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LASCIARCI LE PENNE

Il peso della gloria

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Un nuovo appuntamento con "Lasciarci le penne", la rubrica di Marco Bernardi
Marco P.L. Bernardi
Marco P.L. Bernardi Columnist 

L'istrione

Charles Aznavour, 1971

La gloria del teatrante è cantata da Charles Aznavour, francese di origine armena che di nome faceva Shahnourh Varinag Aznavourian e che, per fortuna, scelse di usare un nome d'arte per firmare i suoi successi. L'istrione racconta con enfasi accentuata il sommo talento di un mattatore, di un dominatore del palcoscenico che ripercorre i propri successi ed immagina quelli futuri con una consapevolezza che deborda nella vanteria (Se mi date un teatro e un ruolo adatto a me, il genio si vedrà, si vedrà), come solo un artista appagato dai continui trionfi può permettersi di esibire senza scadere nel ridicolo.In apertura della canzone c'è una frase che mi è ritornata in mente alla fine della partita del Toro contro il Genoa: La genialità è nata insieme a me.

Davanti alla giocata sopraffina di Nemanja Radonjic che ha deciso l'incontro, il termine genialità non è eccessivo né fuori luogo: pochi attimi dalla fine, una frazione di secondo per decidere il da farsi e la scelta più difficile ed esteticamente strabiliante, eseguita alla perfezione, fino al raggiungimento dell'obiettivo finale.Proprio come nell'esibizione di un artista che, nella sera di grazia, reinterpreta il testo già mille volte affrontato e lo rende unico, così nell'intuizione di Nemanja, che scardina la difesa arroccata dei rossoblu tentando l'inosabile, sta il genio.Il genio è la strada nuova, non ancora battuta e più complicata da seguire, quella che gli altri non vedono nemmeno, ma l'unica in grado di portare alla meta.Chi è dotato di genio è un privilegiato, uno dei pochi. Come tale, è difficile da inquadrare, facile da additare con superficialità quando sbaglia, soggetto a cali di concentrazione e rendimento. Ma è anche quello che può sparigliare una partita già persa sulla carta, quello che indica la rotta nella tempesta.

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Ci va pazienza con i geni, anche perché è destino di chi non lo è non riuscire a vedere con quegli stessi occhi, quindi temerne o deriderne le scelte. Paura e spocchia sono le scorciatoie mentali di chi non capisce, paura e spocchia generano mostri.Godiamoci Radonjic e accettiamone le flessioni, le incertezze e i passi falsi: fanno tutti parte del suo essere unico, sono le molte facce di una moneta polidimensionale destinata a rilucere. Sono rari gli istrioni calcistici, i mattatori del rettangolo verde. Come i grandi interpreti vanno aspettati con la certezza che, da un momento all'altro, potranno donarci la giocata memorabile, quella che vale il prezzo del biglietto e la somma di tutte le arrabbiature patite fino a quel momento.

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Cerci era un altro di questi e si è perso per strada sul più bello, dopo averci regalato pietre preziose di bel gioco e una bordata all'ultimo istante (sempre contro il Genoa, vittima designata dei nostri frombolieri), destinata ad iscriversi tra i momenti d'oro della storia granata.

Sono fragili, i geni del calcio. E spesso autolesionisti.

Vanno capiti, incitati e qualche volta sopportati. 

Sempre in bilico su un filo sottile a cavallo tra il paradiso e l'inferno pallonaro.

Un bel peso da sopportare, la gloria.

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