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Le mamme granata
Viva la mamma, Edoardo Bennato, dall'album Abbi dubbi (1989), Virgin
Un brano dal sapore un po' rétro ci fece ballare nell'estate del 1989. Un motivetto anni Cinquanta, rockeggiante, ideale per la voce beffarda di Bennato che, recuperando atmosfere di tanti anni prima, tesseva l'omaggio della mamma.
Di tutte le mamme, non solo della sua. Già, la mamma... Elegante e sorridente, come la canta Edo, che la trasforma in personaggio di sogno che accompagna la nostra vita vigilando (a volte un po' severa) sulle nostre incongruenze e debolezze. Con un occhio tollerante e intollerante al tempo stesso, perché, pur capendo le tue innumerevoli sciocchezze, la mamma non te ne passa una...
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Il cantautore napoletano riproduce in suoni e parole, intorno a questa figura amata, lo scoppiettare degli anni della giovinezza, sintetizzati in due versi traboccanti di vita: Angeli ballano il rock, ora, non è un juke-box è un orchestra vera, che rimandano ad antiche feste, a locali da ballo, a una musica destinata a spazzare via tutto ciò che c'era prima.
Il rock, la grande novità, ci avrebbe raggiunti per osmosi e, con le sue trasformazioni, avrebbe fatto da colonna sonora alle nostre vite di bambini degli anni Settanta, che oggi non ce la fanno proprio ad ascoltare tutto ciò che è stato prodotto dopo la metà degli anni Novanta; di tanto in tanto, travolti dalla nostalgia, recuperano dal fondo dell'armadio l'antico "chiodo" rockettaro, talmente indossato da averlo consumato trent'anni prima, ma che rimane il più bel capo di vestiario che sia mai stato concepito su questa terra.
Mia madre, oltre a tutte le consuete incombenze delle mamme, si è presa la briga di gestire tre tifosi del Toro e di farli rigare diritto anche in quelle giornate che più a tinte granata non potevano essere: ricordo pranzi della domenica del derby in cui il pasto veniva anticipato ad ore da brunch perché mio padre, il più scavezzacollo dei tre, esigeva che al derby si arrivasse ore e ore prima, per trovare i posti migliori, ma anche per veder crescere l'onda di emozione che sarebbe sfociata nell'ora di passione che precedeva l'evento.
La mamma non c'era verso di farla venire con noi: probabilmente per eccesso di scaramanzia da parte sua. Ci accompagnava alla porta, dicendo che a lei di venire allo stadio non interessava, per poi estraniarsi fino al nostro ritorno. Eppure le sarebbe piaciuto un sacco tutto quello che veniva prima e che talvolta era più emozionante della gara stessa.
A sessanta minuti dal fatidico fischio d'inizio la battaglia del tifo si scatenava a colpi di coreografie: noi gliele raccontavamo tutte, recitando ardimentosi i contenuti dei più divertenti striscioni antijuventini che, prima dell'avvento del politically correct assassino di ogni atmosfera, erano tanti e stracolmi di un senso dell'umorismo che raramente sfociava nel becero.
Quando, dopo la battaglia sportiva, tornavamo a casa in uno stato di grazia esaltata per la vittoria o prostrati per la sconfitta, eravamo sempre e comunque esausti ed afoni (la voce sarebbe ritornata a poco a poco nel corso dei due giorni successivi). La mamma, un po' stupita dallo stato nel quale riuscivamo a ridurci, ci accoglieva indaffarata sempre e sempre convinta, a volte un po' severa, ma, sotto sotto, più felice o arrabbiata di noi.
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Il mestiere di mamma del tifoso granata è un duro lavoro, e non possiamo far altro che dedicarle il nostro amore per ringraziarla di tutte quelle volte che ci ha sopportato. Anche perché non siamo gente facile, per quella nostra avversione, come dice Bennato, alle regole e alle buone maniere. Quelle che non abbiamo mai saputo imparare, forse per colpa del... Toro.
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