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columnist
“Il calcio è l’arte di comprimere la
storia universale in 90 minuti”
George Bernard Shaw
Dall’inizio di questo nuovo millennio stiamo assistendo ad uno stravolgimento sempre più progressivo nello svolgimento del gioco del calcio professionale. Se prima i soldi erano uno dei tanti mezzi per arrivare a delle vittorie, ora sono diventati il fine di ogni vicenda dello sport più popolare del mondo. Aver fatto diventare i soldi lo scopo ultimo di ogni azione ha, di fatto, esautorato la categoria dei tifosi, posizionandola al rango di spettatori passivi della vita dei club per cui tengono.
Nella finale della F.A. Cup del 1887 erano presenti 27.000 spettatori, che sarebbero diventati 110.000 quattro anni più tardi. La Football Association si era costituita solo pochi anni prima(1863), ma la cosa sorprendente di questo fantastico e semplice gioco era stata il suo essere immediatamente diventato un fenomeno popolare. Appare quindi evidente come il calcio, sin dalla sua genesi, sia sempre stato per la gente e tra la gente, qualsiasi fosse la sua classe sociale. Sono stati gli occhi della gente, accompagnati da articoli di stampa dal sapore letterario sfocianti sovente nel mito, ad aver stabilito lo sport del calcio come fenomeno di massa mondiale.
Gli stadi dove si svolgevano le partite erano diventati, in breve tempo, l’unico posto eletto e legittimato a raccontare le storie e le gesta tecniche dei calciatori. I tifosi presenti all’evento live, e solo loro, erano il tribunale virtuale chiamato a giudicare i comportamenti di calciatori e dirigenti delle società per cui tifavano. Il giudizio dei tifosi era rispettato, perché giustamente temuto. Non si poteva certo trascurare l’opinione di chi, con il suo impegno ad essere presente sulle gradinate dello stadio, contribuiva a pagare ai calciatori stipendi se non esageratamente cospicui come quelli odierni, comunque sufficienti a garantire una vita agiata per un buon numero di anni. Tutto, per circa un secolo, è filato liscio come l’olio.
Il meccanismo si è drammaticamente inceppato con l’avvento della televisione a pagamento, che ha spostato l’avvenimento sportivo dalle gradinate di uno stadio(diventati sempre meno capienti a favore di un elite) alla poltrona di casa, contribuendo in modo decisivo a farlo diventare un contenitore perfetto per operazioni di marketing di ogni tipo. Questo ha cambiato, senza che ce ne accorgessimo, il tipo di forma d’amore tra il tifoso e la sua squadra. Da una tipologia d’amore che gli antichi greci avrebbero chiamato “Anteros”, ovvero quando si sta vivendo un amore corrisposto confluito in un solido legame, si è passati a vivere l’”Himeros”, ossia a quella tipologia d’amore ascrivibile al desiderio irrefrenabile, alla passione di un momento espressione di un desiderio fisico presente e immediato, e che chiede di essere soddisfatto. Himeros è quello stato d’animo che ha condotto il tifoso prima ad essere uno spettatore passivo, poi un cliente al quale, con un banale click da telecomando tv, vendere qualsiasi cosa possa generare profitto. Questo processo è stato lento, costante e irreversibile. Al tifoso diventato spettatore/cliente, non si è chiesto più di “partecipare” ma solo di “assistere”, avendolo “conquistato”, attraverso una delle più imponenti opere di coercizioni subliminali mai viste, alla causa del marketing. Davvero non ci si rende conto quanti soldi genera questa bellissima passione fatta diventare dipendenza, da cui non si sa più come uscirne. Anche perché, come ci insegna la moderna psicoanalisi, solo se si prende atto di una malattia, si può avere speranza prima o poi di guarirne.
Cristiano Ronaldo sbarca a Torino e, a scanso di equivoci e fraintendimenti, diciamo subito che ci troviamo di fronte ad un affare economico/sportivo di notevole spessore. L’arrivo del fuoriclasse lusitano in bianconero, pone la Juventus sempre più al centro dell’agone del calcio mondiale e sancisce la chiusura di un cerchio prefigurato da anni dal presidente Andrea Agnelli e dai suoi collaboratori. Chiusa la pratica dei complimenti d’obbligo, proviamo a capire. La prima cosa che appare evidente dopo il sontuoso e significativo mercato dei campioni d’Italia, è il suo sempre più estraniarsi dalla realtà del calcio italiano. Per dirla con chiarezza: la Juventus, causa smodata e sempre più progressiva superiorità, è ormai un vero corpo estraneo rispetto al campionato di calcio di Serie A. L’obiettivo, nemmeno più tanto nascosto, è quello di essere soci fondatori importanti di un futuro campionato europeo per club che, statene certi, prima o poi vedrà la luce. Per far accettare lo svuotamento di contenuto dei campionati nazionali atto a favorire la nascita “del campionato dei campionati” bisognava, e bisogna, far diventare alcuni club lo star system del mondo pallonaro.
