultimo secondo del gigantesco felino che si aggira tra i pali della nostra porta, per immaginarne i futuri interventi destinati a sfidare le leggi della fisica e dei limiti umani.
Siamo strani, noi tifosi del Toro, e siamo unici. Ripetiamocelo spesso, cari colleghi di sventura.
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Noi, come Rossella O'Hara, siamo la grinta e la determinazione.
Noi, con i nostri difetti, noi talvolta altrettanto viziati e scontrosi.
Noi che non cambieremo mai, sempre sull'orlo del precipizio, ma con lo sguardo alla ricerca della prossima sfida.
Noi che non molleremo, nonostante i troppi Francamente me ne infischio (per citare le immortali parole di Clark Gable a Vivien Leigh), con i quali da molte parti è stato risposto ai nostri Che ne sarà di noi?
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E' bastato battere qualcosa di bianconero per riprovare il brivido, per essere rivitalizzati nei nostri atavici istinti di vittoria.
Perché, nonostante facciano di tutto per farcelo dimenticare, noi siamo destinati alla vittoria, e tutta questa sfinente mediocrità non è altro che una lunga parentesi che dovrà, presto o tardi, finire.
Finché ci sarà gente del Toro, non verrà meno questa speranza.
E allora, forza! Teniamo duro.
Dopotutto, domani è un altro giorno.
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