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LASCIARCI LE PENNE

Le armi segrete del Toro, da fare invidia a goldrake

Marco P.L. Bernardi
Marco P.L. Bernardi Columnist 
Un nuovo episodio della rubrica "Lasciarci le penne" a cura di Marco Bernardi

Chi è stato bambino negli anni Settanta si ricorderà molto bene di Goldrake, robottone di acciaio nero che difendeva la Terra dall'invasione di Vega, una civiltà extraterrestre antropomorfa, ma bruttissima.

Praticamente ogni parte del corpo del prode paladino del nostro pianeta nascondeva una sorpresa per i nemici: i pugni diventavano magli perforanti, le corna lanciavano raggi letali così come gli occhi, le decorazioni delle spalle si trasformavano in boomerang o in alabarda a seconda dell'estro del conducente, che ne urlava i nomi come un banditore da fiera, perché lui quelle superarmi le attivava così, con un comando vocale strillato a piena voce.

Insomma, di strumenti di lotta in quei cartoni animati ce n'erano per tutti i gusti e noi, piccoli discepoli mediatici, ne eravamo estasiati.

Proprio l'abbondanza di armi segrete era la chiave del successo di quell'eroe: era pieno di risorse e chi lo aveva progettato non aveva sciupato nemmeno un centimetro del corpo per stiparvi ritrovati devastanti, in grado di ribaltare le battaglie contro i rivali alieni, altrettanto prestanti ma pur sempre più goffi e imbranati di lui.

Ispiriandoci a quel mitico personaggio, proviamo ad immaginare cinque armi "risolutive" da mettere a disposizione del Toro, attingendo dai colpi a sorpresa dei nostri eroi granata dalle giocate uniche, che erano i loro tratti peculiari, il marchio di fabbrica che li contraddistingueva.

  • Il fiuto di Paolo Pulici: segnava in tutte le maniere, Pupi, e solo goal d'autore. Forza impetuosa, classe e colpo d'occhio che sapevano fargli scassinare ogni volta la serratura della porta avversaria. Annusava il goal e, implacabile, lo realizzava come completamento naturale dell'intuizione di partenza, travolgendo come un ciclone le difese rivali.
  • Il cuore di Francesco Graziani: la grinta proverbiale, lo spirito di lotta e sacrificio, la capacità di essere, con il suo gemello Pulici, una macchina da guerra irresistibile. I due si integravano alla perfezione, generando grappoli di reti e spingendo al trionfo la squadra, eccezionale in ogni reparto.
  • Le traiettorie dei corner di Júnior: Léo disegnava dalla bandierina parabole misteriose che planavano là dove lui voleva. Ogni volta che si avvicinava per battere un calcio d'angolo esplodeva l'urlo della Maratona: Léo, Léo, Léo,  Léo! e ci si preparava a vivere il nuovo prodigio, che sarebbe nato di lì a poco dai piedi di quel prestigiatore inimitabile.
  • Lo scatto forsennato di Schachner: era un razzo, Walter. Quando partiva in velocità le sue progressioni sconcertavano gli avversari, seminati come paracarri, e creavano praterie verso la porta. Quando nell'agosto del 1983 l'austriaco esordì in granata con quattro goal in Coppa Italia contro il Vicenza, pensammo che avrebbe realizzato una caterva di reti; non andò proprio così, ma le sue sgroppate non si possono dimenticare.
  • La carica guerriera di Pasquale Bruno: la quintessenza del gioco duro, dello spirito battagliero che caratterizza i nostri colori. Uno che faceva tremare i rivali con un solo sguardo.
  • Immaginatevi di poter urlare il nome di queste armi micidiali, come faceva Actarus, il pilota di Goldrake, e vederle manifestarsi in campo durante il match: sarebbero vittorie garantite, sempre.

    Pensate alle parabole magiche di Léo per lo stacco perentorio di Pulici, alla corsa bruciante di Schachner a conquistare palloni persi all'apparenza, ma trasformati in realtà in assist al bacio per le girate vincenti di Graziani.

    E dietro Pasquale Bruno a vigilare che nessuno sia tanto imprudente da tentare l'avvicinamento alla nostra porta, tanto autolesionista da capitare tra le sue grinfie.

    Sarebbero fuochi d'artificio ogni volta, autentici viaggi nello spazio da far invidia allo stesso Goldrake, specializzato sì nello scontro con nemici terribili, ma non nell'impatto con il nostro difensore: nonostante il tuono spaziale e i disintergatori paralleli, se la sarebbe vista brutta.