La Juventus, seguendo l’esempio di club come il Manchester United o il Real Madrid, con l’acquisto di Cristiano Ronaldo, preceduto da una riformulazione di tutta la strategia del marketing bianconero, si appresta a diventare un fenomeno da tifo globale. Presto si assisteranno a milioni di nuovi fans (non li voglio chiamare tifosi), conquistati alla causa juventina fino alle più remote provincie indiane o cinesi. Il fatturato della Juventus aumenterà considerevolmente (facile prevederlo, visti gli illustri precedenti), consentendole di sfruttare la "narrazione" delle sue vittorie e del suo prestigio per una serie molteplici di operazioni di geopolitica economica, di cui la maggior parte non verremo mai a conoscenza. In questo contesto è veramente triste vedere milioni di cinesi o giapponesi definirsi tifosi di United o Real Madrid, in un processo di esautorazione della loro storia che vedrà come capolinea, oltre ad un destino mercantilistico, un’impossibilità oggettiva di creare un fenomeno cinese con le stimmate da Real Madrid. Fa quasi tenerezza vedere uno come Aurelio De Laurentis, affannarsi a cercare di dare al Napoli il carattere di società in grado di competere ai livelli più alti del calcio.
Fa tenerezza perché è evidente che è lo sforzo di Paperino che tenta di averla vinta contro Gastone. Fa dispiacere vedere De Laurentis in conferenza stampa accusare Miccichè di aver firmato con fretta improvvida il contratto triennale con Sky per la cessione dei diritti televisivi del campionato di Lega A. “Con Cristiano Ronaldo oggi avremmo potuto ottenere da Sky 200 milioni di euro in più”, ha tuonato il presidente partenopeo, dando più l’impressione di voler stare ai margini del carro juventino per coglierne frattaglie di guadagni dispersi, che di nuovo Masaniello pronto a schierarsi contro i poteri forti. Il problema di De Laurentis è che si sopravvaluta da sempre (non è un fesso l’imprenditore cinematografo, ma come ogni mercante ritiene che sopravvalutare la propria mercanzia stia alla base di ogni negozio favorevole), il problema della classe dirigente sportiva italiana è quella di essere sempre assente.
Benedetto XVI, nel discorso tenuto al Reichstag (il parlamento tedesco) nel 2011, tra le tante questioni interessanti trattate, pose i politici teutonici davanti alle loro responsabilità. “La politica ha due responsabilità alla quale non può derogare - disse l’allora Pontefice - : deve servire il diritto e deve dare giustizia”. Se vogliamo traslare questi due basilari concetti allo sport, allora bisogna ribadire con forza che, per un dirigente sportivo, servire il diritto è garantire il fairplay e dare giustizia è restituire ai tifosi la possibilità di poter tornare a partecipare alla vita della propria squadra. Deve essere chiaro che se la Juventus ha assunto un ruolo eccessivamente dominante nel calcio italiano, rendendo praticamente inesistente il concetto di fairplay nel campionato dei Serie A, la colpa non può essere ascrivibile ai suoi dirigenti. La colpa deve essere data a chi mantiene in vigore un sistema di regole (o di non regole), che ha consentito ad Andrea Agnelli di far diventare la Juventus un fenomeno globale, a discapito di tutti gli altri club italiani condannati alla marginalizzazione sportiva. Servire il diritto e dare giustizia, questo è davvero quello che dovrebbe fare una classe dirigente degna di questo nome. Ma, al solito, il timore è che Giovanni Malagò sia impegnato in altre vicende, magari più confortevoli per il soddisfacimento della sua vanità e dei suoi bisogni. E davvero non si avvede, Malagò, del pericolo che si alligna nel definire, da parte della stampa nostrana, l’affare Ronaldo/Juventus l’unione di due aziende.
Quando lo stadio Maracanà di Rio de Janeiro fu inaugurato nel 1950, in occasione del campionato del mondo, conteneva 160.000 spettatori. Leggende vogliono che in alcune partite gli spettatori potessero raggiungere le 200.000 unità. Oggi, dopo l’ultima ristrutturazione, il Maracanà ne contiene 78.000. In sessantotto anni questo stadio leggendario ha perso quasi 90.000 spettatori. Forse in questa perdita c’è descritto il senso della tragedia che sta vivendo il calcio contemporaneo. Forse non era questo il calcio che avevano sognato gli studenti di Cambridge nell’800. Forse, noi tifosi, dovremmo smettere di essere dipendenti, per tornare ad essere partecipanti. Lo ripeto ancora una volta: il calcio è un bene comune e non mi rassegnerò mai a partecipare al suo suicidio assistito.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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