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LASCIARCI LE PENNE

Un Toro da sogno e gli eroi dello sport azzurro

Un Toro da sogno e gli eroi dello sport azzurro - immagine 1
Un nuovo episodio della rubrica "Lasciarci le penne" a cura di Marco Bernardi
Marco P.L. Bernardi
Marco P.L. Bernardi Columnist 

Sarebbe bello essere un artista e disporre di infiniti ingredienti per apparecchiare creazioni meravigliose. Non temete: non sto parlando di cucina e non vi siete imbattuti nel clone cartaceo di una delle troppe trasmissioni a sfondo culinario. Le creazioni di cui sto parlando sono semplici vaneggiamenti, esercizi dell'immaginazione che consistono nell'arricchire un soggetto attingendo alle peculiarità di altri, che lo renderebbero irresistibile.

Poco chiaro?

Passiamo all'esempio concreto: il soggetto da implementare sarà il Toro, ovviamente, e le caratteristiche per potenziarlo verranno prese in prestito da talenti assoluti del mondo dello sport, italiani e rigorosamente non calciatori. Glorie azzurre che hanno trionfato, fatto sognare e fornito al mondo esempi di estro, determinazione e forza. Diamoci da fare, iniziamo a comporre il nostro capolavoro.

  • L'impassibile risolutezza di Jannik Sinner, l'attitudine a gestire l'attimo, la capacità di cristallizzare l'attenzione su ogni singolo momento del gioco a prescindere dal prima e dal dopo, riuscendo a ribaltare in suo favore le situazioni più critiche.
  • La classe innaturale di Tomba: ricordate come Alberto dominasse la forza di gravità, costruendo percorsi tra i paletti che sfidavano le leggi della fisica e recuperando l'equilibrio quando già il corpo stava affrontando la traiettoria di caduta?
  • La caparbietà implacabile di Alberto Cova, la tenacia coriacea del campione dei 10.000 metri in grado di prodursi in sprint irrefrenabili dopo chilometri di lotta e di strappare all'aplomb di Paolo Rosi, storico telecronista scomparso nel 1997, l'indimenticabile: "Cova, Cova, Covaaaaa!", unica esclamazione concessa dall'emozione travolgente alle ultime falcate in rimonta ai Mondiali di Helsinki nel 1983.

  • Il masochismo testardo di Pantani, la maschera di dolore e sudore di Marco nel resistere con lo sforzo estremo alla durezza delle salite leggendarie, potente come il balzo dell'aquila che vola lontano, sola, oltre tutti e tutto.
  • L'istrionismo talentuoso di Gianmarco Tamberi, l'esuberanza esagerata, il troppo che stroppia e rende il trionfo un carnevale, un dramma, l'ostentazione di uno stato d'animo che, trascendendo la vittoria, diventa fuoco d'artificio.
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    Questi sono i primi ingredienti dei quali vorrei disporre, quelli che renderebbero veemente il nostro Toro e gli permetterebbero di superare i propri limiti. Come in tutte le liste di questa rubrica, per il momento ci fermeremo a cinque. Forse ne aggiungeremo altri prossimamente, perché sono troppi  gli eroi del nostro sport che devono essere ricordati. A pensarci bene, un team dotato di tutte queste caratteristiche sarebbe eccessivo: su uno solo di questi talenti si è fondato il trionfo dei più grandi e miscelarli tutti insieme sarebbe una combinazione deflagrante, un cocktail superspeciale sì, ma talmente concentrato da risultare imbevibile.

    Però ciascun elemento può essere una meta a cui tendere, non solo per i nostri campioni in granata, ma per ognuno di noi, comuni mortali che non abbondiamo in risolutezza, classe, caparbietà, fortezza, esuberanza.

    Potrebbe essere un ideale, un programma su cui lavorare perché, come dice Vasco Rossi in Cambia-menti: Si può cambiare solo se stessi. Sembra poco ma, se ci riuscissi, faresti la rivoluzione.

    Proviamo a farla, questa rivoluzione.

    Solo non tentando, siamo sicuri di fallire.

     

     

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