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L’assoluzione di Platini e Blatter

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Torna Loquor, la rubrica di Carmelo Pennisi: "La Fifa e la Uefa di oggi sono delle macchiette ingorde di denaro e potere"
Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 

“La coscienza è l’onore interno”

Arthur Schopenhauer

Un vecchio adagio racconta che “il tempo guarisce tutto, ma la vita può essere vissuta solo una volta”. Deve aver pensato questo Michel Platini quando la Corte d’Appello di Muttenz, in Svizzera, lo ha mandato assolto dalle accuse di truffa, falso in documenti e gestione infedele per presunte irregolarità nelle assegnazioni dei mondiali di calcio in Russia e Qatar. Una vicenda iniziata nel 2015, ma che proveniva da almeno cinque anni di sospetti sulla Fifa, che a mio parere la sentenza della giustizia elvetica non cancella del tutto. La Fifa dei primi quindici anni del nuovo millennio è stato un crogiuolo di interessi sotterranei mai chiariti, dove gli interessi della Francia l’hanno fatta da padrone nelle vicende del gioco più seguito al mondo. Qui le strade dell’ex calciatore francese e di Sepp Blatter probabilmente hanno preso direzioni diverse, anche perché l’ex presidente della Fifa non ha mai nascosto la sua avversione all’assegnazione dei mondiali al piccolo emirato: “fu un errore-ha continuato a ripetere per anni-. Il Qatar è una nazione troppo piccola e il calcio è troppo grande per quel paese”.

Certo Blatter non è mai stato uno stinco di santo, è stato prima sodale di Joao Havelange, con cui portò avanti l’ingresso di numerosi brand planetari come sponsor degli avvenimenti delle competizioni organizzate dal massimo organo calcistico mondiale, poi al ritiro del rais carioca si è prontamente piazzato nell’ufficio più importante della sede di Zurigo. Ventiquattro anni era durato il regno del disinvolto figlio di un commerciante d’armi per conto de “La Societè Francaise des Munitions”(La Francia in questo racconto della Fifa spunta da tutte le parti), divenuto presidente della Fifa grazie al voto decisivo delle federazioni asiatiche e africane. L’appoggio del calcio “marginale” è da sempre decisivo per mantenere il controllo totale all’interno delle stanze dal tenore opaco di Zurigo. La corruzione dei dirigenti del calcio di periferia è quasi una semplice prassi, agnelli sacrificali che se vengono scoperti sono comunque ben felici di aver sfruttato il momento della loro opportunità. Havelange e Blatter fioriscono nel loro potere nel momento in cui lo sport, grazie alla tv, diventa un fenomeno globale di ricavi inimmaginabili e di relazioni importanti sia nella politica che in quello dei brand, e finanche nel sottobosco criminale. Il calcio da sempre mette d’accordo tutti, specie nel far desistere dallo scoperchiare troppo la pentola del malaffare. E così mentre taglia nastri di importanti manifestazioni sportive, Havelange trova il tempo di vendere  armi di ogni tipo a diversi dittatori sudamericani. Ma è il dirigente svizzero che, alla stessa stregua di quanto Primo Nebiolo fa con l’atletica internazionale, trasforma il calcio mondiale da evento ludico a prodotto macina soldi da noi oggi conosciuto.

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Adi Dassler, padre padrone dell’Adidas, e la Coca Cola sono coinvolti come partner globali e portano l’Eldorado in quei Paesi del terzo mondo che fino a quel momento erano rimasti fuori dalle grandi decisioni della storia. E’ la Fifa, più dell’Onu, a far contare per la prima volta quei luoghi fino a quel momento considerati solo in una prospettiva coloniale. E’ stata questa nuova conta nella nomenclatura mondiale a procurare agli Stati Uniti una delle più mortificanti umiliazioni della loro storia, quando il 2 dicembre del 2010, nella sede della Fifa di Zurigo, il Qatar la spuntò per i mondiali del 2022, considerati dagli Stati Uniti oramai cosa loro. La truppa americana guidata da Bill Clinton in terra elvetica era sicura dell’appoggio di Sepp Blatter, ma la stella del potente dirigente stava prendendo la strada non solo del tramonto, ma della dissoluzione della sua reputazione. I membri dell’esecutivo Fifa decisero di ignorare il suo appello poco prima della votazione in favore degli Stati Uniti, era l’inizio di una fine ingloriosa e con una coda giudiziaria lunghissima. Era anche l’inizio della congiura che avrebbe portato Gianni Infantino sul trono della Fifa e Aleksander Ceferin su quello dell’Uefa. Certo “Le Roi” non poteva immaginare di essere spodestato da ogni sua ambizione di dirigente calcistico, e non poteva nemmeno ipotizzare il modo in cui sarebbe accaduto. Si sentiva forte dell’appoggio politico del suo Paese, considerata la  disponibilità immediata data all’allora Presidente Nicolas Sarkozy ad una delle cene segrete più controverse e opache mai tenute all’Eliseo. Platini, sul calar della sera del 23 ottobre del 2010, viene messo a sedere davanti a Tamim bin Hamad al-Thani, futuro emiro del Qatar e all’epoca potente possessore delle chiavi del fondo “Qatar Investment Authority”, uno dei fondi sovrani più ricchi del mondo. Tamim si sta preparando a diventare una delle personalità più strategiche dell’area mediorientale e dell’Africa.

