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Rivoglio la Coppa Italia 1992/93
Ricominciamo da dove eravamo rimasti, dalla costatazione di come la smania di cambiare le regole del gioco a presunto beneficio dello spettacolo abbia stravolto la fisionomia di competizioni combattute, trasformandole in eventi patinati, senz'anima. La Coppa Italia è stata la vittima privilegiata del nuovo che avanza. Un tempo era una competizione ruspante, in cui anche le squadre delle serie minori potevano sperare nel loro giorno di gloria, azzardare scalate ardimentose e perfino mettere le mani sul trofeo. Adesso si è trasformata in vetrina secondaria per le solite note, in fabbrica di trofei riservati a una ristretta élite di privilegiate. Una volta, dai sedicesimi di finale era battaglia vera: di solito le più forti riuscivano a prevalere al meglio di due leali sfide di andata e ritorno, i piccoli stadi per un giorno ospitavano gli squadroni e il sogno di vedere, per una volta, Ettore in grado di battere Achille prendeva forma.
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Nel 1993 vivevo a Venezia e, trascinato da un collega nella curva arancioneroverde, assistetti a una partita incredibile nella quale i locali, allora in serie B, fecero fuori la Juventus al termine di una girandola di emozioni, battendola per 4 a 3, dopo essere riusciti ad impattare per 1 a 1 la gara di andata a Torino. Prodigi della più semplice e democratica delle formule, quella basata su gare di andata e ritorno. Banale, equa e impossibile da sindacare. Si decise che così non andava bene, che non era accettabile che una squadra di serie B come l'Ancona si permettesse di disputare la coccarda tricolore (facendo fuori anche il Toro in semifinale), come accadde nel 1993/94 o, peggio ancora, che una squadra di media classifica in A, una provinciale per giunta, il Vicenza, osasse sollevare il trofeo come nel 1996/97. Allora si addomesticò la tenzone, si spensero gli ardori e si decise di rendere quasi impossibile l'avanzata delle medio-piccole verso l'Olimpo.
Partite secche sul campo della meglio piazzata, quella più forte. Le otto prime della classe che entrano in gioco solo agli ottavi. Gare di andata e ritorno solo in semifinale: qualcuno mi spieghi perché. Che cosa rende necessaria la doppia sfida solo lì? Un rigurgito di senso sportivo? L'idea del doppio incasso? Quattro partite da passare in televisione anziché due? Tutti validi motivi, ma allora perché non estendere questa soluzione a tutta la competizione? Misteri dello sport. Ciliegina sulla torta: gara decisiva secca nella Capitale sul campo neutro dell'Olimpico, che poi se in finale ci vanno Lazio o Roma tanto neutro non è. Stramba, vecchia scelta questa, che forse ci costò la Coppa nel lontano 1980.
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Si preparò insomma un'autostrada spianata per le big: non è forse casuale che nelle ultime venti edizioni abbiano vinto sei volte Inter e Juventus, tre volte Lazio e Napoli e due volte la Roma. A qualcuno piacerà così, un trofeo consolatorio per ricchi da far girare tra amici come la coppa dell'amicizia in Val d'Aosta, ma io continuo a sperare in un ritorno alla normalità, a una competizione che è tale solo se la si gioca ad armi pari, senza scorciatoie. Rivoglio la Coppa Italia del 1992/93, l'ultima che andò ad arricchire la nostra bacheca. Un solo turno preliminare con partite secche per scremare le squadre di seconda fascia, poi sedicesimi veri basati su match in casa di ognuna delle due contendenti, le piccole contro le grandi, qualche goleada e un paio di sorprese (Atalanta e Sampdoria subito fuori ad opera di due outsider). Noi ci sbarazzammo di Monza, Bari e Lazio e vivemmo un'indimenticabile doppia semifinale da infarto contro la Juve, eliminata grazie al gol decisivo di Pato Aguilera. Poi le due partite di finale contro la Roma che sono storia nota: i tre calci di rigore che i giallorossi si videro assegnare nel ritorno all'Olimpico rischiarono di far sfumare una gioia già pregustata dopo il 3 a 0 casalingo a Torino. Ma la bilancia della Giustizia calcistica per una volta decise di non sbilanciarsi eccessivamente contro i nostri colori, e fu il trionfo. Meccanismo perfetto, quel trofeo, vittima della smania di cambiare che genera noia, nascosta invano dai lustrini.
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Autore di gialli, con "Cocktail d'anime per l'avvocato Alfieri" ha vinto l'edizione 2020 di GialloFestival. Marco P.L. Bernardi condivide con il protagonista dei suoi romanzi l'antica passione per il Toro e l'amore per la letteratura e la canzone d'autore. Nel marzo del 2023 è uscito il suo nuovo noir a forti tinte granata "Giallo profumo di limoni. L'avvocato Alfieri in un nuovo caso tra Torino e Sanremo" (Fratelli Frilli Editori).
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