Questa puntata di Culto nasce da una fissazione della mia infanzia. Da piccolo non sopportavo vedere gli adulti piangere. Di colpo mi mettevo a piangere anche io, anche quando non sapevo la motivazione. Una volta la cosa è successa col Toro di mezzo: ho visto piangere il presidente della mia squadra, dopo una vittoria, in televisione. È il dodici marzo 1989, il Torino ha appena battuta la Fiorentina e il presidente in lacrime è Gian Mauro Borsano.
Culto
Le lacrime di un presidente
L’industriale di Domodossola ha acquistato la società da meno di due settimane e la situazione è già caldissima. Il Toro si sta dibattendo in un’inattesa e paludosa zona retrocessione e l’esordio da presidente per Borsano è a Bergamo contro l’Atalanta di Emiliano Mondonico. Per uno di quei incredibili scherzi del destino il primo allenatore incontrato da presidente del Torino sarà quello che gli regalerà le gioie più grandi. Borsano, intervistato prima della partita, si lancia in un pronostico ottimistico (“Due a zero”) che si schianta a inizio ripresa quando Esposito batte rapidamente una punizione coi giocatori granata intenti a protestare e Bonacina ne approfitta siglando il gol decisivo.
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Mancano pochi minuti alla sua prima partita da presidente in casa contro la Fiorentina, quando Borsano viene fermato da Franco Costa per due battute. Poco distante da lui c’è Orfeo Pianelli, per mano il figlio Giovanni. Dopo aver parlato dell’emozione di vedere la curva Maratona da vicino, alla richiesta di una previsione su come finirà contro i viola il patron glissa ridendo “Sicuramente non mi avvento più in previsioni azzardate”. Non c’è che dire, in sette giorni ha già imparato parecchio.
La partita è difficilissima sia perché l’avversario è di livello visto che sta lottando per l’Europa e schiera una coppia da sogno con Roberto Baggio e Stefano Borgonovo sia perché abbiamo assenze pesanti come quelle di capitan Cravero e Giorgio Bresciani, oltre a quella ahinoi nota di Zago. Claudio Sala schiera Marchegiani, Gasparini, Catena, Giacomo Ferri, Ezio Rossi, Comi, Fuser, Sabato, Muller, Edu e Skoro.
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Il primo tempo è teso e combattuto col Toro che lotta, si impegna e costruisce, ma non trova particolari sbocchi per far esplodere la Maratona sotto cui sta attaccando. La Fiorentina gioca più leggera, ma anche con una certa tendenza a specchiarsi in un pomeriggio dove la disperata sciabola è più adatta di uno spensierato fioretto. Pellicanò deve intervenire un paio di volte e la più difficile è su una maligna punizione rasoterra di Fuser. Marchegiani controlla sfilare di poco a lato un tiro da fuori di Salvatori e poi blocca a terra la conclusione di Baggio dopo uno spunto personale. Si va a riposo sullo 0-0.
La Fiorentina sembra iniziare bene la ripresa, ma la disperazione che ci attanaglia, dopo una decina di minuti, ha la meglio e ci trascina nella metà campo avversario. La prima opportunità arriva sui piedi di Muller dopo un colpo di testa di Sabato a ribaltare l’azione, ma Pellicanò respinge in tempestiva uscita il tiro del brasiliano liberatosi dopo una testarda azione. Poco dopo Muller triangola ancora con Sabato e sembra poter calciare a botta sicura, ma la gamba di Mattei si materializza da chissà dove per stoppare la conclusione.
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Al 66’ arriva il gol partita ed è adatto allo svolgimento del match: ansioso, lottato, che pare non arrivare mai. Edu porta palla e serve Muller che entra in possesso della sfera nonostante il tocco di un difensore, quindi apre per l’accorrente Fuser. Il numero sette non controlla benissimo, ma può comunque andare alla conclusione che Pellicanò ribatte in uscita. La palla ritorna a Muller che calcia verso la porta sguarnita, ma Hysen, in spaccata, salva alla disperata. Per fortuna c’è Skoro in agguato per scaraventare la sfera in rete rompendo un incubo, anche se quel gol, così sudato, così faticato, sembra fatto da tutti gli undici in campo, da tutti i tifosi sugli spalti, da tutti quelli con la radiolina all’orecchio. Il finale è risultato da tenere e allora fuori Edu e Skoro, dentro Brambati e Menghini. Il triplice fischio di Pezzella di Frattamaggiore sancisce una vittoria che sembra d’oro.
Nel dopo partita Franco Costa torna da Borsano chiedendogli se è felice. “Direi proprio di sì”. “È commosso anche?” Borsano deglutisce, non risponde, si vede che sta ricacciando indietro qualche lacrima. “Ah lei non ha mai pianto per niente, piange per una partita di calcio?” A quel punto Borsano riprende il controllo e parla sebbene la voce sia ancora molto emozionata “Non è tanto…scusate. Non è tanto la partita di calcio quanto questa enorme tensione che si era creata e che spero che si sia del tutto sbloccata sia nei giocatori che nella dirigenza. Lo dicevo che questi due punti valgono quattro”. Alla carta stampata dirà che in quel pomeriggio ricco di emozioni si è reso conto che lui che si credeva un duro e un freddo si è ritrovato un altro uomo, immerso nelle più disparate sensazioni.
Quando appare il viso di Borsano commosso in televisione, piango un po’ anche io per reazione, ma di nascosto per non farmi beccare dai miei. Purtroppo quella vittoria non servirà a salvarci, ma negli anni successivi ci divertiremo e godremo, anche se per troppo poco tempo. Quel che è certo è che nessuno dei presidenti successivi ha più pianto per il Toro in diretta televisiva. Per commozione, per tristezza, per niente. Chissà se lo ha fatto almeno in privato.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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