Tifosissimo del Manchester United e fondatore del “Qatar Sports Investments”, Tamim capisce proprio in quella cena che le ragioni geopolitiche dovranno superare la sua passione per i “Red Devil”, di cui avrebbe voluto diventare al più presto il proprietario. Le interlocuzioni con il destino a volte portano inaspettate delusioni ma anche nuovi doni, per cui prendere il Paris Saint Germain per fare un favore all’inquilino dell’Eliseo diviene il pegno per l’espansione qatarina nel centro Europa e per i disegni egemonici francesi nel Mediterraneo. Platini è a quella cena per assicurare il suo appoggio al piccolo emirato per ottenere i mondiali del 2022. Probabilmente non è molto convinto della cosa, ma Tamim ha ancora la ferita aperta di aver fallito l’assalto all’assegnazione delle Olimpiadi del 2020, e non è difficile ipotizzare la sua determinata richiesta  di avere i mondiali di calcio a tutti i costi per recuperare l’orgoglio perduto davanti al mondo arabo. La storia racconta come in quel momento la Francia mette a punto, insieme all’Inghilterra, il piano per deporre Gheddafi, con una sorprendente partecipazione del Qatar alla coalizione occidentale costituita per mettere una parola fine alla dittatura del colonnello libico. Inoltre, a partire da allora, gli investimenti del fondo sovrano qatarino crescono a dismisura nel Paese transalpino. “La Repubblique” stava chiamando, e Michel Platini si doveva adeguare. Blatter nel 2015 dice in modo chiaro come andarono le cose: “nel 2010 avevamo preso la decisione di avere i mondiali nelle due più grandi forze politiche del pianeta. Tutto andava secondo programmi, fino a quando Sarkozy si presentò ad un incontro con il principe designato a regnare in Qatar. Dopo un pranzo con Platini, le carte in tavola erano cambiate”. I primi attacchi dei congiurati cominciano proprio contro Blatter e Platini, ritenendo di essere fuori dai radar del complotto, fiuta il vento e si scaglia contro un sempre più pericolante presidente della Fifa: “Blatter si dimetta, siamo disgustati da questa Fifa”. Pecca di ingenuità o di credito malriposto dato a delle rassicurazioni potenti che gli assicurano un futuro sullo scranno più alto di Zurigo? Non sapremo mai la risposta a tale quesito. “Per il momento mi candido all’Uefa, niente Fifa e niente sfida a Blatter”, dice in una intervista rilasciata nel 2014, ma oggi sappiamo, dopo le sue dichiarazioni  a seguito delle assoluzioni del 2022 e del 2025, che stava dissimulando le sue vere intenzioni: “la persecuzione della Fifa e di alcuni Procuratori svizzeri degli ultimi dieci anni è completamente finita. La storia è molto semplice: mi è stato impedito di diventare presidente della Fifa. Il mio onore è tornato, ma ora sono troppo vecchio per nuove responsabilità… so che per i miei nemici il tempo era importante”. Al netto del fatto che dieci anni per accertare una verità processuale sono veramente troppi, viene da chiedersi a cosa serviva il tempo per i nemici di Platini, che forse sarebbe ora riveli quale fosse la posta in gioco nel 2015. “Coloro che hanno capito tutto-ricorda Emil Cioran con un certo cinismo- perdono il pregiudizio dell’onore, poiché con l’avvento della lucidità, con il regno dei vili, non hanno più nulla da difendere”, e allora è opportuno chiedersi a quale tipo d’onore si riferisca colui che fu amato dall’Avvocato Agnelli più di ogni altro giocatore da lui visto in maglia bianconera. La Fifa e la Uefa di oggi sono delle macchiette ingorde di denaro e potere, ma quelle di ieri non erano meglio, anzi sono state al centro più volte di oscuri traffici di ogni tipo. Michel Platini non sarebbe mai dovuto andare a quel convivio organizzato da Sarkozy all’Eliseo, perché sapeva benissimo cosa gli sarebbe stato chiesto. In quel preciso momento ha cominciato a perdere l’onore, che non è qualcosa di giudiziario, ma di sacro. Esso, l’onore, lo veneriamo oggi perché non è di oggi. Di immacolato lignaggio, mostra in modo chiaro la virtù, fatta di coscienza e coraggio. L’onore non ha analogia con il compromesso, e richiede fermezza fino al martirio civile. Dispiace dirlo, ma nella vicenda Fifa/Uefa della decade che va dal 2005 al 2015 non c’è nessuna traccia dell’onore. Platini sarà pure caduto in un complotto, ma era una disputa tra briganti. Hanno vinto i più cattivi? Probabile. Ma non sarà la sentenza di un tribunale svizzero a cambiare ciò che tutti hanno potuto vedere. E non è stato un bel vedere.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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