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LASCIARCI LE PENNE

Pulici, il privilegio di averlo visto giocare

Pulici, il privilegio di averlo visto giocare - immagine 1
Torna un nuovo episodio di "Lasciarci le penne" la rubrica di Marco Bernardi
Marco P.L. Bernardi
Marco P.L. Bernardi Columnist 

Eye of the Tiger

Survivor

1982 Rocky III Original Soundtrack – EMI / Eye of the Tiger – Scotti Brothers

 

Ci sono brani che vengono inseriti nella colonna sonora di film di cassetta e vivono ben oltre il successo della pellicola che li ha resi celebri, diventando autentiche pietre miliari: Eye of the tiger, canzone hard rock di appeal immediato, usata per Rocky III, è uno di quei tormentoni che, sentiti una volta, non ti escono più dalle orecchie e permangono a condire i ricordi come sfondi sonori indelebili.

Il messaggio di sfida e coraggio rivolto ai lottatori della strada che restano sempre e comunque in piedi e un ritornello irresistibile costruirono un successo planetario da nove milioni di copie vendute, all'epoca tutte riversate su supporto fisico, tangibili, destinate a logorarsi ad ogni ascolto: una quantità incredibile di vinile e nastro piena di note dure e batteria.

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Ha imperversato per buona parte degli anni Ottanta e, di tanto in tanto, salta fuori ancora adesso, perché lo sguardo della tigre di cui racconta è l'immagine ideale per esaltare le imprese degli sportivi più grintosi e vincenti.

Noi del Toro lo riconosciamo subito l'occhio della tigre e ci siamo abitutati a vederlo luccicare, essendo appartenuto al nostro eroe calcistico per antonomasia, Paolo Pulici.

Detto Pupi o Puliciclone, non aveva solo gli occhi, ma tutto il corpo e le movenze del grande felino in caccia.

Bastava vederlo muoversi per l'area avversaria in attesa dello scatto improvviso, dello stacco imperioso e innaturale per scorgere in lui la belva appostata, pronta a catapultarsi sulla preda  destinata a soccombere.

Alle sue vittime, portieri scornati, beffati da traiettorie ardite, annichiliti da exploit tecnici impensabili, non restava che raccattare il pallone in fondo al sacco e sperare che l'arbitro fischiasse presto la fine dell'incontro: imbattersi in quella furia doveva essere un tormento.

Ad ogni goal seguiva l'esultanza sfrenata, liberatoria. Nelle braccia protese a toccare il cielo c'era l'impeto che travolge, c'era quel ciclone che, fuso con il cognome, generò il memorabile soprannome inventato da Gianni Brera.

Puliciclone... Noi ragazzini avremmo voluto assomigliargli: i parrucchieri ci spacciavano tagli di capelli alla Pupi, anche se le basettone ancora mancanti ci facevano sentire degli eterni incompiuti.

Assistere alle imprese di Pulici era sentire the thrill of the fight, il fremito del combattimento per citare i Survivor, era un'emozione mai più provata, ricercata in altri volti, in altre movenze, in altri scatti che hanno restutuito frammenti, immagini sfocate, fotogrammi di pallidi remake rispetto all'originale insuperabile.

Paolino adesso ha settantaquattro anni, ma per tutti noi granata non invecchierà di un giorno rispetto al ragazzo che faceva impazzire la Maratona, perché, per dirla con il maestrone Guccini, gli eroi son tutti giovani e belli e restano quelli di quando erano al culmine, intatti nei sogni e nei ricordi di chi li ha applauditi: noi che abbiamo visto giocare Pulici, autentici privilegiati dal fato calcistico.

 

 

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